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Le Loroux, Francia, 20 dicembre 1909 - Hat I-Et, Laos, 5 luglio 1969
Padre Joseph Boissel, nato in una famiglia di contadini bretoni, entrò nello iuniorato dei Missionari Oblati di Maria Immacolata dopo essere rimasto, a quattordici anni, orfano di padre. Maturò la vocazione missionaria e, ordinato sacerdote il 4 luglio 1937, ricevette l’obbedienza per il Laos. Fu tra i pionieri in quella missione, cominciando dalle popolazioni di etnia hmong, che risiedevano nella provincia montana di Xieng Khouang. Nel marzo 1945 cadde prigioniero dei giapponesi in Vietnam, ma, una volta liberato, trovò la missione in rovina. Nonostante la salute danneggiata dalle privazioni, si mise all’opera per la costruzione e la gestione, nel 1949, del Seminario minore di Paksane. Nel 1952 partì nuovamente per le montagne, ma nel novembre 1957 rientrò al distretto di Paksane, per occuparsi anche dei villaggi dove si erano nascosti i rifugiati per scampare alla guerriglia crescente. Sabato 5 luglio 1969, mentre, in compagnia di due consacrate laiche Oblate Missionarie di Maria Immacolata, si dirigeva a Hat I-Êt per le funzioni religiose domenicali, fu attaccato dai guerriglieri e ucciso con due scariche di mitragliatrice, mentre le due Oblate rimasero gravemente ferite da una granata. È stato beatificato l’11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos, insieme ad altri sedici tra sacerdoti e laici.
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Vocazione e formazione
Joseph Boissel nacque il 20 dicembre 1909 a Le Loroux in Bretagna, da una famiglia di poveri contadini. Fu battezzato lo stesso giorno nella parrocchiale del suo paese, appartenente alla diocesi di Rennes.
Rimasto orfano di padre a quattordici anni, frequentò gli studi secondari nello iuniorato dei Missionari Oblati di Maria Immacolata a Jersey, nel Regno Unito. Passò quindi al noviziato nell’isola di Berder, nel dipartimento francese del Morbihan: il maestro dei novizi lo giudicò «soggetto molto ordinario, poco intelligente».
Grazie alle sue altre qualità, poté proseguire la formazione nello scolasticato: a Liegi in Belgio seguì il corso di Filosofia, mentre compì gli studi teologici a La Brosse-Montceaux, di nuovo in Francia.
In comunità aveva due incarichi specifici: faceva da parrucchiere e riproduceva gli spartiti di canzoni o canti religiosi per i confratelli. Il parere dei superiori, intanto, era più sfumato rispetto a quello del noviziato, ma sostanzialmente positivo: apprezzavano soprattutto l’attaccamento alla vocazione e il fatto che non avesse paura del sacrificio.
Così Joseph fu ammesso ai voti definitivi: compì l’oblazione perpetua all’ospedale di Montereau il 29 settembre 1935. Il 4 luglio 1937 fu ordinato sacerdote e, il 26 maggio 1938, ricevette con altri tre compagni l’ “obbedienza”, ossia l’invio in missione. Contrariamente all’uso generale degli Oblati, non volle chiedere al Superiore generale di essere mandato in un luogo specifico.
Missionario in Laos
Fu quindi inviato in Laos, tra i primissimi Missionari Oblati a operare in quella terra dell’Estremo Oriente. Arrivò nell’ottobre 1938 e venne destinato alla stazione missionaria di Nong Ét, nella provincia di Xieng Khouang, detta all’epoca Tran Ninh: era una zona alla frontiera col Vietnam, dove l’evangelizzazione cominciava a fatica.
A causa della guerra, dovette abbandonare quella località, ma presto poté tornare in missione. Pur senza ottenere conversioni rilevanti, suscitò una notevole simpatia, specie tra le popolazioni di etnia hmong.
Prigioniero in Vietnam, poi di nuovo in missione
Nel marzo 1945, l’esercito giapponese marciò sul Laos. Il 1° giugno seguente, padre Joseph venne fatto prigioniero insieme al confratello Vincent Le Calvez e al Prefetto apostolico, anche lui Missionario Oblato di Maria Immacolata, monsignor Jean Mazoyer. Tutti e tre furono condotti a Vinh, in Vietnam, ma poterono tornare in Laos nel 1946.
