Infanzia
Adrienne von Speyr nasce nel 1902 a La Chaux-de-Fonds, città montana della Svizzera francese lungo il massiccio del Giura, seconda dei quattro figli di Laure Girard e dell'oculista basilese Theodor von Speyr. La madre proviene da un casato di orologiai e gioiellieri di successo; il padre ha fra i suoi antenati fonditori di campane e pittori d'arte sacra. I due figli minori, Wilhelm e Theodor, diventeranno rispettivamente medico e direttore di banca, mentre la maggiore, Helen, è la preferita della madre. La famiglia, di religione protestante, è agiata ma di rigidi costumi: i figli, crescendo sotto l'ègida di una bambinaia, possono vedere i genitori quasi solamente a pranzo, dove gli è concesso di parlare unicamente se interrogati. I von Speyr hanno un motto, "Fare senza dire" (Faire sans dire), che Adrienne terrà sempre in considerazione, iniziando le proprie memorie Dalla mia vita con il ricordo di come sua madre, d'indole vivace, si sforzasse di tacere durante le ore che il marito poteva trascorrerle vicino. D'altra parte, alla fanciulla tocca abitualmente, prima della buonanotte, una ramanzina della madre, basata sulle "mancanze" riferite dalla bambinaia.
A sei anni, mentre cammina da sola per strada nel Natale del 1908, ha un fugace incontro con un pover'uomo che la prende per mano e le chiede se vuole andare con lui. La bambina, spaventata, rifiuta e si allontana, ma successivamente penserà che avrebbe fatto meglio ad accettare, ritenendo che quell'individuo fosse Ignazio di Loyola, il fondatore dei gesuiti vissuto quattro secoli prima. Un altro episodio significativo della sua fanciullezza, che ne illustra anche il rapporto con la madre, è quando, a capodanno del 1911, mentre è in giro da sola, viene travolta in pieno da un cavallo e dalla sua slitta, sotto l'occhio dei passanti, ma rimane illesa e torna subito a casa, dove soltanto in serata la famiglia viene a sapere, dai cronisti, dell'incidente, che l'indomani viene narrato dal giornale. Alla bambina, però, non viene permesso di leggerlo, e ne scoprirà il motivo a distanza di anni: l'articolo parlava di una "incantevole piccola" e sua madre non voleva che si insuperbisse.
Ella coltiva già dall'infanzia il proposito di dedicarsi alla cura dei sofferenti, con una speciale attenzione ai poveri, per seguire le orme del padre medico, volendo aiutare come lui le persone. Un esempio di tale proposito è quando, gironzolando d'inverno nel quartiere dei poveri, si avvicina a un ubriaco che urla da solo, e lo prende per mano tentando di calmarlo, ma questi le risponde di tornare a casa e riferire a suo padre di non lasciarla più girare così.
Da bambina trascorre spesso il pomeriggio dalla nonna materna, che le permette di stare in silenzio vicino alla finestra, onde apprenda a fare raccoglimento e a risolvere da sé i problemi; oppure, se interrogata, risponde prontamente a ogni domanda della nipote, e le racconta storie illuminanti. La nonna rappresenta per lei una figura di riferimento, insieme al padre, e ha un ruolo decisivo nello sviluppo umano e spirituale della ragazza. Quando, nel 1913, l'anziana muore, Adrienne si chiude in se stessa per il dolore.
Adolescenza
Nel corso dell'adolescenza legge più volte una biografia dell'infermiera Florence Nightingale e un libro di Noëlle Roger, Docteur Germaine, sulle difficoltà familiari di una dottoressa che infine rinuncia a esercitare la professione medica. Qualche anno dopo, mentre impara il russo, legge Fëdor Dostoevskij, sulla cui idea della verità terrà una conferenza ad altre giovani, e tutti gli scritti di Victor Hugo.
