I primi anni
Francesco Panigada nacque a Conterico di Paullo, in provincia di Milano e diocesi di Lodi, il 5 dicembre 1863. Era figlio di Telesforo Panigada e Delfina Opizzi, lavoratori di una piccola azienda agricola, che ebbero in tutto tredici figli, quattro dei quali morti pochi giorni dopo la nascita. Al Battesimo, celebrato l’indomani nella chiesa dei SS. Quirico e Giulitta di Paullo, ricevette i nomi di Pietro Giovanni Francesco.
Frequentò le elementari nel suo paese e proseguì gli studi al Collegio Rotondi di Gorla, dove due fratelli lo avevano presieduto. Sedicenne, iniziò ad aiutare il padre nella sua attività di commerciante di granaglie, farine e olio, sia di oliva sia di semi di lino.
Indizi di vocazione
Quando aveva circa 22 anni, partecipò alla cerimonia di accettazione di una sorella, Petronilla, nel monastero della Visitazione ad Alzano Lombardo. Mentre si allontanava per salutarla, gli parve di sentire una voce: «Anche tu sarai religioso e ti consacrerai al Signore». La stessa voce continuò a farsi sentire durante tutto il viaggio di ritorno a casa.
Nello stesso periodo, ovvero nel 1855, a Paullo si svolse una missione al popolo, predicata da due padri Gesuiti. Francesco non perse neppure una predica: tutti i giorni partiva a piedi da Lavagna di Comazzo, dove si era trasferito con la famiglia.
Terminati gli otto giorni della missione, si presentò ai predicatori per avere un consiglio sulla propria vocazione. Gli dissero di trovarsi un buon padre spirituale, che lui identificò in don Giovanni Benini, prevosto di Paullo da qualche anno.
Al Collegio Villoresi di Monza, poi tra i Cappuccini
In seguito, consigliato da un altro sacerdote, don Agostino Garzoli, e ottenuto il permesso dei genitori, entrò al Collegio Villoresi di Monza, dove frequentò due anni di corsi accelerati in vista del sacerdozio.
Col tempo, però, orientò la sua vocazione verso l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. I suoi opposero qualche resistenza, ma alla fine gli concessero di partire per Lovere, sede del noviziato. Il 13 maggio 1887 vestì il saio e cambiò nome in fra Rinaldo. Professò i primi voti religiosi il 14 maggio 1888 e quelli solenni il 21 maggio 1891.
Quanto agli studi teologici, li compì nello studentato cappuccino di Bergamo. Fu ordinato sacerdote il 13 marzo 1892: non aveva ancora terminato gli studi, ma gli venne concessa la dispensa, come premio per la sua condotta esemplare.
Missionario in Brasile
Dopo aver concluso gli studi, chiese ai superiori il permesso di partire per il Brasile, dove il confratello padre Carlo da San Martino Olearo aveva iniziato, nel Natale del 1892, un punto d’appoggio a São Luís do Maranhão, seguito, due anni dopo, da quello di Barra do Corda.
Padre Rinaldo partì dunque, insieme ad altri sette confratelli, da Genova: approdò in Brasile dopo venti giorni e il 3 dicembre 1894, a un mese dalla partenza, giunse a São Luis do Maranhão. Si diede subito allo studio della lingua del luogo e all’osservazione del modo di vivere degli indigeni.
Il 1° giugno 1896 fu inaugurata la colonia agricola di San Giuseppe della Provvidenza (São José da Providencia) e il 7 giugno 1897 padre Rinaldo fu eletto superiore regolare della missione. In tale veste venne richiamato in Italia, per dare relazione della vita delle case di missione in Brasile.
In cerca di aiuti
Per lui quella fu l’occasione per rifornirsi di materiale necessario per il buon andamento della vita nella colonia agricola, ma anche per ottenere qualche aiutante in più. Attraverso l’interessamento del Padre generale, padre Bernardo da Andermatt, poté avere l’apporto di sei suore Terziarie Cappuccine di Loano come maestre nelle scuole per le bambine indigene: furono accompagnate personalmente dalla loro fondatrice, madre Maria Francesca di Gesù, al secolo Anna Maria Rubatto (Beata dal 1993), insieme a una postulante, poi novizia.
