Di fronte alla morte di un bimbo ci assalgono sentimenti di dolore, di tristezza pensando ad una piccola vita che non potrà fiorire ed esprimere le sue potenzialità e la sua forza; pensando ai genitori che avevano riposto in questo figlio le loro speranze e i loro progetti di vita insieme.
La vita di Charlie però, nonostante i suoi pochi mesi, ha assunto una rilevanza e un significato che vanno molto al di là della vicenda personale per diventare significativa ed emblematica.
Negli ultimi mesi, infatti tutto il mondo aveva imparato a conoscere il piccolo Charlie, ritratto nelle foto con gli occhietti chiusi ed attaccato al respiratore, e i suoi genitori Chris e Connie che hanno combattuto per lui, per dargli una speranza di vita che purtroppo non si è realizzata.
Era nato con una rarissima malattia (si parla di 16 casi in tutto il mondo), la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale, che dopo alcuni mesi di apparente normalità, si è manifestata con i primi sintomi a carico del tessuto muscolare e nervoso che si sono indeboliti progressivamente, impedendogli di respirare autonomamente e di rispondere agli stimoli.
Era in cura presso l’ospedale pediatrico Great Ormond Street Hospital a Londra, un luogo di eccellenza, in cui da subito si è compresa la gravità della situazione e la sua ineluttabile evoluzione infausta.
Da questa osservazione drammatica, diretta conseguenza della correttezza della diagnosi, però, è nata una incomprensione e un conflitto tra medici, che ad un certo punto hanno deciso di staccare il respiratore che teneva in vita Charlie, e genitori, che nel frattempo avevano trovato un’equipe medica statunitense che sta mettendo a punto una terapia sperimentale che, nei pochi casi trattati, ha aperto delle speranze, mostrando dei risultati incoraggianti.
La tenacia e la determinazione a non arrendersi, da parte dei genitori, ha fatto cominciare una sottoscrizione che in poche settimane era riuscita a trovare fondi sufficienti per il viaggio negli Usa, ma a questo punto è cominciato un capitolo, forse ancora più drammatico della malattia in sé: l’opposizione da parte dei sanitari inglesi che hanno giudicato questo tentativo dei genitori come sproporzionato, configurando ogni intervento come accanimento terapeutico e quindi opponendosi alla loro volontà.
La battaglia giuridica che ne è conseguita la conosciamo tutti, con pronunciamenti dei tribunali inglesi ed europei che hanno allungato i tempi di attesa, impedendo di fatto di sottoporre Charlie alla terapia sperimentale.
In tutto il mondo si è parlato di questo bimbo e dei suoi disperati genitori che hanno cercato di attirare l’attenzione di tutti, giungendo anche a chiedere aiuto a papa Francesco. L’Ospedale pediatrico Vaticano, Bambino Gesù si è reso disponibile per accogliere il bambino, se fosse stato possibile il trasferimento, e solo alla fine è stato autorizzato dai sanitari inglesi un consulto al letto di Charlie tra un medico italiano e un membro dell’equipe statunitense che hanno purtroppo dovuto constatare che i danni cerebrali e muscolari erano ormai irreversibili, e nulla sarebbe più stato utile per il piccolo.
Oltre alla tristezza per la morte di un bimbo di 11 mesi e l’amarezza per la rottura dell’alleanza terapeutica che ha trasformato questa storia drammatica in un caso giudiziario, rimane anche un dubbio rispetto al fatto che probabilmente, se si fosse permesso ai genitori di sottoporre Charlie alle nuove terapie forse qualcosa si sarebbe potuto fare.
Ci sono però dei risultati positivi in questa vicenda, l’eredità di Charlie che, come ogni uomo in qualunque condizione di vita sia, non è vissuto invano e che sono ben espressi nel comunicato ufficiale della Direzione del Bambino Gesù: «La spina non è stata staccata, senza avere prima risposto ad una legittima richiesta di cura da parte dei genitori e senza avere prima verificato fino in fondo le condizioni del bambino e le opportunità concrete offerte dalla ricerca a livello internazionale.
Abbiamo raggiunto anche un secondo risultato: un confronto congiunto internazionale approfondito sia sul piano scientifico che su quello clinico; un fatto straordinario, un caso emblematico per il futuro delle malattie rare.
Per la prima volta su un singolo paziente si è mossa la comunità scientifica internazionale, per valutare concretamente e fino in fondo le possibilità di cura. La comunità clinica e scientifica internazionale, che si mette in rete e fa sinergia per un malato e si mobilita per una vita, lavorando a stretto contatto, rappresenta un precedente che darà più forza a tutti i Charlie che verranno.
Questa è la vera eredità del caso Charlie: l’impegno a sviluppare concretamente un modello di medicina personalizzata. Per questo valeva la pena fare tutto ciò che abbiamo fatto, trainati dalla forza di Charlie e dei suoi splendidi genitori, dalla forza della condivisione indispensabile nel percorso di cura con la famiglia, dalla forza dell’alleanza tra i clinici, la famiglia e il paziente, senza dimenticare il contributo importante delle associazioni dei malati che in questi casi rappresentano un punto di riferimento preziose per i soggetti coinvolti».
Allora grazie al piccolo Charlie e ai suoi coraggiosi genitori che ci hanno mostrato che fa parte della vita sperare contro ogni speranza e che ogni vita, a qualunque età ed in qualunque condizione, ha un senso ed un valore per tutti; che l’accesso alle terapie, anche quelle sperimentali, dovrebbe essere un diritto riconosciuto; che nessuno può arrogarsi il diritto di decidere chi e quando può vivere, e soprattutto morire, ma che c’è un dovere di cura e di accompagnamento che rendano veramente umana anche la morte.
Autore: Daniela Notarfonso
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