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Saint-Maixent, Francia, 1 marzo 1930 - Médéa, Algeria, 21 maggio 1996
Christian Lemarchand nacque a Saint-Maixent, nel dipartimento francese di Deux-Sèvres, il 1° marzo 1930, figlio di un ufficiale dell’esercito coloniale. Dopo gli studi secondari entrò nel Seminario Maggiore di Poitiers e fu ordinato sacerdote il 2 aprile 1956. Per ventiquattro anni fu prima insegnante, poi direttore del collegio cattolico Saint-Charles di Thouars, mentre sentiva crescere la vocazione alla vita contemplativa. Il 1° marzo 1981 fu accolto nel monastero trappista di Bellefontaine, diventando padre Bruno. Domandò in seguito di poter essere destinato al monastero di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine, in Algeria, tornando quindi nei luoghi del suo servizio militare. Dopo qualche tempo dal suo arrivo, tornò a Bellefontaine, ma sperò a lungo di essere rimandato in Algeria, cosa che avvenne nel 1989. Nell’ottobre 1990 fu destinato al monastero annesso di Fès, in Marocco, di cui divenne superiore due anni più tardi. Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 fu rapito insieme a sei monaci della comunità di Tibhirine, dove si trovava per partecipare all’elezione del nuovo priore. Un comunicato del Gruppo Islamico Armato (GIA), datato 21 maggio 1996, annunciò la loro esecuzione. Quando fu ucciso, padre Bruno aveva sessantasei anni, ventisei quali trascorsi in Algeria. I sette monaci di Tibhirine, compresi in un gruppo che conta in tutto diciannove martiri, tutti religiosi, uccisi durante i cosiddetti “anni neri” per l’Algeria, sono stati beatificati l’8 dicembre 2018 a Orano, sotto il pontificato di papa Francesco. I loro resti mortali (furono ritrovate solo le teste senza i corpi) sono venerati nel cimitero del monastero di Nostra Signora dell’Atlante.
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Christian Lemarchand nacque a Saint-Maixent, nel dipartimento francese di Deux-Sèvres, il 1° marzo 1930. Affrontò vari trasferimenti con la famiglia, perché suo padre era un ufficiale dell’esercito coloniale: soggiornò in Siria, in Indocina e, per due anni, in Algeria.
Tornò in Francia negli anni della seconda guerra mondiale, studiando a La Rochelle. Dopo gli studi secondari entrò nel Seminario Maggiore di Poitiers, ma nel 1951 dovette interrompere gli studi per il servizio militare, che prestò in Algeria.
Due anni più tardi riprese la preparazione al sacerdozio, ma era sorta in lui la vocazione alla vita monastica. Il suo vescovo, però, gli chiese di non partire prima che fossero trascorsi cinque anni dall’ordinazione sacerdotale, che venne celebrata il 2 aprile 1956.
Don Christian venne destinato al collegio cattolico Saint-Charles di Thouars come insegnante di Francese, ma in seguito ne divenne il direttore. Per ventiquattro anni svolse il suo compito educativo ed era felice, ma l’aspirazione a una vita più contemplativa divenne sempre più pressante. Fece quindi domanda per essere ammesso nell’abbazia benedettina di Ligugé, ma, con suo grande dispiacere, fu respinto.
Trovò nuova ispirazione per la sua vita di sacerdote in una fraternità di preti diocesani che avevano come modello Charles de Foucauld (beatificato nel 2005), ma anche in soggiorni sempre più frequenti, dal 1963 in poi, nell’abbazia di Bellefontaine, presso i monaci Cistercensi della Stretta Osservanza, detti anche Trappisti.
Nel 1981 decise di chiedere l’ammissione: il 1° marzo 1981 fu accettato, diventando padre Bruno. Tre anni più tardi, il 6 aprile, chiese di venire inviato al monastero di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine, in Algeria. Altri due fratelli della comunità, fratel Michel Fleury e padre Céléstin Ringeard, avevano espresso la stessa richiesta, pochi giorni prima.
Padre Bruno e fratel Michel arrivarono a Tibhirine il 28 agosto 1984, ma il primo, a causa di alcuni problemi nella vita comunitaria, rientrò a Bellefontaine prima ancora della professione solenne. Venne incaricato della foresteria, ma sentiva di dover ritornare in Algeria: «L’appello del Signore a vivere il Vangelo in terra d’islam e a garantire con qualche confratello l’adorazione eucaristica rimane molto vivo in me», scrisse nel 1989. Nel mese di aprile 1989 fu accontentato; il 21 marzo 1990 emise la professione solenne.
