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Murchante, Spagna, 4 novembre 1914 – Lerida, Spagna, 26 luglio 1936
Teófilo Casajús Alduán, originario della regione spagnola della Navarra, fu educato in un contesto familiare e sociale profondamente religioso. A quasi undici anni iniziò il postulandato tra i Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, detti Clarettiani: professò i voti religiosi il 15 agosto 1931 e ricevette i primi due Ordini minori il 13 giugno 1935. Giovane entusiasta, dotato di franchezza e onestà, aspirava al sacerdozio missionario, secondo lo stile della sua congregazione. A causa della guerra civile spagnola, dovette abbandonare la casa di Cervera, dove stava compiendo gli studi teologici, e fuggire insieme agli altri religiosi. Dopo essere stato catturato e imprigionato, venne fucilato a Lerida il 26 luglio 1936, insieme ai suoi compagni di studi e al loro professore di Latino, padre Manuel Jové Bonet. Non aveva ancora ventidue anni. La sua causa e quella dei suoi quindici compagni fu inserita nel gruppo denominato «Jaime Girón e 59 compagni», accomunati dall’essere membri della comunità clarettiana di Cervera. Il processo informativo fu aperto nella diocesi di Solsona l’11 febbraio 1948 e concluso il 26 dicembre 1954. Col decreto del 13 settembre 2006, la causa fu inclusa in un più ampio elenco che contava in tutto 109 potenziali martiri, tutti Clarettiani. Teófilo fu indicato come capogruppo insieme a Mateo Casals Mas, religioso sacerdote, e Fernando Saperas Aluja, religioso fratello, in rappresentanza delle tre vocazioni presenti nella congregazione. La beatificazione di tutti e 109 è stata celebrata il 21 ottobre 2017, nella basilica della Sagrada Familia a Barcellona, sotto il pontificato di papa Francesco.
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Infanzia
Teófilo Casajús Alduán nacque a Murchante, in provincia di Navarra e diocesi di Tudela, il 4 novembre 1914. Fu battezzato nella parrocchia di Nostra Signora dell’Assunzione della stessa cittadina il giorno successivo. Il 30 giugno 1915, secondo l’uso del tempo, ricevette il Sacramento della Cresima.
Suo padre, Jacinto Casajús, era falegname, mentre sua madre, Agustina Alduán, si prese cura dei figli, che in tutto furono sette. Teófilo ricevette una buona educazione umana e religiosa, sia in famiglia sia alla scuola delle Religiose della Consolazione, che iniziò a frequentare a tre anni.
Mostrò presto un’intelligenza sveglia e una certa vivacità, dato che finiva col distruggere i suoi sandali nel giro di quattro giorni. Nonostante la sua tenera età, era comunque molto giudizioso e amava fare il chierichetto.
Vocazione tra i Clarettiani
In quell’ambiente, Teófilo maturò la vocazione religiosa. Scelse i Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, detti Clarettiani dal nome del fondatore, sant’Antonio Maria Claret. Due suoi zii materni, padre Medardo Alduán Fuentes e padre Nicolás Alduán Fuentes, erano sacerdoti in quella congregazione.
Il 2 luglio 1926, accompagnato dalla madre, entrò in postulandato ad Alagón, dove compì gli studi di Umanità. Nelle lettere che inviò ai familiari manifestò sempre la sua soddisfazione e la sua determinazione nel perseguire la vocazione missionaria.
In noviziato
Nell’agosto 1928 si trasferì a Cervera, dopo un viaggio di oltre mezza giornata con tappa a Saragozza, dove visitò la cattedrale (“la Seo”) e la basilica di Nostra Signora del Pilar. Concluse gli studi di Umanità con notevole profitto.
Il 29 luglio 1930 giunse a Vic per il noviziato e compì la vestizione religiosa il 14 agosto dello stesso anno. Il 15 agosto 1931 professò i voti, mentre undici giorni dopo si diresse a Solsona per gli studi teologici.
Sereno nonostante i pericoli
Già dal mese di maggio, però, la situazione in Spagna si era fatta pericolosa. Nel mese di maggio si erano verificati incendi di chiese e conventi, ma Teófilo cercava di rincuorare i suoi. Il 4 luglio 1931 scrisse a suo padre: «Io e tutti noi qui siamo disposti a qualunque cosa; non dovete preoccuparvi per me, so già che mia madre ha scritto una lettera a Cervera per incoraggiare José [un altro figlio che studiava lì]: questo è buono; si ricevono notizie molto diverse da altre famiglie piene di timore per i loro figli, che quasi li chiamano perché fuggano dal pericolo. Ogni volta che vedo una cosa di queste mi sento ardere… (in quanto navarro, direbbero qui)».
In un’altra lettera, il 20 novembre 1931, ribadisce la sua serenità: «Anche in mezzo a queste circostanze si può gioire. Vedi, Carmen, né paura, né ombra di tristezza mi causano queste persecuzioni attraverso cui passiamo». In effetti, la città in sé era pacifica, ma era l’ambiente attorno a dare segnali di preoccupazione.
Verso il sacerdozio
Le tappe verso il sacerdozio che Teófilo sognava si succedevano: a Solsona iniziò il corso di Teologia e il 12 giugno 1935, nella cattedrale del luogo, ricevette la tonsura, accompagnata, il giorno seguente, dai due primi Ordini minori. Il 26 agosto successivo si trasferì a Cervera, per terminare gli studi.