Padre Rinaldo ottenne anche che partissero altri sette padri Cappuccini e un suo giovane compaesano, Pietro Novaresi, terziario francescano, che si era spontaneamente offerto di seguirlo. Nella sua permanenza in Italia, ebbe un’udienza da papa Leone XIII, che lo benedisse e lo incoraggiò a proseguire.
Il suo stile missionario
Ritornato in Alto Alegre, padre Rinaldo non mancò di far pervenire le sue necessità tramite lettere che, spesso, impiegavano parecchio tempo per arrivare a destinazione. Così scriveva, ad esempio, in quella datata 24 settembre 1899:
«Carissimi, se avete l’occasione dite al sig. arciprete di Merlino, che se ha ancora il tamburo e che si trova in buon stato lo può mandare al convento di Milano, che così lo unirebbero agli istrumenti che ho ordinato di mandarmi… date notizie buone del giovane Novaresi di Paullo, egli si trova contentissimo… se trovate giovani somiglianti, mandatemeli pure, io pagherò loro il viaggio, basta sian di buoni costumi, e se non hanno la volontà di farsi frate non importa, per la missione servirà lo stesso… in quanto al viaggio è cosa facile, prendano i Vapori Ligure-Brasiliana, arrivati al Parà, io e P. Carlo andremo a riceverli… Qui vi è tanta terra da far lavorare tutti i paesani d’Italia».
Madre Francesca Rubatto, dal canto suo, aveva una grandissima stima di lui. Definendolo «un vero S. Vincenzo», descrisse in questo modo il suo operato: «Per lui non ha mai bisogno di niente, tutto va bene basta che possa salvare delle anime. A volte si alza a mezza notte, traversa i boschi solo, a cavallo, delle giornate intere sotto il sole cocente che già proviamo un poco anche noi; dà missioni ai selvaggi, e quando torna a casa, non di rado, porta con sé 2, o tre ragazzi tolti da qualche aldea [villaggio, ndr] e li consegna ai suoi Padri per l’istruzione».
Ucciso durante il massacro di Alto Alegre
Intanto, però, il malcontento degli indigeni verso i missionari cresceva sempre di più. Il 13 marzo 1901, verso le cinque del mattino, la missione di San Giuseppe della Provvidenza fu attaccata da un gruppo di indios armati. Alla loro guida, Joao Manoel Pereira Dos Santos, detto Capitano Caboré, la cui concubina era stata espulsa dalla missione.
I primi ad essere uccisi furono padre Zaccaria da Malegno e i fedeli presenti in chiesa durante la celebrazione della Messa. Un altro gruppo assalì l’abitazione dei frati, uccidendo padre Vittore da Lurano e Pietro Novaresi, proseguendo poi ad assassinare una donna, Carlota Bizerra, che si era dedicata alle bambine prima dell’arrivo delle suore e continuava a collaborare con loro. Perirono anche tutte le suore Cappuccine, sei professe e una novizia.
Due versioni dei fatti
Dell’accaduto esistono due versioni lievemente discordanti. La prima è stata riferita a Lupercinio Maranhão, un fedele della missione, da una bambina scampata al massacro e ritrovata dai soldati governativi prima di essere venduta come schiava.
Nella sua lettera del 16 luglio 1901 a madre Francesca Rubatto, Lupercinio racconta che padre Rinaldo, nella confusione generale, si nascose dietro un armadio con due suore Cappuccine, suor Maria Eleonora di Sant’Antonio e suor Maria di San Lorenzo. Gli indios, dopo che si furono accorti che mancava proprio lui, lo trovarono e lo accoltellarono insieme alle due religiose.
Nelle «Note storiche» raccolte da padre Bartolameo da Monza e pubblicate nel 1908, invece, è scritto che padre Rinaldo, fra Salvatore da Albino e quattro suore si nascosero, ma vennero raggiunti dagli indios, che sfondarono una porta e li colpirono a morte con tutte le armi che avevano a disposizione; i loro cadaveri furono gettati nella cisterna dell’istituto femminile. In totale perirono più di 250 fedeli.
La memoria
I resti mortali di quelli che sono diventati noti come i “martiri di Alto Alegre” (ossia i Cappuccini, le suore e i collaboratori laici) sono stati traslati nella nuova chiesa di Barra do Corda, costruita nel 1951, a cinquant’anni dal massacro.
Paullo ha poi ricordato i suoi concittadini, padre Rinaldo e Pietro Novaresi, intitolando una via ai Martiri della Fede.
Autore: Emilia Flocchini
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