Qualche tempo dopo, nell’ottobre 1990, fu destinato al monastero annesso, voluto dal vescovo di Rabat, nella città di Fès, di cui divenne superiore il 1° ottobre 1991. Col tempo quella dimora divenne sia un luogo di riposo per i monaci di Tibhirine, sia un luogo dove riflettere meglio su come comportarsi in una situazione che, per l’Algeria tutta, diventava sempre più difficile.
Dal canto suo, padre Bruno sentiva di vivere pienamente la “vita di Nazareth” come insegnava De Foucauld, concretizzando la vocazione che sentiva da sempre. Così scriveva nel gennaio 1996: «La mia vita si radica in questo paese e non prevedo di ritornare in Francia. Con i miei fratelli (siamo in quattro) abbiamo una vita ben nascosta in questa grande città. A volte mi faccio la domanda: colui o colei che ci vede può chiedersi: “Ma quelli che ci fanno qui? A cosa servono?”. Apparentemente a nulla. Mistero di questa chiamata […]. Sentiamo bene che bisogna lasciarci fare nella semplice quotidianità».
Di carattere era tranquillo e tanto riservato da sembrare talvolta burbero e netto nelle sue risposte. Nel suo lavoro era molto diligente, come anche nello studio della lingua araba, benché non vi fosse molto portato. Si allenava con delle audiocassette, oppure ricevendo lezioni da una Piccola Sorella di Gesù, oppure conversando con Thami, l’ortolano del convento, a cui insegnava anche qualche parola di francese.
Il 18 marzo 1996 partì per Tibhirine, per prendere parte all’elezione del nuovo priore. La comunità era già stata visitata, la notte del 24 dicembre 1993, da alcuni uomini armati, che avevano minacciato di tornare. I monaci, guidati da padre Christian de Chergé, avevano affrontato un lungo discernimento personale e comunitario, culminato con la scelta di restare per non abbandonare il popolo algerino e per restare fedeli al voto di stabilità, tipico dell’Ordine Cistercense.
Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, padre Bruno, che aveva sessantasei anni, venne rapito insieme a sei monaci della comunità. Altri due, padre Amedée Noto e padre Jean-Pierre Schumacher, insieme a un ospite del monastero, scamparono al rapimento. Dopo un mese, un comunicato del Gruppo Islamico Armato (GIA) riferì che i rapiti erano ancora vivi, ma conteneva la minaccia di sgozzarli se non fossero stati liberati alcuni terroristi detenuti.
Il 30 aprile venne consegnata all’ambasciata di Francia ad Algeri un’audiocassetta, sulla quale erano registrate le voci dei sette monaci. Non ci furono altre notizie fino al 23 maggio: un ulteriore comunicato, il numero 44, datato 21 maggio, riferì che ai monaci era stata tagliata la gola.
Il 30 maggio le loro spoglie vennero ritrovate sul ciglio della strada per Médéa. Si trattava, però, solo delle teste: i corpi rimasero introvabili. Le esequie dei sette monaci si svolsero il 2 giugno 1996 nella basilica di Nostra Signora d’Africa ad Algeri, insieme a quelle del cardinal Léon-Étienne Duval, arcivescovo emerito di Algeri, morto per cause naturali. I resti mortali di padre Bruno e dei confratelli vennero sepolti nel cimitero monastico di Tibhirine.
I sette trappisti di Tibhirine sono stati inseriti nella causa che contava in tutto diciannove candidati agli altari, tutti religiosi, uccisi dal 1994 al 1996, nel corso dei cosiddetti “anni neri” per l’Algeria. La loro inchiesta diocesana si è svolta ad Algeri dal 5 ottobre 2007 al luglio 2012.
Il 26 gennaio 2018 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto relativo al martirio dei diciannove religiosi. La loro beatificazione è stata celebrata l’8 dicembre 2018 nel santuario di Nostra Signora di Santa Cruz a Orano, presieduta dal cardinal Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come inviato speciale del Santo Padre.
La memoria liturgica di tutto il gruppo, compresi quindi anche i sette monaci, cade l’8 maggio, giorno della nascita al Cielo dei primi due che vennero uccisi, fratel Henri Vergès e suor Paul-Hélène Saint-Raymond.
Autore: Emilia Flocchini
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