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Don Libero Raglianti

Festa: Testimoni

Cenaia, Pisa, 22 novembre 1914 - Laiano di Filettole, Pisa, 29 agosto 1944

Dall'agosto 1940 all'agosto 1944, resse in Versilia la pieve di Valdicastello. In quel periodo ebbe più di un'occasione per criticare dal pulpito il regime fascista, ma il sacerdote si distinse soprattutto quando Valdicastello, per l'arrivo del fronte in Versilia, si trovò ad ospitare migliaia di sfollati. Don Libero divenne il fulcro dell'attività di assistenza, che fu troncata quando un rastrellamento investì il paese. I soldati tedeschi, che il giorno prima si erano resi responsabili della strage di Sant'Anna di Stazzema, il 13 agosto invasero Valdicastello e arrestarono una trentina di paesani, tra cui il loro parroco. Il sacerdote fu presto separato dagli altri prigionieri e trasportato alle scuole di Nozzano, sede del Tribunale militare tedesco. Per sedici giorni don Libero fu sottoposto a interrogatori e a torture d'ogni tipo; poi, incapace di tenersi in piedi, col volto sfigurato, fu portato a Laiano e fucilato. Sul suo cadavere fu lasciato un cartello con su scritto: "Bandito che ha attentato alle truppe tedesche". Dopo la Liberazione, per ricordare don Raglianti, un monumento è stato eretto al Ponte di Ripafratta, a Filettole. Lapidi ricordano il sacerdote, in provincia di Lucca, nella chiesa di Sant'Anna di Stazzema, in quella di Valdicastello Carducci (dove gli è stato anche eretto un monumento). Portano il nome dell'eroico sacerdote vie e piazze a Pisa, a Valdicastello, a Collesalvetti e a Vicarello (LI). A vent'anni dal sacrificio del sacerdote, il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat ha concesso, alla memoria di don Libero Raglianti, la ricompensa al merito civile con questa motivazione: "Esercitò il ministero sacerdotale con rara abnegazione, sempre svolgendo opera generosa ed altruistica per il bene dei suoi parrocchiani. Durante l'occupazione nemica, con umile eroismo, soccorse sfollati, accolse con carità cristiana perseguitati e feriti, si prodigò in innumerevoli iniziative per salvare il suo gregge e alleviarne le sofferenze. Diffidato dall'invasore, volle continuare con sprezzo del pericolo, nella sua opera esemplare; catturato sopportò, con silenzioso coraggio torture e sevizie, affrontando serenamente la morte. Fulgido esempio di amore sacerdotale, spinto fino al sacrificio cosciente della vita".



