Calceranica, Trento, 27 dicembre 1872 – Possagno, Treviso, 16 marzo 1962
Basilio Martinelli nasce a Calceranica, in provincia di Trento, il 27 dicembre 1872. Seppur timido e con un difetto di pronuncia, s’impegna per diventare sacerdote e religioso nella Congregazione delle Scuole della Carità, fondata dai fratelli Antonangelo e Marcantonio Cavanis. Per oltre cinquant’anni insegna latino e greco, cercando il lato migliore di ogni suo allievo. È anche un apprezzato confessore e direttore spirituale. Muore il 16 marzo 1962 nell’Istituto Cavanis di Possagno, cieco e coperto di piaghe. È stato riconosciuto Venerabile il 10 giugno 2010.
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Non dite più, per favore, che l’esempio non basta e che altro ci vuole per segnare in modo decisivo una persona. È bastato, infatti, l’esempio di profonda devozione e di convinta fede di sua mamma, a lasciare in Basilio un’impronta e a fare di lui un santo prete.
Anche se bisogna dire che mica tutti son convinti, non solo che possa farsi santo, ma addirittura che possa essere prete, perché il suo carattere molto chiuso e timido sembra inconciliabile con la vocazione.
Se a ciò si aggiunge una spiccata difficoltà di pronuncia che lo renderebbe anche inadatto ad insegnare, si capisce perché siano parecchi ad avere ancora maggiori dubbi che possa farsi prete proprio nella congregazione Cavanis, il cui carisma esclusivo è, appunto, l’insegnamento.
Evidentemente, chi pensa così non ha fatto i conti con la “santa e paziente testardaggine” di Basilio, che si mette di impegno per cambiare e migliorare e i risultati di questa sua trasformazione finiscono per convincere anche i più titubanti.
È per questo che viene ordinato nel 1897, a 25 anni, trascorrendo poi gran parte della sua vita all’Istituto Cavanis di Possagno (Treviso). Naturalmente, sempre a fare l’insegnante, e per quasi 50 anni, di latino e greco; sempre metodico, paziente, zelante; sempre con «ritmo assiduo, silenzioso, tenace…».
Non c’è più traccia in lui dei difetti riscontrati dai suoi formatori; e, questo, non certo per magia, piuttosto per lo sforzo continuo cui si è sottoposto, guardando all’esempio di quella santa donna di sua madre. Che, pur essendo analfabeta, era un’educatrice nata; come padre Basilio, che adesso ripete a se stesso e agli altri che «per quanti difetti ci possano essere in un alunno non si deve mai disperare. C’è sempre un verso giusto per cui prenderlo e fargli del bene. Se non darà 10, darà cinque o sei, ed è sempre qualcosa… Ogni alunno è come un manoscritto di biblioteca: basta sapervi leggere».
E lui, a “leggere” così, ha imparato molto bene, anzi c’è chi, sotto giuramento, oggi testimonia la sua capacità di “leggere nel cuore”, dote indispensabile per chi, come lui, si dedica volentieri al ministero della confessione.
L’ha sempre considerato e stimato come “una vocazione nella vocazione” e diventa esperto direttore di anime, con il confessionale sempre assediato da studenti, seminaristi, sacerdoti, suore, gente comune e anche vescovi, con i quali è paterno ed esigente come fossero bambini.
Profondamente convinto che «un padre Cavanis che abbia un vero spirito religioso fa del bene insegnando, fa del bene confessando, fa del bene predicando, fa del bene pregando», coltiva prima di tutto la propria spiritualità, in un crescendo di profonda intimità con Dio.
Lo vedono sempre assorto in preghiera: quando è in classe, mentre cammina da un luogo all’altro, quando assiste gli alunni durante le esercitazioni scritte. Vive momenti straordinariamente intensi soprattutto durante la Messa e l’adorazione eucaristica e c’è chi giura di averlo visto sollevato da terra anche di 30 centimetri, come in estasi.
«Guardiamoci nella scuola di essere semplici professori. Facciamo del bene ai ragazzi con la massima cura… I ragazzi hanno bisogno di essere guidati con sapienza. Una sola parola buona può aprire loro nuovi orizzonti», è la raccomandazione indirizzata ai confratelli più giovani, attingendo alla sua esperienza di educatore che non si risparmia e che sa essere presente anche nei momenti di ricreazione e di svago, perché, ripete, «noi educatori se otteniamo qualche cosa la otteniamo con la carità, una parola benevola difficilmente si cancella».
La gente che lo frequenta capisce di aver a che fare con un santo: pur uscendo raramente dall’Istituto, è molto conosciuto in paese, alcuni al suo passaggio si fanno il segno di croce, tutti credono nel potere della sua preghiera e quando si teme che il cattivo tempo rovini il raccolto basta una sua benedizione per far ritornare il sereno.
Insegna fino a 78 anni compiuti, consumandosi poi nei successivi dieci anni lentamente nella preghiera, soffrendo in silenzio per piaghe diffuse in tutto il corpo che nessuno conosce e per una cecità progressiva che anche i confratelli ignorano.
«Un buono e bravo maestro è una vera benedizione per la scolaresca e lascia negli animi giovanili un’impronta indelebile», aveva scritto; al momento della sua morte, il 16 marzo 1962, non si possono contare quelle lasciate da padre Basilio Martinelli, che nel 2010 è stato riconosciuto Venerabile.
Autore: Gianpiero Pettiti
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