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Bourg-de-Péage, Francia, 31 gennaio 1914 - Médéa, Algeria, 21 maggio 1996
Paul Dochier nacque a Bourg-de-Péage, in Francia, il 31 gennaio 1914. Studiò Medicina e prestò servizio militare in Algeria come sottotenente medico. Il 7 dicembre 1941 entrò nell’abbazia trappista di Aiguebelle come fratello converso, assumendo il nome di fratel Luc. Dal 1943 al 1945 sostituì un ex collega, padre di quattro figli, come prigioniero di guerra. Nel 1946 partì per il monastero di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine, dove professò i voti perpetui il 15 agosto 1949. Per cinquant’anni curò gratuitamente le popolazioni della montagna, meritando la loro stima. Nel luglio 1959, durante la guerra d’indipendenza in Algeria, fu prigioniero per dieci giorni: ne uscì malato di asma e sul punto di cadere in depressione. Anche per questa ragione, imparò a sdrammatizzare le situazioni più o meno difficili che affrontava insieme ai confratelli e alla gente del Paese. Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, a ottantadue anni, fu rapito insieme a cinque monaci della comunità più padre Bruno Lemarchand, proveniente dal monastero annesso di Fès, di passaggio a Tibhirine per l’elezione del nuovo priore. Un comunicato del Gruppo Islamico Armato (GIA), datato 21 maggio 1996, annunciò la loro esecuzione. I sette monaci di Tibhirine, compresi in un gruppo che conta in tutto diciannove martiri, tutti religiosi, uccisi durante i cosiddetti “anni neri” per l’Algeria, sono stati beatificati l’8 dicembre 2018 a Orano, sotto il pontificato di papa Francesco. La memoria liturgica di tutto il gruppo cade l’8 maggio, giorno della nascita al Cielo dei primi due che vennero uccisi, fratel Henri Vergès e suor Paul-Hélène Saint-Raymond. I resti mortali di fratel Luc e dei confratelli (furono ritrovate solo le teste senza i corpi) sono venerati nel cimitero del monastero di Nostra Signora dell’Atlante.
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Gli anni della giovinezza
Paul Dochier nacque a Bourg-de-Péage, nella regione francese della Drôme, il 31 gennaio 1914, ultimo di tre figli. A diciassette anni perse il fratello maggiore, André, malato di tubercolosi. Fu probabilmente questo a condurlo alla scelta di diventare medico.
Iniziò la pratica ospedaliera nel 1934 e, quattro anni dopo, l’internato presso la facoltà di Medicina nell’università di Lione. Grazie a un collega, cominciò a frequentare l’abbazia trappista (ossia dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza) di Aiguebelle. Nel 1937, durante un soggiorno in quel luogo, si sentì profondamente sconvolto nel suo intimo: da allora, cominciò ad alternare le proprie giornate tra l’ospedale e l’abbazia.
Sottotenente in Marocco
L’abate gli chiese di terminare gli studi, prima di entrare definitivamente. A confermarlo nella vocazione fu l’incontro con Marthe Robin (Venerabile dal 2014), poi fondatrice dei Focolari della Carità (Foyers de Charité), a Châteauneuf-de-Galaure. Concluse l’università, ma poté discutere la tesi solo nel 1940, perché intanto aveva iniziato il servizio militare.
Fu inviato inizialmente a Casablanca, ma chiese di essere trasferito a Goulimine, un importante centro carovaniero nel sud del Marocco. Rimase lì per due anni, anche dopo aver ottenuto la licenza di esercitare la medicina, tanto era rimasto colpito dalla povertà delle popolazioni del luogo.
Fratello converso trappista
Poco dopo la morte della madre, il 7 dicembre 1941, Paul entrò nell’abbazia di Aiguebelle. Scelse volutamente di essere fratello converso, ossia lo stato di vita monastica che poteva permettergli un servizio più umile.
In onore di san Luca, l’evangelista che la tradizione vuole fosse anche medico, assunse il nome di fratel Luc. Cominciò quindi il suo cammino ordinario, tra la lavanderia e la cucina dell’abbazia.
Prigioniero di guerra volontario
Non molto tempo dopo, però, venne a sapere che un suo ex collega, padre di quattro figli, era prigioniero di guerra a Wupperthal, nell’Alta Renania tedesca. Nell’aprile 1943, quindi, partì per sostituirlo. Lo scambio fu accettato: da allora, fratel Luc cominciò a curare i feriti del campo di prigionia, specie quelli di nazionalità russa, i più abbandonati di tutti.