Benché la madre sia contraria, suo padre acconsente a che la figlia segua il ginnasio, dov'ella si applica con entusiasmo e profitto, aspirando a diventare dottoressa. Trascorsi due anni, però, sua madre riesce a toglierla dal ginnasio, preoccupata di veder la figlia circondata da ragazzi, e per la stranezza del suo intento – come donna, a quell'epoca – di studiare medicina. Adrienne frequenta per un anno, con tristezza, la scuola superiore femminile, ma continua a studiare di nascosto anche le materie del ginnasio, per tenersi in pari. Così, nell'inverno del 1917, prende l'abitudine di svegliarsi ogni notte verso l'una, per studiare greco e latino due ore, facendo poi molta fatica ad alzarsi al mattino.[18] Una volta il padre la sorprende, in piena notte e al gelo, mentre impara vocaboli di greco, allora le permette di tornare al ginnasio, dove viene accolta trionfalmente dai compagni: è l'unica ragazza, ed è considerata esemplare in quanto a tempra, oltreché per il suo humour. In un'occasione, per esempio, l'insegnante di geografia colpisce in faccia, con una riga, un proprio alunno. Adrienne interviene, lo prende per il collo e, volgendo il docente verso la classe, chiede: "Avete mai visto un vile? Eccolo qui".
In tali occasioni (già alle elementari aveva tirato un forte schiaffo alla maestra, dopo che questa aveva picchiato un'alunna) suo padre si mostrava comprensivo, appurato che la figlia avesse difeso un compagno, e rispondeva: "Queste cose andranno male ancora; benissimo".
Nel novembre del 1917 si sveglia una mattina con una lunga visione, in camera propria, della Madonna circondata da angeli. Tali figure le appaiono come in un quadro, sulla parete, ma nel contempo risultano a lei "vive", in movimento, e non le trasmettono spavento, bensì meraviglia e gioia. Fra loro, la giovane riconosce anche Ignazio e altri santi. Da allora, ella avrebbe custodito una ferita sul cuore, sotto il seno, come simbolo d'intima appartenenza a Dio, identificando in seguito, tra le figure viste, il suo direttore spirituale Balthasar, convinta che la ferita fosse stata preparatoria dell'incontro avuto con lui.
A questa fervida vita interiore – di cui fanno parte, stando al racconto che ne farà in seguito, le esortazioni alla pazienza che la giovane riceve segretamente da un angelo – si contrappone un rapporto assai teso con la madre, che la considera una figlia "fallita", continuamente fonte di preoccupazioni, a cominciare dal travagliato parto. Mentre sua sorella maggiore la tiranneggiava, sua madre si chiedeva spesso se non avessero scambiato la minore nella culla, perché era diversa in tutto dagli altri membri della famiglia, e Adrienne ricorderà ad esempio che, all'età di quattordici anni, sua mamma la definiva, quasi ogni giorno, "brutta in maniera ripugnante".[25] Eppure, già dalla prima giovinezza, la ragazza suscitava grande fascino, e scherzosamente affermerà di aver avuto tanti ammiratori da poterne sposare, se avesse voluto, uno alla settimana.
Nel febbraio del 1918 suo padre, in procinto di assumere una cattedra a Basilea, muore per una perforazione allo stomaco, mentre ella si stava preparando al suo primo ballo, dopo essersi fatta consigliare, proprio dal padre, di quale dei tanti cavalieri dovesse accettare l'invito. La madre, che ora le proibisce di vedere il padre morto, si era rifiutata di far venire un chirurgo da fuori città, e quello che lo aveva visitato era incorso in una diagnosi errata, sottovalutando il problema, come poi dimostrato dall'autopsia. Le ultime parole che il padre, la sera prima di morire, aveva rivolto alla figlia, erano state: "Grazie di tutto, mia piccola; la vita non è facile per te, ma rimani come sei".[28] In primavera, avendo ricevuto delle avance da un medico che era conoscente del padre – ed è corteggiatore della madre – la giovane è presa da un tale disgusto che per la prima volta ha la tentazione, non attuata, di togliersi la vita.