Nei rapporti dei superiori su di lui si legge che era dotato di un grande talento per la musica ed era un buon direttore. La sua pigrizia era compensata da una certa franchezza e onestà, che gli permettevano di non emettere facilmente giudizi temerari.
Nei propositi che annotò il 3 novembre 1935, parlava di «olocausto, un sacrificio completo, senza riserve, in piena volontà. Fermezza di parola… religiosità… mire elevate… perseveranza», disponendosi a manifestare quei sentimenti all’esterno senza paura né vergogna della verità.
Nella persecuzione della guerra civile spagnola
Il 21 luglio 1936, due giorni dopo l’inizio della guerra civile spagnola, alla comunità di Cervera arrivò telefonicamente, da parte del sindaco della città, di lasciare nel giro di un’ora l’edificio dell’ex università, che dal 1887 era la loro casa. Usciti dalla porta del giardino, i Clarettiani si divisero: 21 si rifugiarono nell’ospedale o presso famiglie amiche, mentre gli altri (15 Padri, 44 Scolastici, 25 Fratelli e 38 Postulanti) salirono su alcuni autobus inviati dal Municipio.
Fecero per dirigersi verso Solsona, ma i rivoluzionari di quella città non li accolsero. Così, ormai di notte, i mezzi fermarono a San Ramon, presso il cui convento dei Mercedari vennero accolti i fuggitivi. Trascorsero lì la notte, poi, al mattino seguente, fu celebrata la Messa: alcuni rinnovarono i voti religiosi, mentre altri li professarono per la prima volta.
Il mattino del 23 luglio si dispersero di nuovo. Gli Scolastici e alcuni Fratelli si avviarono verso Mas Claret, una fattoria a sette chilometri da Cervera, già luogo di vacanze per i Missionari. Arrivati a destinazione, un gruppo, formato da quattordici Scolastici professi e dal loro docente di Latino, padre Manuel Jové Bonet, si diresse a Vallbona de les Monges, villaggio natale di quest’ultimo. Al tramonto giunsero a Montornés, dove ebbero un’accoglienza calorosa e poterono sfamarsi.
L’arresto
Il mattino seguente, passando per Guimerà, decisero di andare a coppie, muovendosi a dieci minuti di distanza. La precauzione non valse a nulla: i giovani furono catturati mentre si stavano riposando. Padre Jové, che si era allontanato per pianificare con un amico il modo di ospitare tutto il gruppo, si consegnò al Comitato rivoluzionario di Ciutadilla, dov’erano stati imprigionati, deciso a non abbandonarli.
I giovani studenti e il loro superiore furono sottoposti a torture fisiche e psicologiche: alcuni erano presi a pugni e spintoni, ad altri furono sottratti Rosari e crocifissi. Al giovane Luis Plana fu tirata fuori dal portafogli la foto di sua sorella Maria, che era una Suora di Carità di santa Gioacchina Vedruna, ma i persecutori la presentarono come la sua “fidanzata”.
Il martirio
Alle otto di mattina di domenica 26 luglio, legati ai polsi a gruppi di due, furono caricati su un camion e legati anche ai piedi, sempre a due a due. Dopo un paio d’ore di viaggio, trascorse in preghiera e meditazione, furono slegati ai piedi e condotti presso il cimitero di Lerida.
Padre Jové esortò per l’ultima volta i suoi quattordici studenti: «Ci uccideranno, ma noi moriremo per Dio. Viva Cristo Re!». Fu il primo a essere fucilato, con altri due giovani. A tutti, man mano che toccava il loro turno, venne chiesto in tono ironico se volessero morire per Dio o per la Repubblica: «Viva Cristo Re!», risposero invariabilmente. Toccò quindi a quattro condannati, poi ad altri quattro, infine agli ultimi tre. Teófilo faceva parte della loro lista; non aveva ancora ventidue anni.
La causa di beatificazione
La sua causa e quella dei suoi quindici compagni fu inserita nel gruppo denominato «Jaime Girón e 59 compagni», accomunati dall’essere membri della comunità clarettiana di Cervera. Il processo informativo fu aperto nella diocesi di Solsona l’11 febbraio 1948 e concluso il 26 dicembre 1954. Il decreto sugli scritti si ebbe il 22 giugno 1966, mentre la convalida del processo informativo porta la data del 3 giugno 2000.
Col decreto del 13 settembre 2006, la causa fu inclusa in un più ampio elenco che contava in tutto 109 potenziali martiri, tutti della stessa congregazione. Teófilo fu indicato come capogruppo insieme a Mateo Casals Mas, religioso sacerdote, e Fernando Saperas Aluja, religioso fratello, in rappresentanza delle tre vocazioni presenti tra i Clarettiani.
Il riconoscimento del martirio e la beatificazione
La “Positio super martyrio”, consegnata nel 2006, fu esaminata dai consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi dieci anni dopo, l’8 febbraio 2016. La valutazione positiva fu confermata dalla riunione dei cardinali e dei vescovi membri della medesima Congregazione.
Il 21 dicembre 2016, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Teófilo Casajús Alduán e i suoi 108 compagni e confratelli sono stati riconosciuti martiri in odio alla fede cattolica.
La loro beatificazione è stata celebrata il 21 ottobre 2017, nella basilica della Sagrada Familia a Barcellona. A presiedere il rito, in qualità d’inviato del Santo Padre, il cardinal Amato.
Autore: Emilia Flocchini
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