Tornò ad Aiguebelle solo dopo la fine della guerra, nel 1945. Emise la professione semplice l’anno dopo, nella festa dell’Assunzione. Quindi partì per il monastero di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine, in Algeria, insieme ad altri cinque monaci. Il 15 agosto 1949 professò i voti perpetui, primo tra i fratelli conversi.
Il dispensario della carità
Sin dal suo arrivo, fratel Luc fu incaricato del dispensario collegato al monastero. Quando iniziò la guerra per l’indipendenza dell’Algeria, ebbe il permesso di curare i malati sia nel dispensario, sia a domicilio, dato che le comunicazioni con la città erano diventate difficili per la gente di montagna.
Il suo servizio gli valse il rispetto di tutti gli abitanti, che, secondo le categorie di pensiero musulmane, lo consideravano un “marabutto”, un uomo di Dio. Di fatto, anche in mezzo alle visite e alle incombenze, restava in atteggiamento orante. Prendeva spesso appunti sul margine dei suoi libri di meditazione, ovvero sull’Imitazione di Cristo, sul Nuovo Testamento e sul Messale quotidiano.
Dieci giorni di prigionia
Nel luglio 1959, nel pieno della guerra, fratel Luc e un altro monaco furono rapiti dai “fellaghas”, ovvero i nazionalisti armati. Vennero rilasciati dopo dieci giorni, solo perché uno dei rapitori riconobbe il primo come il medico che aveva curato alcuni suoi vicini.
Fratel Luc ne uscì gravemente compromesso in salute: già durante la prigionia aveva cominciato ad avere attacchi d’asma. Anche sul piano psicologico fu turbato: parecchie settimane dopo il rapimento ebbe una sindrome depressiva reattiva grave.
Una breve permanenza in Francia
Venne quindi mandato in Francia per un periodo di riposo, nel monastero di Nostra Signora delle Nevi nell’Ardèche, proprio mentre la comunità di Tibhirine rischiava la chiusura. Nella nuova destinazione fu aperto un ambulatorio apposta per lui, ma desiderava ugualmente tornare in Algeria.
Scrisse quindi all’abate generale, dom Ignace Gillet: «Credo che, nel contesto di un monastero posto al centro di una popolazione talmente povera, il gesto di occuparsi di chi è malato, di chi ha fame, di chi è senza vestiti sia un gesto evangelico ed ecclesiale che si inscrive nella tradizione monastica». L’appello venne accolto: nel 1965 fratel Luc poté rientrare a Tibhirine.
Cuoco diligente e umorista efficace
Ricominciò i suoi compiti umili, a cominciare da quello di cuciniere-capo. Aveva un’alta considerazione di quel servizio: «Col suo saper fare, il cuciniere contribuisce a mantenere un buon clima nella vita comune», commentò un giorno. Quando l’asma non lo faceva dormire, ne approfittava per cucinare in anticipo le pietanze per il giorno dopo e per dedicarsi alla lettura.
Continuò anche a curare i malati, senza preoccuparsi di ciò che, apparentemente, li rendeva diversi da lui. Per loro mendicava sussidi e aiuti spirituali, curandosi poco di se stesso. Spesso i confratelli lo vedevano con un buffo berretto in testa: era un modo con cui intendeva non essere preso troppo sul serio. Col passare degli anni, alla saggezza fratel Luc unì il senso dell’umorismo. «Io sono come un viaggiatore che, con le mani vuote, attende il treno sulla banchina»; così si definiva.
Le prime minacce
La vita di preghiera dei monaci venne turbata quando le notizie di aggressioni e uccisioni cominciarono a moltiplicarsi. Il 14 dicembre 1993, a Tamesguida, vennero sgozzati dodici croati cristiani. I monaci li conoscevano perché venivano da loro a celebrare la Pasqua. L’accaduto seguiva di due settimane l’ultimatum lanciato dal Gruppo Islamico Armato (GIA), che aveva preso il potere: tutti gli stranieri dovevano lasciare l’Algeria, pena la morte.
La notte del 24 dicembre 1993, alcuni uomini armati si presentarono alla porta del monastero e domandarono di vedere il superiore. Fratel Paul Favre-Mirille, che aveva aperto, andò a cercare padre Christian, il quale parlò col capo del gruppetto, Sayah Attiyah.