Sebbene la famiglia venga aiutata economicamente dai parenti, sua madre licenzia la domestica e Adrienne si sobbarca i lavori di casa. Per accontentare la madre, frequenta oltre al ginnasio la scuola commerciale, e non smette di lavorare nonostante la febbre, finché viene ricoverata nel sanatorio di Langenbruck per una forma avanzata di tubercolosi. In estate, un medico le comunica che non ha speranza di sopravvivere fino alla successiva primavera. Pare invece resistere, e allora viene trasferita a Leysin, dove rimane in cura due anni. Presso lo chalet Espérance organizza conferenze su argomenti filosofici e religiosi, mentre la madre sembra averla dimenticata, e nemmeno i cugini che versano la retta al sanatorio paiono interessarsi a lei, tanto che la ragazza non si vede assistita nelle esigenze primarie e, come scriverà, apprende "nel più profondo di me stessa cosa significa essere un mendicante".
Non ancora del tutto guarita, alla fine del 1920 segue un corso da infermiera, temendo che la sua fragile salute non le avrebbe permesso di diventare dottoressa, nell'ospedale delle diaconesse di Saint-Loup, circondata da una spiritualità protestante verso la quale si sente estranea. Assistendo per la prima volta a un intervento chirurgico, ella sviene, perciò – appena rinvenuta – viene costretta, per imparare a concentrarsi, a tenere alzata la gamba di un uomo, operato alla zona genitale, durante un altro intervento, avvertita di quanto sarebbe pericoloso lasciare la presa. In seguito il sovraccarico di lavoro le produce una ricaduta, sicché trascorre sei mesi di riposo alla Waldau, la clinica psichiatrica bernese diretta da suo zio, Wilhelm von Speyr, dove ha passato sin da bambina dei periodi di ferie, intrattenendosi nel grande giardino e familiarizzando con i pazienti. Qui conosce lo psichiatra Oscar Forel e la sua famiglia, con cui entra in confidenza.
Studi a Basilea
A causa della malattia perde tre anni di presenza al ginnasio, ma ciò non le impedisce, finalmente guarita, di riprenderne la frequenza. Dall'agosto del 1921, nonostante abbia scarsa dimestichezza col tedesco, si adatta a vivere e studiare a Basilea, dove la madre si è trasferita in compagnia degli altri figli. Nella città renana fa amicizia col filosofo Heinrich Barth, fratello del teologo Karl Barth, e con la logopedista Eva Bernoulli. Nello stesso periodo prende lezioni di pianoforte, per la cui pratica le vengono chieste tre ore almeno di esercizio quotidiano. Diventa inoltre confidente del rettore scolastico, e consigliera per le proprie coetanee. Segue in proposito, con fatica, una dozzina di sermoni alla chiesa di San Matteo, dove predica il padre di una sua amica di scuola, poiché questa le ha confidato di non andare d'accordo con lui, e Adrienne vuole capire come aiutarla; infine le suggerisce, semplicemente, di andare a passeggio col genitore un pomeriggio intero, e la compagna le fa sapere: "Mi hai restituito mio padre, grazie!". Benché la sua giovinezza sia ricca di esempi, come questo, di interesse verso i bisogni altrui, Adrienne subisce un giorno una scenata della madre, che la pone di fronte all'idea di non aver compiuto ancora nulla di concreto nella vita, cosicché la ragazza medita di gettarsi nel Reno, dal ponte della ferrovia. Mentre fissa i vortici del fiume, si convince che la decisione è irrevocabile, ma un improvviso raccapriccio la distoglie da essa, facendogliela apparire vile. Torna dunque a casa, dove non fa parola con nessuno, ma apprende dalla sorella Helen che proprio quel pomeriggio una donna si è gettata nel fiume dal ponte ferroviario, venendo ripescata morta.
