Guido Negri nasce a Este (Padova) il 25 agosto 1888 da Evangelista e Ludovica Belluco, ultimo di dodici figli. Viene battezzato nel Duomo della sua Città cinque giorni dopo. Il padre, che gestisce la propria farmacia in piazza Maggiore, morirà quando Guido avrà solo quattro anni. Riceve la prima Comunione il 1° aprile 1900, domenica di Passione, e la Cresima l’11 settembre successivo. Da adolescente frequenta il Patronato cittadino Santissimo Redentore, da poco istituito da don Angelo Pelà a beneficio della gioventù della Città; si iscrive nel 1904 al “Circolo San Prosdocimo”, versione estense della Gioventù Cattolica Italiana, distinguendosi subito tra i coetanei per il suo precoce convinto apostolato. Da subito prende l’impegno della Comunione frequente, dell’Adorazione Eucaristica, della difesa pubblica del Papa, della raccolta a favore dell’Obolo di San Pietro.
Conseguita brillantemente a Este la licenza ginnasiale nel 1907, si prepara da privatista alla maturità classica che consegue a Verona. Si iscrive quindi all’Università di Padova, facoltà di lettere. Per aiutare la madre a sostenere la numerosa famiglia, decide di intraprendere volontariamente il servizio militare, frequentando il corso per ufficiali a Padova e, dopo un anno, è a Firenze per il suo primo incarico da sottotenente di fanteria. Si trasferisce così all’università fiorentina per seguire più agevolmente i corsi nei pochi ritagli di tempo libero, rallentando notevolmente gli studi.
Ottenuto il congedo, ritorna all’università di Padova, diventando presidente degli universitari cattolici patavini (1911-1913) e continuando nell’apostolato laicale a Este nel suo Circolo San Prosdocimo, distinguendosi per l’entusiasmo nel proporre i valori della fede, del sacrificio, l’amore a Cristo, al Papa, alla Chiesa: per lui i giovani del suo Circolo dovevano essere naturalmente portati all’azione sociale e politica, non con spirito partigiano, ma come naturale, logica estrinsecazione della loro fede cristiana.
Aggiungeva altresì ai suoi molteplici impegni di apostolato la partecipazione al Terz’ Ordine Domenicano (Laici Domenicani), presso la parrocchia cittadina di Santa Maria delle Grazie, diventando Terziario (Laico Domenicano) nel 1909 con il nome di fra Tommaso d’Aquino, distinguendosi così tanto nel gruppo da diventare presto maestro dei novizi e da essere invitato a partecipare come relatore nel 1913 a Firenze al Congresso nazionale dei Terziari Domenicani.
Come tutti i giovani della sua età, Guido si innamora seriamente di una ragazza della Città, Santina Cortellazzo, figlia di un commerciante. Si vedono fugacemente e cominciano a scriversi presto: lui ha 16 anni e lei 15. Le due famiglie non gradivano questa simpatia, soprattutto il padre di Santina, ma non da meno la madre di lui che fa giurare al figlio di non vedere mai più la giovane. La storia d’amore -ed era vero amore, come ammetteva Guido scrivendo alla ragazza- si concludeva nel 1914 con molto rammarico di Santina e con grande sofferenza per Guido. Le insistenze delle famiglie avevano prevalso. È da considerare, per capire la sua evoluzione spirituale, come in quel periodo stesse maturando nel giovane una scelta di vita più consona alle sue aspirazioni di apostolato, scelta comunque laica, da vivere nel mondo, dove non c’era all’orizzonte nessun sacerdozio e nessuna consacrazione religiosa. In questo momento di attesa, emette il voto di castità, dapprima annuale e poi quinquennale.
Guido non faceva da solo il suo cammino spirituale. A parte i suoi confessori ordinari, Guido si avvaleva anche di una guida spirituale d’eccezione, quella del cappuccino San Leopoldo da Castelnuovo, penitenziere a Padova: due lettere del santo indirizzate a Guido ne fanno fede.