Le condizioni da lui poste, ovvero che i monaci dessero loro dei soldi, che il loro medico, ovvero fratel Luc, venisse a curare i loro malati e che dessero anche delle medicine, non vennero accettate tutte dal priore, che comunque riferì che avrebbero potuto venire al dispensario del monastero. Fece poi notare all’uomo che stavano per celebrare la nascita del Principe della Pace, ovvero il Natale di Gesù. Gli armati si allontanarono, dopo aver chiesto una parola d’ordine e aver minacciato di tornare.
Fratel Luc si prepara alla morte
I monaci erano salvi, ma non al sicuro. Si sentivano come presi tra due fuochi: da una parte quelli che chiamavano “fratelli della montagna”, ovvero gli islamisti, e i “fratelli della pianura”, ovvero i militari e le forze di sicurezza dell’esercito algerino.
Fratel Luc non si sottrasse a curare i “fratelli della montagna” come gli era stato richiesto, gratuitamente come sempre. Anche lui, come gli altri confratelli, partecipò al lungo discernimento che si concluse con la scelta di restare, per non abbandonare il popolo algerino.
Intensificò la propria preparazione alla morte, ma senza paura: «Poiché è l’incontro con Dio, la morte non può essere oggetto di terrore. La morte è Dio», lasciò scritto. Poteva quindi far proprio il titolo di una famosa canzone di Edith Piaf, «Non, je ne regrette rien» («No, non rimpiango nulla»): aveva tenuto da parte una cassetta con quel brano per il suo funerale, ma l’ascoltò insieme ai confratelli in refettorio il 1° gennaio 1994, trenta giorni prima di festeggiare l’ottantesimo compleanno.
Il rapimento e il martirio
Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, fratel Luc venne rapito insieme a sei monaci, compresi quelli già citati e con l’aggiunta di padre Bruno Lemarchand, proveniente dal monastero annesso di Fès, di passaggio a Tibhirine per l’elezione del nuovo priore.
Altri due, padre Amedée Noto e padre Jean-Pierre Schumacher, insieme a un ospite del monastero, scamparono al rapimento. Mentre cercavano gli altri, notarono che il dispensario era in disordine e che il fratello medico aveva fatto in tempo a preparare il pranzo per l’indomani.
Dopo un mese, un comunicato del Gruppo Islamico Armato (GIA) riferì che i rapiti erano ancora vivi, ma conteneva la minaccia di sgozzarli se non fossero stati liberati alcuni terroristi detenuti.
Il 30 aprile venne consegnata all’ambasciata di Francia ad Algeri un’audiocassetta, sulla quale erano registrate le voci dei sette monaci. Fratel Luc provò anche a coinvolgere i rapitori facendoli intervenire. Non ci furono altre notizie fino al 23 maggio: un ulteriore comunicato, il numero 44, datato 21 maggio, riferì che ai monaci era stata tagliata la gola.
Il 30 maggio le loro spoglie vennero ritrovate sul ciglio della strada per Médéa. Si trattava, però, solo delle teste: i corpi rimasero introvabili. Le esequie dei sette monaci si svolsero il 2 giugno 1996 nella basilica di Nostra Signora d’Africa ad Algeri, insieme a quelle del cardinal Léon-Étienne Duval, arcivescovo emerito di Algeri, morto per cause naturali. I resti mortali di fratel Luc e dei confratelli vennero sepolti nel cimitero monastico di Tibhirine.
La causa di beatificazione e canonizzazione
I sette trappisti di Tibhirine sono stati inseriti nella causa che comprendeva sia i religiosi menzionati da padre Christophe nel suo diario, sia monsignor Pierre-Lucien Claverie, domenicano e vescovo di Orano, ucciso dallo scoppio di una bomba il 1° agosto 1996. La loro inchiesta diocesana si è svolta ad Algeri dal 5 ottobre 2007 al luglio 2012.
Il 26 gennaio 2018 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto relativo al martirio dei diciannove religiosi. La loro beatificazione è stata celebrata l’8 dicembre 2018 nel santuario di Nostra Signora di Santa Cruz a Orano, presieduta dal cardinal Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come inviato speciale del Santo Padre.
La memoria liturgica di tutto il gruppo, compresi quindi anche i sette monaci, cade l’8 maggio, giorno della nascita al Cielo dei primi due che vennero uccisi, fratel Henri Vergès e suor Paul-Hélène Saint-Raymond.
Autore: Emilia Flocchini
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