Conseguita la maturità in appena un anno e mezzo dalla guarigione, intraprende lo studio della medicina, per quanto sua madre la preghi di desistere, avendo in mente per lei un impiego come segretaria in banca, affinché guadagni lo stipendio, e poiché intende farla sposare con un impiegato bancario. La delusione della madre, alla fine, è tale che per molte settimane non rivolge la parola ad Adrienne, e proibisce agli altri figli di farlo.
Sebbene in questo periodo la musica rappresenti per lei una strada verso Dio, che le appare sempre più lontano e distaccato, la giovane rinuncia a suonare il pianoforte e comincia a dare lezioni private fino a tarda notte, dal momento che i parenti rifiutano di pagarle gli studi.
La sala di anatomia le suscita inizialmente ripugnanza, ma la supera pregando per i defunti di cui deve sezionare i corpi. All'Università di Basilea segue, fra le altre, le lezioni di Friedrich Zschokke e del suo assistente Adolf Portmann, di Rudolf Stähelin e Robert Doerr, oltreché quelle di Gerhard Hotz e del suo allievo Franz Merke. La giovane instaura con Portmann e Merke un'intensa amicizia.
Durante l'estate del 1924 compie da sola, a mo' di vacanza, un giro della Svizzera in bicicletta. A distanza di due anni, nel 1926, trascorre invece le ferie estive come assistente in ospedale, dopo averne fatto richiesta a Gerhard Hotz, che nella stessa occasione le fa promettere di non rinunciare alla medicina per niente al mondo. Ella sta infatti avendo dei ripensamenti dopo che un altro docente, Kurt von Neergard, ha causato di fronte a lei e ad altri studenti la morte improvvisa di un paziente, iniettandogli cocaina anziché novocaina, e accollando poi la colpa all'infermiera. Adrienne tenta di convincerlo ad assumersi le proprie responsabilità, finché, appurato che questi non intende farlo, boicotta le sue lezioni a lungo, tanto che Neergard si trova infine costretto a rinunciare alla cattedra di Basilea. Nel frattempo Hotz muore prematuramente, e Adrienne ne rimane profondamente toccata.
Ella è inoltre alle prese con un corteggiatore molesto, il suo compagno di università Guénin, che continua a farsi avanti benché la giovane si prodighi a cacciarlo, non supportata però dalla madre, speranzosa che la figlia lo sposi. Guénin continuerà a perseguitare Adrienne per anni, in maniera ciclica, pur quando lei sposerà Dürr.
La sua autobiografia Dalla mia vita si conclude tornando con la mente al 1º agosto 1926, quando Franz Merke le chiese se poteva restare con lui quella sera in ambulatorio, dato che tutti gli altri intendevano andare a una festa. Il "sì", pronunciato in tale occasione, le sarebbe apparso in seguito di enorme importanza, per il senso di responsabilità di cui la investiva un suo insegnante, sicché, in continuazione di quel legame, ella avrebbe scelto più tardi proprio Merke come padrino di battesimo.
Medico e moglie
Superato l'esame di Stato nel 1928, svolge la professione dapprima in ospedale e poi, dal 1931, in un ambulatorio privato, costantemente affollato, presso il "ponte di mezzo" sul Reno, a Basilea, dove nel corso dei decenni andrà crescendo la sua fama, oltre che di medico, di taumaturga. Ne verrà dipinto il quadro di dottoressa eroica, alle prese con sessanta e più pazienti al giorno, attenta ai loro mali, non solo fisici, bensì morali: impegnata a dissuadere i coniugi dalla separazione, nonché le donne – a centinaia – dalla volontà di abortire, con un interesse spiccato verso le ragazze madri e i poveri, i quali rappresentavano la maggioranza e ricevevano cure gratuite. Lascerà vari scritti sull'etica medica e sul rapporto con il paziente, trattando scrupolosamente anche problematiche attinenti alla sfera sessuale. È ritenuta da alcune fonti la "prima donna a esercitare la professione di medico in Svizzera" o la "prima donna svizzera ammessa alla professione", sebbene vi sia almeno il caso, degno di nota, della dottoressa russo-svizzera Charlotte Olivier, celebre per il suo impegno contro la tubercolosi, la quale, avendo fondato lo chalet Espérance ed essendo cugina della Speyr, si era occupata di lei a Leysin.