La missione di Nong Ét era devastata e ben presto, a causa della persistente situazione d’insicurezza, divenne inaccessibile. Padre Joseph scrisse: «È tempo d’installarsi definitivamente; non so al momento dove vado a stabilirmi; il primo lavoro sarà scegliere un terreno, poi farmi legnaiolo, carpentiere e tutto il resto».
Le condizioni materiali, in effetti, erano parecchio precarie. Il missionario stesso coltivava personalmente il riso, per avere da mangiare. Così si rivolse a monsignor Mazoyer, all’epoca in Europa: «Tra una decina di giorni sarete ai piedi del Santo Padre: che cosa penserà del Laos? Povero Laos, povera Indocina; nulla sembra sistemarsi, la follia regna sempre e dovunque. Restiamo legati a Dio e poniamo fiducia in Lui. Sa Lui ciò di cui abbiamo bisogno».
Nel 1948 prese un anno di riposo, perché la sua salute era compromessa, e rimase presso la sua famiglia. Tornato in Laos, si dedicò alla formazione dei catecumeni prima, dei neofiti poi nei villaggi delle popolazioni kmhmu’, nei dintorni di Ban Pha, dove aveva la sua residenza. Tuttavia, gli abitanti sembravano estranei a ogni tentativo di conversione.
Un pellegrinaggio in Europa
Nel novembre 1957 lasciò quindi il villaggio nelle mani del confratello padre Louis Leroy e si prese un nuovo periodo di riposo. Dato che, dei suoi parenti prossimi, era rimasta in vita solo sua sorella Victorine, padre Joseph intraprese un progetto cui teneva molto.
In compagnia del parroco del suo villaggio, l’abbé Louaisil, partì per un pellegrinaggio in varie località d’Europa: viaggiavano in automobile, ma dormivano perlopiù in tenda. Toccarono Solignac, sede del nuovo scolasticato degli Oblati, Lourdes e Ars, ma i superiori di padre Joseph gl’impedirono seccamente di andare fino a Fatima e anche di visitare i santuari belgi, più vicini. L’ultima tappa fu Roma.
Nel distretto di Paksane
Rientrato dal pellegrinaggio, il missionario fu assegnato al distretto di Paksane. Inizialmente ebbe l’incarico del villaggio agricolo di Nong Veng; in seguito, a partire dal 1963, si stabilì a Ban Na Chik, a quattro chilometri da Paksane. Sostituì quindi padre Henri Delcros nell’opera di riorganizzazione dei cristiani kmhmu’, rifugiati dalla regione di Xieng Khouang.
Costantemente sotto le minacce della guerriglia, cercava comunque di donare speranza. «Il più delle volte», scrisse, «arrivo con le mani vuote e soffro per quegli occhi lucidi che si accostano a me, che attendono qualche conforto materiale che non posso arrecare loro… Schiacciati da tali miserie, ci resta la morte nell’anima, rattristati per la propria impotenza». Un giorno, mentre i combattimenti erano giunti in prossimità del suo villaggio, scappò a cavallo: in una mano teneva le briglie, nell’altra il ciborio con la riserva eucaristica.
Gli anni difficili vissuti in missione, nella boscaglia e nei villaggi di montagna, avevano indurito alcuni tratti del suo carattere, ma non rovinarono le sue buone qualità: era di gran cuore, fedele alla preghiera, piacevole nelle conversazioni e nella vita comune; lo testimoniarono sia i confratelli sia i testimoni laotiani.
L’ultimo viaggio
Ogni sabato, padre Joseph si recava verso la fine del giorno in un villaggio e ripartiva l’indomani a mezzogiorno, per assicurare le funzioni religiose domenicali. Sabato 5 luglio 1969 decise di andare a Hat I-Et, villaggio di rifugiati kmhmu’ a circa venti chilometri da Paksane, lungo il fiume Nam San. A causa della situazione rischiosa, quell’anno non aveva potuto prestare il suo minister lì per qualche mese. Il catechista André Van, che si occupava dell’istruzione religiosa, aveva bisogno di sentirsi appoggiato.
