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Servo di Dio Pantaleone Palma Sacerdote rogazionista

Festa: .

Ceglie Messapica, Brindisi, 15 aprile 1875 – Roma, 2 settembre 1935

Pantaleone Palma, nato a Ceglie Messapica in una famiglia benestante, fu ordinato sacerdote nel 1899. Incaricato dell’insegnamento nel seminario di Oria (Brindisi), chiese di approfondire la sua formazione culturale alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Messina. I suoi progetti cambiarono quando conobbe il canonico Annibale Maria Di Francia (canonizzato nel 2004) e la sua opera a favore degli orfani e dei poveri, espressa nelle congregazioni delle Figlie del Divino Zelo e dei Rogazionisti del Cuore di Gesù. Chiesa al suo Vescovo ed ottenne di entrare tra i Rogazionisti, divenendo il primo e principale collaboratore del Santo fondatore. Si rivelò essere un uomo geniale e intraprendente. Fondò e organizzo le segreterie Antoniane per diffondere la devozione del pane di Sant’Antonio di Padova e con le offerte dei devoti antoniani costruì una decina di Istituti con annesse officine per avviare gli orfani, detti artigianelli, al lavoro. Sant’Annibale – che ben conosceva e stimava P. Pantaleone - prima di morire (1 Giugno 1917) lo nominò erede universale. Questa scelta accrebbe in alcuni l’invidia e la gelosia nei suoi confronti creando un clima di sospetto. In seguito ad accuse infondate, fu deferito al sant’Uffizio e condannato nonostante le ritrattazioni degli accusatori: nel 1933, in seguito alla condanna, fu estromesso dalla Congregazione, sospeso dall’esercizio dei sacramenti e confinato alla Scala Santa (Roma) presso il convento dei Passionisti, i quali lo considerarono santo in vita e dopo la morte. Padre Pantaleone si offrì come vittima per il bene della famiglia rogazionista, confidando unicamente in Dio, dichiarandosi sempre innocente, chiedendo la revisione del processo e la riabilitazione alla celebrazione della Santa Messa. Il 6 agosto 1935 papa Pio XI gli concesse di tornare a celebrare la Messa, ma poco dopo, il 2 settembre 1935, padre Pantaleone morì improvvisamente. I suoi resti mortali, inizialmente sepolti presso il cimitero del Verano a Roma, sono stati traslati nel Santuario di Sant’Antonio di Padova a Oria il 12 settembre 2013. Il 22 ottobre 2021 il cardinal Angelo De Donatis, Vicario del Santo Padre per la diocesi di Roma, ha pubblicato l’Editto che segna l’avvio della sua causa di beatificazione e canonizzazione.



