Nel XVIII secolo si afferma, rispetto al secolo precedente, il secolo d’oro dell’estrazione e messa in venerazione dei corpi santi, una nuova moda nell’allestimento di tali reliquie. Essa prevedeva la ricostruzione dell’anatomia umana in modo che essi si presentasseno a tutti gli effetti come un corpo abbigliato e disposto in una posizione di riposo, delicata operazione affidata a monasteri e laboratori specializzati di Roma. A questa categoria appartiene san Celestino, corpo santo che, secondo la prassi di fronte a corpi di cui era sconosciuto il nome, fu così battezzato da Clemente XI e consegnato nel 1731 dal cardinale vicario Prospero Marefoschi all’abate Germano Zangrandi e al canonico pontremolese Luc’Antonio Dosi per l’insigne collegiata di santa Maria del Popolo di Pontremoli che nel 1797 diventerà la cattedrale della nuova diocesi di Pontremoli. Posto sotto l’altare di santa Rosa da Lima, san Celestino è collocato in un’urna di legno incoso e dorato, chiusa nella parte anteriore da un vetro e in quella posteriore da tavole e un drappo azzurro tessuto con fili d’oro. Il corpo di san Celestino è rivestito di rosso con abiti simili a quelli di un militare recanti il cristogramma ricamato sul petto, stringe nella mano sinistra una palma mentre con la destra regge il capo coronato di fiori. Al suo fianco sono deposti una spada e il vaso di sangue il cui ritrovamento era ritenuto chiaro segno del martirio. La festa, in cui il paliotto dell’altare viene rimosso affinchè si possa vedere il corpo del santo attraverso i vetri dell’urna, è il 19 settembre. Con tutti i santi della Diocesi di Massa Carrara - Pontremoli è invece festeggiato il 5 novembre.
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Se nel Medioevo acquistarono una particolare venerazione i santi martiri locali, figure al limite tra storia e leggenda, quali i vescovi di Luni san Terenzo e san Ceccardo, rispettivamente sepolti nella chiesa parrocchiale di San Terenzo Monti e nel Duomo di Carrara, con l’Età Moderna proliferò una categoria tutta nuova di santi: la riscoperta delle catacombe (1578) portò a riscoprire reliquie ed interi Corpi Santi, che riemersero dal sottosuolo dell’Urbe per essere disseminati in tutta la Cristianità. Forte devozione si registrò nei loro confronti, quali martiri della Chiesa primitiva.
Anche la Lunigiana fu interessata da questo fenomeno religioso, tra il XVII ed il XVII secolo, a cominciare dai molti Corpi Santi che il cardinale Alderano Cybo (1613-1700) destinò alle chiese di Massa, in particolare per la Cattedrale i santi martiri Severo, Felice, Benedetto, Settimina e Quintiliano, ed anche all’odierna Concattedrale di Pontremoli, che ancora oggi ne custodisce una testimonianza nell’altare del transetto destro. Un manoscritto di memorie raccolte dal Can. Prof. Tonelli riporta queste notizie riguardo il corpo di San Celestino, lì custodito. “Nell’anno 1732 il Canonico Luc’Antonio Dosi fece venire, per mezzo del Signor D. Germano Zangardi, che si trovava a Roma col Cardinale Albani, un Corpo Santo, battezzato dal Pontefice Clemente XI col nome di Celestino. Portato a Pontremoli fu depositato nella Canonica di S. Pietro, e vi fu tenuto fino a che i Canonici avessero preparato l’urna da collocarlo nella Chiesa di Santa Maria (l’attuale Duomo, ndr). Alli 7 di settembre del suddetto anno andarono a levarlo tutti i canonici con solenne processione. Trovandosi in Pontremoli il Vescovo di Brugnato Mons. Leopoldo Lomellini, fece lui la solenne funzione di questo Santo in Santa Maria, così deputato da Mons. Vescovo di Sarzana (da cui allora Pontremoli dipendeva, ndr). (…) Questo Santo fu collocato sotto la mensa dell’altare di Santa Rosa”.
Il 5 novembre il calendario liturgico prevede la memoria di Tutti i Santi delle Diocesi della Toscana, istituita dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino in data 7 marzo 1975, ed in tale occasione la Diocesi di Massa Carrara – Pontremoli ricorda anche questi martiri i cui corpi sono custoditi nella Cattedrale e nella Concattedrale. San Celestino non gode in realtà abitualmente di particolare culto e l’altare in cui giace è solitamente chiuso da un palliotto. Una volta all’anno, però, e così è stato anche quest’anno dall’8 settembre alla domenica seguente, il palliotto viene rimosso ed il santo è visibile ai fedeli. Un nome, quello del martire Celestino, scelto non a caso, bensì volto a rimandare il pensiero a quella che è la nostra vera patria, il Cielo.
La memoria dei primi martiri è tutt’altro che desueta. Ad essi ha volto il ricordo anche Papa Francesco, nel commemorare Padre Jacques Hamel, ucciso in Francia nell’estate 2016: I primi cristiani hanno fatto la confessione di Gesù Cristo pagando con la loro vita. Ai primi cristiani era proposta l’apostasia, cioè: “Dite che il nostro dio è quello vero, non il vostro. Fate un sacrificio al nostro dio o ai nostri dei”. E quando non facevano questo, quando rifiutavano l’apostasia, venivano uccisi. Questa storia si ripete fino a oggi; - dice il Pontefice - e oggi nella Chiesa ci sono più martiri cristiani che non ai primi tempi. Oggi ci sono cristiani assassinati, torturati, carcerati, sgozzati perché non rinnegano Gesù Cristo. In questa storia, arriviamo al nostro père Jacques: lui fa parte di questa catena di martiri. I cristiani che oggi soffrono – sia nel carcere, sia con la morte o con le torture – per non rinnegare Gesù Cristo, fanno vedere proprio la crudeltà di questa persecuzione. E questa crudeltà che chiede l’apostasia – diciamo la parola – è satanica. E quanto sarebbe bene che tutte le confessioni religiose dicessero: “Uccidere in nome di Dio è satanico”. Ricorda poi il Papa specificatamente il sacrificio del sacerdote francese: Padre Jacques Hamel è stato sgozzato sulla Croce, proprio mentre celebrava il sacrificio della Croce di Cristo. Uomo buono, mite, di fratellanza, che sempre cercava di fare la pace, è stato assassinato come se fosse un criminale. Questo è il filo satanico della persecuzione. Un filo conduttore che unisce Celestino, padre Jacques e tutti quei cristiani che in ogni tempo ed in ogni luogo non hanno esitato a testimoniare la loro fede sino alle estreme conseguenze.
Autore: Don Fabio Arduino
Fonte:
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Il Corriere Apuano
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