Partì verso le 4 del pomeriggio, prendendo con sé due giovani laiche consacrate delle Oblate Missionarie di Maria Immacolata: come di consueto, avrebbero dovuto aiutarlo per le visite, le cure ai malati e il servizio religioso. La nipotina di una di loro, di dieci anni, salì di nascosto sulla jeep, ma padre Joseph se ne accorse: «Non devi venire con noi», la rimproverò, ordinandole di scendere. «Io, sacerdote, e le due Oblate abbiamo donato la nostra vita al Signore. Morire, per noi, non importa nulla, la nostra vita è offerta al Signore. Ma tu non devi venire con noi!».
Per tutto il viaggio espresse lo stesso concetto: «Non dobbiamo aver paura di morire. Noi abbiamo già donato tutta la nostra vita al Signore. Non siamo in sicurezza viaggiando come facciamo noi; non è prudente… c’è sempre pericolo». Le due passeggere ascoltarono tutto senza replicare.
Due o tre chilometri prima di arrivare a destinazione, una delle due Oblate sentì una scarica di proiettili d’arma da fuoco diretta verso di loro. Gli pneumatici del fuoristrada vennero bucati, mentre la consacrata rimase ferita alla mano. Dopo aver visto una bandiera rossa sventolare nella foresta sul ciglio della strada, sentì un’altra scarica: Thérèse, la sua compagna di viaggio, era stata colpita alla testa, come anche padre Joseph. Mentre la vettura si capovolgeva e prendeva fuoco, la consacrata si rese conto che il missionario era morto sul colpo.
Poco dopo, tre guerriglieri uscirono allo scoperto e girarono tre volte attorno alla vettura; infine, allontanandosi, gettarono una granata. L’esplosione rese momentaneamente sorde le due Oblate, che si trascinarono fuori e attesero, sdraiate sul ciglio della strada, i soccorsi. Thérèse aveva avuto seri danni cerebrali, ma era ancora viva, mentre l’altra riferì tutto l’accaduto. Quanto al cadavere di padre Joseph, era talmente bruciato da essere quasi irriconoscibile.
La causa di beatificazione
La consacrata che raccontò l’imboscata affermò che, a suo parere, si sapeva che il missionario andava tutti i sabati nei villaggi: l’aggressione aveva quindi tutti i caratteri di una manifestazione d’odio contro gli stranieri, i sacerdoti e la religione cattolica.
Per questo motivo, padre Joseph Boissel è stato inserito, come il già menzionato padre Louis Leroy, in un elenco di quindici tra sacerdoti, diocesani e missionari, e laici, uccisi tra Laos e Vietnam negli anni 1954-1970 e capeggiati dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên.
La fase diocesana del loro processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 18 gennaio 2008, si è svolta a Nantes (di cui era originario un altro dei potenziali martiri, padre Jean-Baptiste Malo) dal 10 giugno 2008 al 27 febbraio 2010, supportata da una commissione storica.
A partire dalla fase romana, ovvero dal 13 ottobre 2012, la Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso che la loro “Positio super martyrio”, consegnata nel 2014, venisse coordinata, poi studiata, congiuntamente a quella di padre Mario Borzaga, suo confratello dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e del catechista Paul Thoj Xyooj (la cui fase diocesana si era svolta a Trento).
L’accertamento del martirio e la beatificazione
Il 27 novembre 2014 la riunione dei consultori teologi si è quindi pronunciata favorevolmente circa il martirio di tutti e diciassette. Questo parere positivo è stato confermato il 2 giugno 2015 dal congresso dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, ma solo per Joseph Thao Tiên e i suoi quattordici compagni: padre Borzaga e il catechista, infatti, avevano già ottenuto la promulgazione del decreto sul martirio il 5 maggio 2015. Esattamente un mese dopo, il 5 giugno, papa Francesco autorizzava anche quello per gli altri quindici.
La beatificazione congiunta dei diciassette martiri, dopo accaniti dibattiti, è stata infine fissata a domenica 11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos. A presiederla, come inviato del Santo Padre, il cardinal Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato nelle Filippine e Missionario Oblato di Maria Immacolata. La memoria liturgica di tutto il gruppo cade il 16 dicembre, anniversario del martirio di un altro Missionario Oblato di Maria Immacolata, padre Jean Wauthier.
Autore: Emilia Flocchini
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