Può anche succedere che un prete, o per meglio dire un religioso, venga condannato dal Sant’Uffizio, dimesso dalla sua Congregazione, ridotto allo stato laicale (oggi si direbbe «dimesso dallo stato clericale», ma la sostanza non cambia…) sospeso dalla celebrazione dei Sacramenti, con imposizione dell’obbligo di soggiorno (cioè, in pratica, segregato in un convento) e oggi si parli di farlo santo.
Può succedere, perché sul suo conto si son sbagliati, dando credito a fin troppo scontate calunnie, senza prendersi la briga di approfondire le accuse e ascoltare le sue difese: potere delle chiacchiere – direbbe papa Francesco - della gelosia e dell’invidia che sembrano inficiare le comunità cristiane fin dai tempi apostolici.
Pantaleone Palma nasce a Ceglie Messapica (Br) il 15 aprile 1875, in una famiglia benestante che vanta, tra gli ascendenti, sacerdoti, uomini d’ingegno e musicisti. Per intelligenza e applicazione negli studi neppure il nuovo arrivato sembra fare eccezione, tanto che riesce a conseguire la maturità classica da privatista in appena 60 giorni e 60 notti di studio ininterrotto: una bravata che gli lascia come ricordo, non proprio piacevole, un esaurimento nervoso che che lo accompagnerà tutta la vita.
Prete nel 1899 e subito insegnante in seminario, giusto per non smentire la tradizione culturale della famiglia chiede al suo vescovo di potersi laureare in Lettere e Filosofia. Una serie di fortunate coincidenze (o non solo…) lo porta così alla prestigiosa università di Messina e, soprattutto, a entrare in contatto con il Padre Annibale Maria Di Francia che gli offre ospitalità come inquilino-studente.
Quest’ultimo ha fondato a Messina le Congregazioni delle Figlie del Divino Zelo e dei Rogazionisti del Cuore di Gesù e nella triste realtà sociale e morale del quartiere Avignone, il periferico e più misero di Messina, sta accogliendo orfani, cui insegna un mestiere, e si prende cura dei più miserabili.
Tra i due preti scatta la scintilla della perfetta intesa e di una sorprendente affinità, che portano don Pantaleone a scegliere padre Annibale come suo confessore abituale e guida spirituale, e questi ad affidare al primo incarichi sempre più delicati e inserendolo in posti-chiave delle sue Opere, fidandosi ciecamente di lui.
È soprattutto il terremoto del 1908 che distrugge Messina a mettere in luce la carità e l’intraprendenza di don Palma, tanto da far dire al Di Francia che «meriterebbe numerose medaglie d’oro al valor civile per il coraggio dimostrato e un Paradiso sarebbe poco per l’eroica carità esercitata».
Nell’opera di ricostruzione del dopo sisma, padre Annibale trasferisce la propria Opera ad Oria (Br) ed ha la gioia di avere al suo fianco sempre don Palma, che ha abbandonato gli studi ed ha chiesto di entrare tra i Rogazionisti, facendosi mendicante per suoi orfani: è lui l’anima e il promotore del calzaturificio, della sartoria, della falegnameria, della tipografia e dell’officina meccanica in cui gli orfani imparano un lavoro e il fondatore può scrivere con l’orgoglio di un padre: «Il padre Palma è stato per noi un inviato dalla Provvidenza. Mi ha aiutato con la sua intelligenza, la ferrea volontà e le sue non comuni attitudini a saper fare…».
Malgrado la salute fragile, il prete arrivato dal brindisino non si risparmia e mai si tira indietro: «dovunque arriva, predica, confessa, tiene conferenze e riunioni, si occupa pure delle vocazioni per i nostri Istituti… sta spiegando la devozione del Pane di Sant’Antonio e sta collocando nelle varie chiese le cassette “offerte pro orfani”. Questo suo apostolato gli costa molti sacrifici…».
È abbastanza ovvio che di un prete così ci si possa fidare ed infatti padre Di Francia (che dal 2004 la Chiesa venera come santo), morendo nel 1927, lo lascia erede universale di tutta la sua Opera e di tutti i suoi beni: segno indiscusso di stima e di riconoscenza, ma anche per lui garanzia di continuità della sua intera fondazione, perché un uomo che così generosamente ha lavorato per impiantarla e farla crescere è sicuramente in grado di farla prosperare anche dopo la morte del fondatore e di impedire che essa scompaia con lui.
Padre Palma scriverà in un momento per lui delicatissimo: «Il Fondatore è morto lasciando un documento insigne di stima e di fiducia verso la mia povera persona, nominandomi erede universale dei suoi beni e preferendomi ad ogni altro confratello della stessa Congregazione». Già: «…preferendomi ad ogni altro confratello»: è precisamente a questo punto che inizia il suo calvario.
Malumore, invidia, gelosia, sospetto sono i sentimenti suscitati dalle volontà testamentarie di Padre Annibale nei confronti del suo “delfino”, l’unica persona di sua fiducia cui affidava il futuro delle sue Congregazioni. Si sa da sempre che l’invidia è madre della calunnia e anche in questo caso non c’è eccezione.
