1 settembre 1952 - 27 agosto 2018
Aveva cominciato suonando il flicorno baritono nella banda musicale del suo paese, Molteno (Lecco). Poi la chitarra, il basso, la batteria, il flauto…Negli anni 1973-1975 arrivò il successo strepitoso anche all’esterocome cantautore del Biglietto per l’Inferno.Un nome strumentalizzato e frainteso in pieno clima sessantottino, con lui che era diventato per qualcuno la “Voce del diavolo”. Vestito alla maniera di un principe di Galles sul palco era un autentico mattatore. Eppure dentro non si sentiva appagato. Le amicizie sbagliate, un rocambolesco viaggio in India, la decisione di chiudere con la carriera musicale, un fallimentare tentativo di dedicarsi a un’attivita commerciale. Tutto per un’insaziabile ricerca interiore che lo portò a imbattersi anche nella setta degli Hare Krishna in Toscana guidata da un guru indiano. Fino a un incontro che si è rivelato decisivo con fra Mario Rusconi dell’Eremo di Minucciano. A 38 anni iniziò il postulandato presso l’eremo e nel 1999 fece la professione perpetua nella chiesa di Sant’Antonio a Valmadrera. Era l’inizio di un’altra vita, senza alcun rimpianto per il passato. E anzi all’eremo è riuscito a far fruttare tutti i suoi talenti: nella pittura, nella scultura, nella poesia e nella musica, la sua inseparabile musica. Ispirato e circondato dalla bellezza di una natura incontaminata.
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Classe 1952, la vicende della vita di Claudio disegnano una parabola del tutto atipica e singolare portandolo dalle luci della ribalta rock degli anni ‘70-‘80 all’intima solitudine monastica toscana. Era l’albeggiare degli anni ‘90 quando Claudio, affermato vocalist che dai “The gee” era passato ai “Biglietto per l’inferno”, decise di lasciare il suo biglietto canoro e convertirlo in uno di sola andata per l’eremo di Minucciano, passando per il santuario di San Martino a Valmadrera.
“Voce del diavolo” lo chiamava qualcuno, considerato il genere musicale e il nome della Band, ma fra Claudio spiegava qualche tempo fa ad Avvenire (28 gennaio 2018): «Molti all’inizio pensarono che fossimo una band satanica. Ancora adesso chi lo pensa non ha capito nulla. La scelta di quel nome era per dire noi ti facciamo sentire canzoni che raccontano l’inferno di questo mondo: il terrorismo, la droga, l’emarginazione, il carcere. Certo risentivamo del clima sessantottino dell’epoca ed era facile essere strumentalizzati. Ma non ho mai aderito a manifestazioni politiche, né tantomeno alle proteste».
Ai concerti arrivavano anche 10 mila persone e la band suonava con i migliori gruppi (Pfm, Area) e cantanti come Finardi, Battiato, Bennato.
Fama e vita da rockstar. Eppure c’era qualcosa che non andava: «Arrivavo a casa la sera e stavo malissimo. Non ero felice. Né le droghe che ho sempre rifiutato, né le relazioni con le ragazze potevano riempire il mio vuoto: non erano amori puri. Avevo bisogno di un’amicizia vera. Quando ero da solo stavo male. Fu allora che mi fidai di uno che credevo mio amico e partii con lui per l’India. Ma in una delle feste a cui partecipammo misero probabilmente degli stupefacenti nel cibo e cominciai a star malissimo. Il mio compagno di viaggio fuggì. Mi ritrovai solo. Mi rubarono tutto e io stesso davo mance a tutti. Fui costretto a vendere anche la chitarra. Per tre mesi rimasi laggiù fino a quando l’ambasciata italiana mi rispedì a casa».
Ma fu allora che spuntò una nuova consapevolezza: «Quando rientrai mi prese un forte senso di colpa verso la mia famiglia e coloro che mi conoscevano. Andavo in giro e chiedevo scusa a tutti. Mi davano del matto: solo mia madre intuì che stava avvenendo un vero cambiamento in me. Ormai della band non volevo più saperne, nonostante la pressione dei compagni e anche di giornalisti stranieri».
Claudio decise di aprire un negozietto in cui lavoravo la pella, ma facevo prezzi così bassi che fu costretto a chiudere. «Andavo alla ricerca di risposte interiori che non trovavo. E così m’imbattei nella setta degli Hare Krishna. Per un anno e mezzo frequentai una loro comunità in Toscana guidata da un guru indiano. Mi vestivo come loro con casacca e pantaloni arancioni».
A quel punto, decisivi furono alcuni incontri: «Conobbi una ragazza, consacrata a Maria, che quando parlava mi lasciava esterrefatto. Non avevo perso le mie radici cristiane e ogni tanto salivo al Santuario mariano di Valmadrera. Una volta ci andai vestito da Hare Krishna. La custode sbigottita per quell’abbigliamento mi mandò dalla persona che avrebbe potuto aiutarmi. Era fra Mario Rusconi dell’Eremo di Minucciano. Ci andai subito e ne fui conquistato. La setta continuava a rimproverarmi. Ma io sentivo di non poter più lasciare Gesù. Avevo trovato Chi mi stava cercando».
Qui nasce la sua incredibile testimonianza di fede. A 38 anni «ho iniziato il postulandato presso l’eremo e nel 1999 ho fatto la professione perpetua nella chiesa di Sant’Antonio a Valmadrera».
Eppure all’inizio il passato era un macigno: «Non salvavo niente della mia vita precedente. Poi ho capito che Dio perdona e dimentica. E anche nelle mie canzoni di allora ho riconosciuto l’educazione cattolica della mia famiglia. Anche il brano più famoso “Confessione” riflette sul perdono che presuppone sempre il pentimento».
In quell’eremo fra Claudio ha vissuto la sua vocazione, scandita non solo dalla solitudine. Non a caso ricordava le centinaia di giovani salire all’Eremo: «Non vengono per caso. Qui trovano una comunità di fratelli che li vuole bene. Molti sono infelici. Gli hanno tolto il Paradiso, la speranza di una vita eterna. Per questo raccomando loro di andare sempre oltre e non altrove: se tu ascolti la voce del Signore, vai oltre gli ostacoli, i tuoi limiti. Altrove, vai solo dove vuoi tu. Ecco il potere della preghiera. Fa sì che Dio ti prenda in braccio. Dio è oggi la mia roccia, il mio rock».
Autore: Gelsomino Del Guercio
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