Sharon Masih ha 15 anni. Frequenta la scuola superiore pubblica a Burewala, nel Punjab, India. E’ cristiano Sharon. Abita in piccolissimo villaggio sperduto, Chak-461, e ogni giorno deve farsi almeno 100 km per arrivare a scuola, spesso e volentieri a piedi. Quattro giorni fa Masil è stato fermato e sequestrato dai compagni che, con atti di bullismo, hanno iniziato a compiere violenze sempre più pesanti, fino a colpirlo con pugni e calci. Il ragazzo è crollato a terra esanime. E’ morto in ospedale a Burewala poche ore dopo. La polizia ha registrato un caso di omicidio ai danni di Ahmed Raza e di altri studenti musulmani, consegnando il corpo ai parenti del ragazzo, affranti. Secondo le prime indagini della polizia, sembra che il ragazzo fosse vittima di bullismo, di molestie e insulti anche a causa della sua fede cristiana e che i compagni avessero tentato di far convertire Sharon all’islam. Il ragazzo ha resistito anche nell’ultimo episodio di violenza, rivelatosi fatale. Date le minacce e le violenze già subite, Sharon aveva manifestato l’intenzione di cambiare scuola.
Ho pensato spesso in questi giorni a Sharon e alla commovente testimonianza di martirio nel nome di Cristo. Ha quindici anni. Il cuore si lascia andare ad un sentimento ambivalente: a ricordi quasi sbiaditi nel tempo di un occidente cristiano (penso a Rolando Rivi, giovanissimo seminarista massacrato dai partigiani rossi nel dopoguerra) e dall’altra ad interrogativi. Uno su tutti: c’è ancora – oggi – un occidentale disposto al martirio? La domanda appare drammaticamente retorica nell’attesa di una risposta. Nell’occidente molle e stanco devastato dagli attacchi dei jahidisti, dall’islamismo sempre più invasivo, dal pensiero debole del “dio è morto”, da un cattolicesimo spesso annacquato dal modernismo, c’è qualcuno disposto a dare la propria vita in nome di Cristo, cioè della Verità sull’umano e sul suo destino? Gessetti, “Imagine” e retorica del “non dobbiamo avere paura”.
Sharon era oggetto da anni di bullismo per la sua fede. “È morto durante l’ultima violenza da parte dei compagni islamici”. Lo afferma dalle colonne di “Avvenire” l’avvocato cristiano Mushtaq Gill, che sta seguendo il caso, Sharon Masih. In Pakistan è normale. “La violenza inizia tra i banchi di scuola perché i libri di testo usati fin dalle scuole primarie e instillano negli allievi odio e intolleranza verso i non musulmani”, spiega all’agenzia Fides Anjum James Paul, professore cristiano pachistano e presidente della Pakistan Minorities Teachers’ Association” (Pmta) . “Da un lato i libri di testo adottati nelle scuole pubbliche promuovono l’islam, i musulmani, la cultura e la civiltà islamica; dall’altro non esitano a promuovere disprezzo e odio contro le religioni non islamiche, i non musulmani, le culture e le civiltà non islamiche. Questo ha evidenti conseguenza dannose sulle menti dei bambini e dei ragazzi, incita alla violenza e nuoce alla pacifica convivenza”. Nella terra dei puri – questo significa Pakistan in urdu – i cristiani sono ancora più vittime. Perché diversi e impuri. Minacciati, anche da vivi, da un’accusa costruita appositamente per loro da uno Stato ostile, quella di blasfemia. E ignorati da chi, in Occidente, si auto-proclama difensore del mondo libero, salvo poi chiudere gli occhi di fronte alle prevaricazioni, se chi le compie è un importante alleato, ancorché ambiguo e dotato di bomba atomica. In Pakistan – giusto per fare un ripasso – è attiva dal 1986 una legge sulla blasfemia che punisce col carcere a vita o con la morte chi pronunci invano il nome di Maometto o profani il Corano, anche in modo accidentale. Il fatto che l’accusatore non debba provare ciò che dice la rende un odioso strumento per regolare i conti con i propri nemici. E, in particolar mondo, un perfetto strumento per prevaricare le minoranze religiose. Il nome e cognome Asia Bibi vi ricorda qualcosa? Una donna, una donna forte perché cristiana e (dunque) in carcere dal 2010 con l’accusa di blasfemia. Condannata a morte nel 2014 e sospesa nel 2015. Il 14 giugno 2009 Asia, lavoratrice agricola, veniva accusata di essere indegna di trasportare acqua per le sue colleghe musulmane e di aver offeso Maometto nella discussione che ne è seguita. Da allora la donna, madre di cinque figli, è stata picchiata, violentata, condannata e tenuta in carcere in attesa della conferma o meno della sua condanna a morte. Come lei, dagli anni ’80, almeno 1,300 persone sono state coinvolte dalla legge sulla blasfemia, che prevede l’ergastolo per chi offende il Corano e la pena di morte per chi offende Maometto (dati Agenzia Fides). Quante volte si è alzato il grido “Asia Bibi libera”? E quante volte questo grido di pochi si è trasformato in un battito di ali di farfalla che nessuno in occidente ha voluto davvero raccogliere? O capiamo o moriamo. Ciò che accade in Pakistan riguarda anche noi. Non pensiamo di non essere coinvolti. Perché il Pakistan è qui.