Nel 1927 sposa Emil Dürr, docente di storia, vedovo con due figli piccoli, conosciuto nello stesso anno durante una vacanza estiva a San Bernardino. In seguito alla morte di Dürr, nel 1934, ella si trova nuovamente a un passo dal suicidio, ma il suo ex insegnante Franz Merke la distoglie da tale proposito. Rimasta sola con i due figliastri – il cui nonno, Adolf Baumgartner, ha avuto Nietzsche e Burckhardt per amici – nel 1936 si rimarita con Werner Kaegi, che era stato allievo e assistente di Dürr, e ora insegna presso la medesima cattedra all'Università di Basilea.
Per la Speyr non era ammissibile una terza strada fra vita religiosa e matrimonio, ovvero non concepiva teologicamente lo status dei non sposati, come argomentato nelle Lettere sull'amore e il matrimonio (tema poi ripreso ne Gli stati di vita del cristiano, che porta l'identico titolo di un'opera balthasariana); inoltre la cerchia protestante in cui ancora si trovava non le offriva un'alternativa a un secondo matrimonio. Secondo la biografia di Marcello Paradiso «amò molto il primo marito, si occupò fedelmente e maternamente del secondo per tutta la vita». Se nell'arco del primo matrimonio era incorsa in tre aborti spontanei, dovuti alle eccessive fatiche, il secondo non venne consumato, e Adrienne scriverà nel diario che la verginità, di cui fece voto, le era stata ridonata.
Sodalizio con Balthasar
Nel 1940, colpita da un grave infarto, trascorre l'estate in ospedale. La debolezza cardiaca l'accompagnerà per il resto dell'esistenza, limitandola nei movimenti. Dopo la scomparsa di Dürr, Adrienne non era più riuscita a recitare il Pater Noster senza che le riuscisse insincera la supplica Fiat voluntas tua. In autunno ha un primo incontro con il teologo Hans Urs von Balthasar, mediato da un amico di entrambi: il critico letterario Albert Béguin. Balthasar le parla dei poeti Paul Claudel e Charles Péguy, che sta traducendo, e le spiega che col Pater ci si rende disponibili, nei confronti di Dio, «ad essere assunti dalla sua opera e sempre impegnati in essa»; parole che sciolgono le esitazioni di Adrienne. Nello stesso anno, alla festa di Ognissanti, ella riceve il battesimo cattolico, mentre l'amico Béguin viene battezzato due settimane dopo, avendo la Speyr per madrina, e fungendo da padrino quando lei ottiene la confermazione, mentre la famiglia di Adrienne, scioccata dalla sua conversione, prende sul momento le distanze.
La Discesa agli inferi di Pietro Lorenzetti nella basilica inferiore ad Assisi. La Speyr, prima della conversione, andò nelle chiese italiane a pregare, e, nei suoi ultimi anni, trascorse lungo tempo a ricamare le immagini di Assisi.