A febbraio 1911 è richiamato alle armi a causa del conflitto turco-libico, trasferendosi necessariamente a Treviso, trascurando così ancora gli studi universitari anche a causa della preparazione agli esami militari di idoneità al grado superiore. Nel 1914 si congeda e, per rendersi autonomo economicamente, cosciente sempre più delle difficoltà finanziarie della famiglia, trova a Possagno (TV) la possibilità di insegnare nell’Istituto dei Padri Cavagnis: avrebbe potuto così dedicarsi maggiormente anche allo studio per arrivare prima possibile al dottorato. Nello stesso periodo del 1914, in occasione delle elezioni provinciali, da segretario del Circolo San Prosdocimo vive una grande sofferenza: il suo amato sodalizio veniva sciolto dall’Autorità Ecclesiastica per sospetti -infondati- di non totale obbedienza alle direttive date dalla Gerarchia ai laici cattolici a riguardo dell’impegno e delle scelte politiche. Guido sopportò tutto in silenzio, sostenuto dalla sua fede luminosa.
Fu così che, partendo per Possagno, Guido lasciava definitivamente -senza saperlo- la sua cara Este, abbandonando anche il suo unico, ormai, impegno ecclesiale, il servizio nella Conferenza di San Vincenzo del Duomo, nella quale da anni soccorreva esemplarmente tanti poveri, soprattutto giovani.
Quando era ormai arrivato alle soglie della laurea veniva di nuovo richiamato alle armi nel maggio del 1915, e destinato alle operazioni militari in Cadore. Le dure emozioni del fronte però scuotevano profondamente la sua salute, tanto da dover essere ricoverato in ospedale militare in più riprese tra settembre 1915 e marzo 1916.
Il 14 marzo 1916 coronava finalmente le sue fatiche e sacrifici con la Laurea in Lettere, dopo un percorso rallentato dai tanti fatti inaspettati che avevano mortificato i suoi desideri e il suo impegno di studio. Oltre a questa gioia, un’altra soddisfazione lo confortò e lo ripagò di tante delusioni provate: il Vescovo di Padova Luigi Pellizzo ricostituiva in quei mesi il suo amato Circolo San Prosdocimo. Ma ormai non sarebbe più tornato, se non brevissimamente, nella sua cara cittadina.
Raggiunto il grado di capitano quindici giorni dopo la laurea, fu impegnato da allora nelle attività militari nella 5° Compagnia del 228° reggimento fanteria della Brigata Rovigo, composta soprattutto da ragazzi del 1896. Il suo non era solo un servizio militare ma anche un apostolato, un mezzo con il quale portare Cristo a superiori, commilitoni e subalterni. Con la parola e l’esempio formava i suoi giovani, arrivando a farli consacrare tutti al Sacro Cuore di Gesù nella consapevolezza che la fine per molti di loro era vicinissima.
Due brevissime licenze gli permisero di ritornare a Este, nel maggio e giugno sempre del 1916: dava così il suo non del tutto inconsapevole addio alla mamma e alla famiglia, oltre che agli amici più cari. Il 4 giugno era già al fronte sull’Altopiano di Asiago, dopo una breve visita alla Madonna di Monte Berico di Vicenza.
Tre settimane dopo, nel quadro delle manovre legate alla controffensiva del generale Cadorna, venne per la sua Compagnia l’ordine, tanto atteso quanto temuto, di passare all’attacco. Era arrivata l’ora definitiva della sua vita, di cui era pienamente cosciente e abbandonato totalmente alla volontà di Dio. Febbricitante ed esausto, anche se invitato a retrocedere perché malato, non volle abbandonare i suoi giovani nel momento del pericolo estremo. La sera del 27 giugno cadde trapassato dalle pallottole mentre da quattro giorni, inutilmente lottava con i suoi soldati, obbedendo al comando di conquistare una postazione austriaca alle pendici del Monte Colombara, non molto distante da Asiago.
A quasi 28 anni moriva, come si era ripetutamente proposto, con “…l’anima al Cielo, il cuore a Roma…”. Aveva scritto nel suo diario spirituale alcune ore prima: “A Te, Divina Vittima del Getsemani: è l’ora… Tutto è compiuto! Oh! Andiamo! Andiamo, o Gesù!”
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