Chiunque abbia provato a contrastare questa legge (come il governatore musulmano del Punjab Salmaan Taseer o il ministro per le minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cristiano) è stato assassinato dai fondamentalisti islamici. Così come accade spesso a chi viene rilasciato, in seguito a tale accusa. Oggi nemmeno c’è più il ministro per le minoranze religiose. Però c’è un presidente come Nawaz Sharif che ha sostenuto le iniziative che migliorassero la vita delle donne e delle minoranze religiose ha permesso di riconoscere la Pasqua e altre feste hindu come feste pubbliche e soprattutto ha sta portando avanti un progetto di riforma per la legge sulla blasfemia. Però c’è un imam che fin dopo le stragi di massa di cristiani nelle chiese del 2013, 2014 e 2015 si è recato in quei luoghi per piangere con i cristiani e aiutarli a ottenere giustizia: Maulana Abdul Khabir Azad, grande imam della quinta moschea più grande del mondo, la moschea Badshahi di Lahore, seconda città più importante del paese e capoluogo del Punjab, la provincia dove i cristiani sono più perseguitati. L’imam è impegnato da anni nella difesa dei cristiani ed è stato ripetutamente minacciato per questo suo impegno
Tutto questo mentre gli integralisti sostengono a gran forza che il governo debba invece adottare la Shaaria e depurare il Paese dalle minoranze impure. I cristiani sono nel centro del mirino, più o meno, dall’11 settembre del 2001. Ancor di più con l’intensificarsi degli attacchi dei droni americani contro le postazioni talebane sul territorio pakistano. Il 22 settembre 2013 sono morti circa 85 fedeli sul sagrato di una chiesa di Peshawar, vittime dell’attacco di due kamikaze. E il 15 marzo 2015, sempre a Lahore, un attacco simultaneo a due chiese aveva fatto 17 morti. Il rapporto “World Watch List 2016” sottolinea come le persecuzioni a danno dei cristiani su scala mondiale siano cresciute in modo drammatico per il terzo anno consecutivo, raggiungendo “livelli senza precedenti”.”I cristiani di tutto il mondo continuano a rischiare la detenzione, la perdita della casa e dei beni, nonché di subire torture, decapitazioni, stupri e persino la morte a causa della loro fede” – osserva il report, che stila la “lista nera” dei 50 paesi in cui le persecuzioni contro i cristiani rappresentano una dura e triste realtà. Nelle prime 10 posizioni troviamo: Corea del Nord, Iraq, Eritrea, Afghanistan, Siria, Pakistan, Somalia, Sudan, Iran e Libia. A seguire Yemen, Nigeria, Maldive, Arabia Saudita, Uzbekistan, Kenya, India, Etiopia, Turkmenistan, Vietnam e Qatar. L’estremismo islamico rimane il principale responsabile della persecuzione cristiana nel mondo, colpevole della nascita di conflitti in 35 dei 50 paesi presenti nella lista. Inoltre, in nove delle dieci nazioni in cui i cristiani subiscono una “persecuzione estrema”, la popolazione è per il 50% di fede musulmana. “L’islamismo rimane la causa più comune di repressione contro i cristiani – si legge nel rapporto – ed è in forte aumento forte in Africa, dove più persone vengono uccise a causa della loro loro fede cristiana. Ciò avviene più qui che in qualsiasi altra parte del mondo”. Come dimostra lo studio, circa 215 milioni di fedeli nel mondo subiscono un livello alto – o molto alto – di persecuzioni e oppressioni.
Sharon aveva quindici anni. A nessun ragazzo occidentale verrebbe in mente di imitarlo. Anzi. Questo è il termometro della crisi dell’occidente. La società liquida senza dei non può resistere agli assalti esterni di chi nella perversione del proprio ragionare è intrinsecamente convinto di andare in paradiso facendosi saltare in aria a Bruxelles come a Parigi come a Barcellona. Non può resistere al consolidarsi di quartieri belgi come Mollenbeq dove vige la sharia o nelle periferie di Parigi come di Londra dove da anni è stato resettato il tessuto di valori e di presenza di un cattolicesimo integrale.Non può resistere al pensiero unico che rifiuta ogni investimento culturale e sociale sulla famiglia e sui figli, nel nome della libertè, égallitè e fraternitè del suicidio della ragione.
Loro, intanto, in Pakistan muoiono tre volte. Vittime dei terroristi e del fondamentalismo islamista.Vittime di un Paese che li considera – ancora, nonostante tutto – cittadini di serie. E vittime di un occidente che, evidentemente, non ritiene valgano una crisi diplomatica col Pakistan. Che si colori di bianco e verde una torre di lamiera ce ne importa il giusto. Che l’Occidente reagisca è doveroso. Qui sì, ne va dei nostri valori. Qui sì ne va del nostro futuro. Tocca a ciascuno di noi tornare ad usare la ragione e spiegare ciò che un tempo per noi occidentale non solo era evidente, ma apparteneva appieno al nostro vivere quotidiano.
“Eppure il vento soffia ancora
Spruzza l’acqua alle navi sulla prora
E sussurra canzoni tra le foglie
E bacia i fiori, li bacia e non li coglie”.
Autore: Davide Vairani
|