A pochi mesi dal battesimo, ha luogo la prima delle sue "passioni", cioè il rivivere la passione di Gesù, che la mistica asserirà di sperimentare ogni anno durante la Settimana santa, secondo quanto le avrebbe annunciato un angelo nella primavera del 1941, "Ora inizierà subito", con molta serietà e senza darle a intendere cosa l'aspettava. Ciascuna di tali esperienze, sempre cangianti fra loro, culminano per lei con la discesa all'inferno nel giorno del Sabato santo, e i loro resoconti, estratti dai diari della Speyr, verranno raccolti da Balthasar nel libro Croce e inferi. Questo testo ispirerà le pagine di Gloria (tomo VII, 1969) in cui Balthasar elabora la "teologia dei tre giorni", tematizzando poi nella TeoDrammatica (tomo V, 1983) una "dilatazione della speranza" fondata sul "subabbraccio" (Unterfassung) – concetto centrale nella riflessione di Balthasar come in quella della Speyr – che esprime l'amore trinitario di Dio, il quale, dopo la morte in croce, scende agli inferi per assumere su di sé il peccato, ovvero prenderlo (fassen) da sotto (unten) in sostituzione vicaria (Stellvertretung). Balthasar scrive in proposito che «il subabbraccio di tutti i peccati per mezzo dell'infinità dell'amore di Dio avvalora l'idea che il peccato, il male, dev'essere limitato e finito, e che troverà pure la sua fine nell'amore che lo abbraccia». Tale concezione escatologica, ripresa in un convegno del 1984 sulla figura di Adrienne von Speyr, causerà l'attribuzione a Balthasar della formula secondo cui "l'inferno esiste, ma è vuoto", benché egli preciserà di aver semplicemente affermato la liceità, già avvalorata da teologi antichi e moderni, di "sperare per tutti". Una speranza, quella nella redenzione di tutti, che è forte nella Speyr. Nelle sue visioni dell'inferno, costituite da un radicale vuoto, dove regna il nudo peccato senza il peccatore, ella pativa l'estremo senso di solitudine del Figlio "staccato" dal Padre, e attraversava gravi sofferenze fisiche, oltreché spirituali, palesate esteriormente da stigmate, della cui autenticità, cioè del fatto che non avessero matrice psicologica, Balthasar era convinto, come del resto era persuaso che Adrienne non ponesse "mai personalmente un limite al suo assumersi il dolore altrui". Le stigmate, che risalirebbero al 1942, si sarebbero in seguito rimarginate per preghiera di lei, angosciata al pensiero che, nonostante le fasce, i segni fossero visibili. Nel 1942 avrebbe inoltre udito, in preparazione a un'esistenza sul crinale tra la realtà mondana e quella celeste, la voce: "Tu vivrai in cielo e sulla terra" (Tu vivras au ciel et sur la terre), accompagnata da una luce che, trovandosi ella in automobile, sarebbe stata notata da un passante, preoccupato che la macchina della dottoressa stesse bruciando.
A partire dalla conversione della Speyr, Balthasar intrattiene con lei, per ventisette anni, uno stretto rapporto di collaborazione, vivendo per oltre quindici anni sotto il suo stesso tetto – dopo esser uscito dall'Ordine dei gesuiti dietro istruzione di Adrienne – e affermando in seguito di aver ricevuto, dal punto di vista teologico, più lui da lei che viceversa. L'11 febbraio 1950, infatti, Balthasar esce dall'Ordine e, superato un breve periodo in cui non può restare a Basilea per l'ostilità del vescovo, vive ospite dei coniugi Kaegi, dal 1956 in maniera stabile, occupando una stanza vicina a quella di Adrienne, nella stessa casa in cui si erano trasferiti i figli di Dürr, per i quali Kaegi era stato un padre adottivo. La mistica aveva desiderato morire, affinché al suo direttore spirituale fosse risparmiato l'allontanamento dalla Compagnia, ma egli le proibì tale pensiero, dichiarando successivamente, onde premunirsi dalle accuse di "credulità" verso le parole e le esperienze di lei, che «nessuno saprà mai quante prove tangibili della verità soprannaturale ho ottenuto. È come se si fosse voluto ficcare in testa a mazzate la verità. Una nuvola di testimoni, una vera pioggia di prove si è abbattuta su di me da tutte le parti. Visto dal di fuori, ciò che ho fatto o farò può apparire un azzardo. Ma dal di dentro non lo è mai stato. Tutto era sostenuto fin dall'inizio da una incredibile Grazia, e solo alcuni momenti di difficoltà sono stati duri da superare. Non ho mai avuto il minimo dubbio».