Nacque nel 1914 a Cenaia, frazione di Crespina (Pisa), da famiglia contadina. Entrato in seminario, venne ordinato sacerdote nel 1938 e, dopo una breve esperienza a Pontedera, fu nominato Parroco di Valdicastello, frazione del Comune di Pietrasanta, il 4 luglio 1940.
Durante l’occupazione nazifascista collaborò con la Resistenza, tanto che gli sarà riconosciuta la qualifica di “partigiano combattente” nelle file della formazione “Bandelloni”. D’intesa con il CLN si adoperava per alleviare i bisogni materiali della popolazione e per assistere le migliaia di sfollati che da tutta la Versilia si rifugiarono a Valdicastello, dopo l’ordine di sfollamento impartito dai tedeschi in diverse località. 
Il 12 agosto 1944 fu preso nella sua canonica nel corso del rastrellamento effettuato dalle SS, reduci dalla strage di Sant’Anna, che portò alla cattura di alcune centinaia di uomini.
Quattordici di loro furono subito fucilati in località Molino Rosso, gli altri condotti a Lucca; la maggior parte finì alla Pia Casa di Beneficenza, luogo di smistamento per i prigionieri da utilizzare nel lavoro forzato, quelli sospettati di aver contatti con la Resistenza a Nozzano, sede del comando della 16 SS Panzer Grenadier Division.
Don Raglianti fu inserito in questo gruppo e, per alcuni giorni, subì maltrattamenti e percosse nei locali della scuola elementare, trasformata in luogo di detenzione e tortura.
Si legge nella testimonianza di Mario Bigongiari, arrestato con il fratello don Mario, Cappellano di Lunata (Lucca):
“Ci condussero in un’aula del secondo piano, dove trovammo altri due di Lucca, certi Ninci e Vannini; erano circa le sette del mattino. Dalle condizioni dei primi internati veduti, capimmo che ci trovavamo in carcere e fra persone su cui pesavano gravi accuse. In una prima stanza, tutto intorno alla parete ‘erano dei  giovani in ginocchio di cui alcuni bendati. Nel mezzo c’era una sentinella tedesca armata di mitra che sorvegliava ogni movimento, percuotendo brutalmente chi, per stanchezza o insofferenza,cambiava posizione. Sempre al piano superiore in comunicazione con la nostra stanza, vi erano i rastrellati di Valdicastello. Tra loro in seguito conoscemmo il pievano don Libero Raglianti, un carmelitano Padre Marcello e uno studente di teologia salesiano Tognetti. Anche le condizioni di questi erano dolorose. L’aspetto lo dimostrava: barba lunga, vestiti strappati, volti cadaverici. Restammo in quella stanza, priva di qualsiasi mobile, tutta la mattina, senza subire alcun interrogatorio e senza  uscire nemmeno per i più elementari bisogni. Alle quattro del pomeriggio ci portarono in un solo coperchio di gavetta militare del grano cotto, che doveva servire insieme ad un pezzo di pane per 12 persone. La sera stessa ci fecero scendere al primo piano, in una stanza più grande con della paglia e delle panche, la quale comunicava con la stanza più terribile perché qui le sofferenze erano continue(…) Dopo due giorni cominciarono gli interrogatori. Ogniqualvolta non li soddisfacevano, si sfogavano brutalmente. Continuamente pesava su di noi l’incubo di partire sopra una camionetta con alcuni tedeschi armati. Poco dopo tornava la camionetta con i soli tedeschi. Ogni giorno eravamo spettatori di atrocità raffinate: troppo ci vorrebbe a raccontarle tutte. Un giorno portarono una donna di circa 30 anni. Fu messa nella stanza superiore, poi perché per i maltrattamenti subiti gridava aiuto dalla finestra, fu condotta in un piccolo gabinetto al piano superiore, sporco da non dirsi. Ve la tennero in fetore insopportabile, senza avvicinarsi nessuno, senza bere e senza mangiare due giorni e due notti. Impazzita, fu fucilata in una fossa a poca distanza dalla scuola. Si chimava Lelia Farnocchia.
Ricordano Italo Ninci e Antonio Vannini, scampati alla morte nel carcere di Nozzano:”Fummo fatti salire al piano superiore dove trovammo due stanze piene di gente, dove trovammo una sessantina di persone portatevi da vari punti dalla nostra e dalla provincia di Pisa, da Pietrasanta e da Valdicastello., tutte giacenti a terra ma dagli aguzzini tedeschi obbligati a fare dei salti, a giostrare vorticosamente, a passare con ventre denudato sulla terra, a strusciare la lingua sul pavimento ed altre esercitazioni brutali. Nello stesso locale c’erano tre sacerdoti: don Giuseppe Del Fiorentino, parroco di Bargecchia, don Libero Raglianti, Parroco di Valdicastello e un salesiano (Renzo Tognetti)
Nella notte tra il 28 e il 29 agosto1944 venne fucilato con altri prigionieri in località Laiano, nei pressi di Filettole (Vecchiano) al confine tra le Province di Lucca e Pisa.
Nel 1946 le sue spoglie furono traslate nella Chiesa di Valdicastello.
Alla memoria di don Raglianti è stata concessa la Medaglia d’Oro al Merito Civile, con la seguente motivazione:
“Esercitò il ministero sacerdotale con rara abnegazione, sempre svolgendo opera generosa e altruistica per il bene dei suoi parrocchiani. Durante l’occupazione nemica, con umile eroismo, soccorse sfollati, accolse con carità cristiana perseguitati e feriti, si prodigò in innumerevoli iniziative per salvare il suo gregge e alleviarne le sofferenze. Diffidato dall’invasore, volle continuare, con sprezzo del pericolo, nella sua opera esemplare; catturato, sopportò, con silenzioso coraggio, torture e sevizie, affrontando serenamente la morte. Fulgido esempio di amore sacerdotale, spinto fino al sacrificio cosciente della vita.”


Fonte:
www.anpiginolombardiversilia.it

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Aggiunto/modificato il 2019-09-10

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