V sec.
Eremita vissuto nel V secolo che si ritirò a vivere sulla montagna posta a tre stadi dalla città di Ciro, nell'attuale Iraq. Educato alla vita ascetica da un maestro di nome Marone, Giacomo superò ben presto il maestro, praticando dure lotte ascetiche e vivendo in solitudine, senza casa, tetto o capanna, con il cielo come unica copertura. Teodoreto, vescovo di Ciro, fu testimone di molti miracoli compiuti da Giacomo, tra cui la guarigione di un uomo ammalato da quattordici anni e la resurrezione di un giovane morto da tre giorni. Giacomo morì all'età di circa 100 anni, e il suo corpo fu ritrovato intatto dopo tre giorni dalla sua morte.
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Il ricordo di questo eremita ci è stato conservato grazie ad un capitolo della Historia religiosa di Teodoreto, vescovo di Ciro (Osroena), il quale, forse, non pensava di essere così buon profeta quando, all’inizio del capitolo XXI (dedicato a Giacomo), scriveva: «Io scriverò anche la loro vita (vale a dire degli asceti ancora viventi) per non privare la posterità dei vantaggi che può trarre dalla narrazione delle loro grandi gesta». Dal lungo capitolo a lui dedicato, possiamo trarre soltanto rari particolari biografici di Giacomo poiché Teodoreto si sofferma soprattutto ad esaltare le virtù del suo eroe e a raccontare gli avvenimenti più salienti di quella vita solitaria: i miracoli e la lotta contro i demoni.
Giacomo era stato educato alla vita ascetica da un maestro di nome Marone, il quale viveva tra le rovine di un tempio, un tempo dedicato agli spiriti maligni. Il discepolo superò ben presto il maestro, poiché, dopo aver vissuto per qualche tempo da solo in una casupola, onde esercitarsi alle dure lotte ascetiche, si ritirò definitivamente sulla montagna posta a tre stadi dalla città, e lassù, senza casa, tetto o capanna, ebbe, inverno ed estate, soltanto il cielo come copertura.
Non vi è dubbio che la città, di cui Teodoreto non fa il nome, sia la stessa città di Ciro. Si spiegano così perfettamente le frequenti relazioni del vescovo con l’eremita e specialmente le visite continue che questi gli poteva fare, come, ad esempio, quella durante la malattia che Giacomo aveva avuto quattordici anni prima, e poi, nel corso di una ancor più grave infermità che fece credere ai contadini dei dintorni, che egli fosse morto. Durante questa seconda malattia, Teodoreto si trovava a Berea (Aleppo) presso il vescovo Acado, ma rientrò precipitosamente a Ciro, dove giunse di buon mattino, dopo aver camminato tutta la notte, e trovò Giacomo alloggiato in un monastero della città. La morte del vescovo Acacio di Berea è di solito fissata al 432-33 e poiché essa avvenne meno di quattordici anni prima che Teodoreto redigesse il suo capitolo su Giacomo, non si può datare tale redazione dopo il 445 e si può concludere che, a quell’epoca, Giacomo era ancora vivente. Ma questo è il solo dato cronologico che possiamo additare con certezza a suo riguardo.
Teodoreto ricorda anche l’assistenza avuta, attraverso le preghiere di Giacomo, nel liberare la sua diocesi dall’eresia di Marcione che ancora vi sussisteva. Si conosce, d’altra parte, lo zelo posto dal vescovo di Ciro in tale repressione; in una lettera indirizzata al papa san Leone nel 449, infatti, egli scriveva: «Con l’aiuto della grazia di Dio ho sanato più di mille anime dal morbo di Marcione e ne ho ricondotte moltissime altre dal campo di Ario e di Eunomio all’ovile di Gesù Cristo Nostro Signore». Alla fine del suo racconto, allo scopo di meglio comprovarlo, nella piena coscienza del carattere straordinario di quanto raccontava su Giacomo, Teodoreto concludeva: «Potrei raccontare una quantità di cose di questo genere a proposito di questo grande servo di Dio; ma le passerò sotto silenzio, nel timore che il loro gran numero dia la possibilità a molti di non prestarvi fede».
Mentre Giacomo era ancora in vita, Teodoreto aveva già fatto preparare per lui un sepolcro nella chiesa dei santi Apostoli; ma l’eremita, avendolo appreso, supplicò il vescovo di non portare a termine tale progetto, poiché, dopo la morte, egli desiderava essere deposto sulla montagna dove aveva vissuto. Teodoreto consentì al suo desiderio, fece trasportare il sepolcro sul monte, disponendolo in una piccola cappella. L’eremita accondiscese a questo soltanto dopo aver raccolto in quel luogo tutte le reliquie di martiri che gli fu dato trovare, onde condividere soltanto con essi quell’oratorio. È interessante segnalare questo fatto, come diretta testimonianza dei vari trasferimenti delle reliquie dei martiri a metà del V secolo. Nel corso del capitolo su Giacomo, è fornito anche un altro esempio di questa costumanza.
I sinassari bizantini fanno menzione di Giacomo al 21 febbraio, con una notizia che deriva dal racconto di Teodoreto.
Autore: Joseph-Marie Sauget
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