Sin dall'inizio del trentennio di collaborazione, Adrienne medita, al ritorno dall'ambulatorio, su qualche versetto biblico, e detta "ciò che vede" a Balthasar per circa mezz'ora, mentre il celebre teologo, che ha imparato apposta il metodo stenografico, annota scrupolosamente ogni parola, conscio che solo lui può farlo, poiché ella non riesce ad aprirsi di fronte a un'altra persona. Dal gennaio del 1943, per due anni, indica a Balthasar come realizzare il progetto di un istituto secolare, che lei chiama "il bambino", da porre sotto il segno dell'apostolo Giovanni: la Johannesgemeinschaft (Comunità di San Giovanni), fondata ufficialmente l'8 dicembre 1944 a Basilea. La Speyr scrive una buona fetta delle Regole della Comunità – pur precisando che queste non debbano essere fissate prima che siano trascorsi dieci anni, avvertendo: "Se volete impedire allo Spirito Santo di agire in una fondazione, cominciate con lo stabilire delle regole" – e tiene delle lectio, in particolare sul Vangelo secondo Marco, alle giovani che ne fanno parte. Al principio del 1941, infatti, la Madonna le avrebbe raccomandato di "prendersi cura delle ragazze" e delle loro vocazioni. Alcune conferenze vengono tenute da Romano Guardini, Henri De Lubac, Gertrud von Le Fort e altri amici di Balthasar.
Il 9 agosto 1945 Adrienne ha una lunga visione dell'Apocalisse di Giovanni, descritta a Balthasar e da questi riportata, sotto forma di commento biblico, come Meditazioni sulla rivelazione nascosta. Per poter dare alle stampe le opere della mistica, vista la difficoltà di trovare un editore ben disposto, Balthasar fonda nel 1947 la casa editrice Johannes Verlag, anch'essa intitolata al "discepolo che Gesù amava", la quale pubblica inoltre, nella traduzione in tedesco della Speyr, Storia di un'anima di Teresa di Lisieux (Theresia vom Kinde Jesus: Geschichte einer Seele. In neuer Übertragung von Adrienne von Speyr). Della santa del Bambin Gesù, Adrienne apprezza la ripulsa verso ogni forma di narcisismo e l'accoglimento delle grazie mistiche al fine di rimetterle umilmente al servizio della Chiesa. Dalla Pasqua del 1948 ella si considera a tal punto addentro alle realtà ultraterrene da domandarsi se il mondo sensibile sia veramente reale.
Ultimi anni
« Grazie, grazie, grazie. »
(ultime parole di Adrienne von Speyr)
Dal 1950 le viene chiesto raramente di dettare, per via del suo progressivo peggioramento di salute, e nel 1953 la mole di scritti ha già raggiunto sessanta volumi; tuttavia ella si sente più che mai immersa nelle visioni divine, che desidera continuare a comunicare. Il diabete le produce un vistoso aumento di peso e problemi alla vista, mentre l'osteoartrosi le causa gravi difficoltà di locomozione, che nel 1954 la costringono a rinunciare a malincuore all'attività ambulatoriale. Nel 1955 i medici la considerano giunta alla fine, tanto da stupirsi che non muoia; in compenso ella afferma di sperimentare, sin dagli anni quaranta, una successione di "morti mistiche", attraverso cui rivive costantemente l'esperienza della morte, e di "viaggi", sia in luoghi santi, fra il silenzio dei conventi o laddove il Santissimo Sacramento attende una preghiera, sia fra le atrocità della guerra, immersa negli stati d'animo delle vittime come dei carnefici.