La “macchina del fango”, azionata da pochi invidiosi confratelli e da alcune suore, subito si mette in moto, orchestrando un piano diffamatorio di chiaro stampo boccaccesco. Come succede in questi casi, si inizia infatti con l’addossargli responsabilità finanziarie e, dato che queste sono spesso insufficienti per distruggere un ministro di Dio, si prosegue con l’addebitargli infamanti accuse di comportamenti immorali.
«Penso che il trattamento paternamente affettuoso del santo Fondatore nei miei confronti sia stato uno dei più forti motivi della gelosia di cui ora sono vittima», scrive padre Palma, cui la buona coscienza di essere del tutto innocente rispetto alle accuse che gli vengono mosse non gli impedisce di sentirsi crollare il mondo addosso. Anche perché i calunniatori portano la questione all’attenzione della Congregazione vaticana per i Religiosi e poi addirittura davanti al Sant’Uffizio, che il 23 ottobre 1932 convoca padre Palma, aprendo di fatto un regolare processo contro di lui.
«Dopo avere dato tutte le mie energie spirituali, morali e fisiche alle magnifiche Istituzioni del Canonico Di Francia, mi sono visto, all’età di 60 anni, fatto bersaglio di una indegna congiura per ragione di gelosia e a causa dello spirito di intransigenza con cui volli attuare il programma e i criteri direttivi che il Fondatore impresse alle sue Opere», scrive amareggiato. A questo punto i calunniatori, accorgendosi forse di essersi spinti troppo oltre, ritrattano tutte le loro accuse, ma ormai è tardi.
Dopo un processo sommariamente svolto a senso unico anche se dura un anno, il Sant’Uffizio emette la sentenza: immediata estromissione di padre Palma dalla Congregazione, sospensione dall’amministrazione dei sacramenti e segregazione presso la Scala Santa di Roma, nel convento dei Padri Passionisti.
«Offro tutto per il maggior bene della Congregazione dei Rogazionisti e delle Suore del Divino Zelo», scrive con ammirevole forza d’animo, anche se è diventato irriconoscibile, soprattutto nel fisico, tanto è provato dalla situazione di cui è vittima. «Non ti affliggere per me. – scrive alla sorella Giacinta - Iddio non abbandona mai nessuno di quelli che confidano in Lui. Ti posso assicurare che Nostro Signore se da una parte mi ha messo alla prova, dall’altra mi da ogni giorno delle grazie proprio straordinarie…il Signore proprio giorno per giorno provvede per me»: è il suo tentativo di trovare conforto e sostegno nella fede, nonostante il suo fisico sembra volersi rifiutare di reagire e di sopportare il peso dell’ingiustizia che deve portare.
I Passionisti si rendono conto della perla, pur se infangata, che è stata loro affidata ed altrettanto chi cerca in lui conforto e consiglio che egli, anche se sospeso “a divinis”, dispensa con generosità a chi ha bisogno di aiuto, respingendo come tentazione l’invito a lasciare Roma e tornare al paese: accetta le umiliazioni e le penitenze inflittegli e spera di trovar giustizia, perché, dice, «a nostro Signore tutto è facile. Egli in un momento cambia ogni cosa. Non abbiate paura: bisogna lasciar fare a Lui solo».
Pio XI in persona si attiva per concedergli almeno di poter riprendere a celebrare Messa, come primo passo verso la riabilitazione completa: un desiderio che si realizza solo il 6 agosto 1935, nella festa della Trasfigurazione. Per padre Palma è un brevissimo istante di Tabor dopo gli anni di Calvario, perché neanche un mese dopo, il 2 settembre, il suo cuore cede all’improvviso ed è raccolto esanime davanti alla sua cella. Lo stesso giorno arriva dal Sant’Ufficio l’attestato con cui si riconosce la sua innocenza, ma è un documento che possono soltanto posare sulla sua salma.
«Chi visse tutta la sua vita per l’assistenza degli altri non trovò assistenza per sé; chi procurò agi e cure per migliaia di orfani non trovò agi e cure per se; chi predilesse la carità, la virtù, la giustizia, non trovò carità, virtù, giustizia per se né in vita, né in morte», scrive quel giorno il venerabile P. Ignazio Beschin OFM, suo confessore.
Dopo oltre ottant’anni è finita anche la “damnatio memoriae” di padre Pantaleone Palma. La Postulazione generale dei Rogazionisti ha raccolto in vari archivi il materiale utile per la Biografia Documentata, in grado di ricostruire non solo il suo percorso biografico, ma anche la storia della congregazione dalla morte del fondatore a quella di colui che era stato il suo primo collaboratore.
Sulla base del materiale raccolto, nonché delle prove della perdurante fama di santità del confratello, il Postulatore dei Rogazionisti ha presentato al cardinal Angelo De Donatis, Vicario del Santo Padre per la diocesi di Roma, il Supplice Libello per l’avvio dell’inchiesta diocesana. Sentito il parere della Conferenza Episcopale del Lazio, il Vicario di Sua Santità ha accolto il Supplice Libello e, il 22 ottobre 2021, pubblicato l’Editto per l’inizio della sua causa di beatificazione e canonizzazione.


Autore:
Gianpiero Pettiti

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Aggiunto/modificato il 2022-01-22

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