Nonostante il suo corpo sia esposto, per le precarie condizioni fisiche, a "tutti i registri del dolore", secondo la definizione di Balthasar, la mistica non disdegna anche atti di penitenza volontaria, che ritiene le siano indicati da Ignazio. Ad esempio, nel 1963, Balthasar parte in viaggio per una vacanza, ma si vede costretto a tornare dopo pochi giorni poiché Adrienne gli fa sapere per telefono che sono "richiesti molti atti di penitenza". Ritenendosi istruita, sin da giovane, alla penitenza corporale, ella rifiuta per sé i palliativi contro il dolore. Già ai tempi della scuola, oltre a infliggersi colpi con un oggetto, per "offrire" la sofferenza, inseriva nelle proprie scarpe alcune pietruzze che non avrebbe potuto togliere, altrimenti – pensava – "tutti domanderebbero: come mai sono entrate?".
Nel 1964 perde quasi completamente la vista, benché tenti ancora di scrivere da sé numerose lettere, che talvolta rimangono in bianco quando non le è possibile accorgersi della mancanza d'inchiostro. Avendo perduto, già prima della vista, la sensibilità ai piedi, non ha più modo di camminare, nemmeno tastando, sicché le occorre essere trasportata. Malgrado tutto, Adrienne non smarrisce mai, secondo Balthasar, la propria serenità, la fondamentale felicità – esprimente per lei l'autentico senso della vita – e l'umorismo. Ella ripeteva di aver provato del malumore solamente in un'occasione, durante l'arco dell'esistenza, quando s'era sfinita dopo aver guidato l'automobile per un'intera giornata. Sentendosi finalmente a un passo da Dio, l'espressione che caratterizza i suoi ultimi giorni diventa: "Com'è bello morire!" (Que c'est beau du mourir!), frase esclamata prima di ringraziare per ogni cosa, ripromettendosi di offrire aiuto dal cielo. Deceduta alla festa di Sant'Ildegarda, medico medievale che era stato da lei venerato, Adrienne viene sepolta nel giorno in cui avrebbe compiuto sessantacinque anni, con il simbolo trinitario apposto sulla propria tomba, scolpito da Albert Schilling.
Pensiero
Fra le opere di Adrienne von Speyr, la parte più rilevante è costituita da commenti biblici, pubblicati per primi e con l'imprimatur ecclesiastico, poiché considerati validi, nel contenuto, a prescindere dalla misura in cui possano essere scaturiti da particolari carismi. Tali opere hanno origine dalla riflessione contemplativa di Adrienne, dalla sua preghiera, senza alcuna base di esegesi scientifica. Ella, ad esempio, non si pone affatto il dilemma se l'autore del Vangelo secondo Giovanni sia il medesimo dell'Apocalisse, ma assume come pacifico che gli scritti neotestamentari custoditi dalla tradizione sotto il nome dell'apostolo Giovanni siano effettivamente opera sua.
Nella Speyr è viva l'esigenza di ricondurre la contemplazione cristiana alla sua fonte biblica, nella convinzione che il mondo, espressione di Dio, risulti comprensibile solo tramite la parola di Dio. Ella ha così dato nuovamente al misticismo un ruolo centrale nella storia della salvezza, riscattando la mistica, a giudizio di Balthasar, «da un'esistenza nascosta, in cui viveva sempre di più incompresa, anzi disprezzata, bandita e ignorata dalla teologia ufficiale e dalla predicazione».
Il suo direttore spirituale evitò di far stampare le opere esplicitamente mistiche di Adrienne mentre questa era in vita, per non aggiungere preoccupazioni a lei e alla sua famiglia, cosicché esse vennero pubblicate successivamente, rispetto ai commenti biblici, nei dodici volumi degli Scritti postumi, e la divulgazione dell'Opera omnia ricevette a metà degli anni ottanta un'espressa approvazione papale. Dopo la morte di lei, Balthasar definì l'opera complessiva di Adrienne "molto più importante" della propria, nella persuasione che, allorché i volumi postumi fossero giunti a pubblicazione, i lettori avrebbero ringraziato Dio "perché ha donato tali grazie anche nel nostro momento ecclesiale".
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