«Con la grazia di Dio si può tutto, Dio perdona sempre, per molto sia il male con cui abbia risposto alla grazia di Dio fino ad ora, posso recuperare il tempo perduto e essere Santo.»
Sono le parole scritte da qualche mese prima di morire durante i suoi ultimi esercizi spirituali nel marzo del 1936. In queste poche righe è contenuto il programma di vita di Antonio: l’essere santo fu il proposito che attuò quotidianamente durante la sua pur breve vita. Morì a vent’anni mai suoi furono anni ricolmi della presenza di Dio al quale rispose con l’entusiasmo della giovinezza: Devo servire e parlare a Dio con gioia […] L’essere buono è possibile, perché Dio non chiede nulla di impossibile, di questo dobbiamo esserne convinti per poterlo esserlo.
Ripercorrere le tappe della sua vita significa incontrarci con avvenimenti che lasciarono un segno indelebile nella Spagna.
Antonio nacque il 27 febbraio 1916 a Riaguas de San Bartolomé nella provincia di Segovia da José Rivera Lema e Carmen Ramírez Grisolia: entrambi i genitori erano profondamente cristiani. Tredici mesi prima era nata la sorella Maria del Carmen e, dopo Antonio, rallegrarono il focolare Rivera Ramírez, José e Ana María. Il piccolo Antonio, a causa di un forte nevicata che rendeva impraticabili le strade, fu battezzato il 15 marzo nella chiesa parrocchiale. Di lì a pochi mesi il padre, di professione medico, fu trasferito a Toledo. Le vie di questa città videro germogliare e maturare la fede di Antonio.
Il 21 maggio 1923, nella cappella del seminario minore di Toledo ricevette la Prima comunione: fu accompagnato solo da suo padre e la celebrazione si svolse senza nessuna solennità esteriore; nonostante ciò Antonio era contento e felice. Il 27 marzo 1927 l’arcivescovo di Toledo e Primate di Spagna, cardinale Enrique Reig y Casanova, gli amministrò il Sacramento della Cresima nella Chiesa parrocchiale di Tommaso apostolo.
L’istruzione primaria, dai sei ai dieci anni, gli fu impartita, assieme alla sorella Maria del Carmen, a casa da un’insegnante privata: mostrò un vivo interesse per la storia sacra e per la storia della Spagna. Fu un alunno ligio al proprio dovere e, sin da piccolo, cercò di essere obbediente ai genitori. Aveva una particolare compassione per il dolore altrui risultandogli quasi naturale dimenticarsi di se stesso per andare incontro al prossimo.
Dai dieci ai quattordici anni incominciò il curriculum scolastico e da subito si distinse tra i suoi compagni, oltre allo studio,per la sua fede e la sua condotta morale che manifestava apertamente senza rispetto umano. Durante un pellegrinaggio a Santuario della Vergine del Pilar di Saragozza, nel 1931 e dopo aver chiesto il parere dei genitori ebbe il desiderio di ricevere il l’Eucarestia quotidianamente: da allora il Corpo di Cristo fu il centro della sua vita spirituale. Per aderire pienamente alla sua vocazione apostolica si iscrisse alla Federazione degli Studenti Cattolici e nell’ottobre del 1932 ne fu nominato presidente.
Quando il 21 luglio del 1936 Antonio Rivera decise di partecipare alla difesa dell’Alcazar, con lucidità analitica egli intuì, dopo le violenze inferte alla Chiesa cattolica, che la guerra non andava considerata in base al solo aspetto sociale e politico; in essa era primario l’elemento religioso. Antonio non fissò la sua attenzione tanto sulle lotte tra destra e radicali, tra comunisti e anarchici, quanto sul fatto che preti e religiosi, uomini e donne di ogni condizione sociale venivano perseguitati e uccisi perché non volevano rinunciare a Dio e alla fede cattolica. Antonio avrebbe sottoscritto pienamente il pensiero del Servo di Dio Teresio Olivelli, a tale proposito: «Nella cattolica Spagna si combatte per i valori indistruttibili dello spirito, per salvare il Divino, in noi, per impedire all’eresia che devasti, per reagire alla cieca bruta forza del male, per eliminare l’antiuomo, l’anti-Cristo, negazione dell’uomo e di Cristo». In Antonio, come ha affermato il padre, José Rivera Lerma, la sua visione della patria era attraverso Dio.
La difesa dell’Alcazar simboleggiava la difesa della fede cattolica. La fede per Antonio Rivera era conquista che non consentiva meschinità: a Cristo si da tutto compresa la vita. Così era vissuto e così aveva insegnato nelle file dell’Azione Cattolica. Egli vedeva la drammatica situazione spagnola come un attacco alla fede, come una guerra fatta alla religione cristiana, come una vera e propria persecuzione inflitta ai cristiani. Il suo atteggiamento non era politico ma di fede, di testimonianza estrema di amore a Cristo, fino all’effusione del sangue. Antonio sapeva benissimo che gli assalitori dell’Alcazar erano spagnoli come lui e soprattutto erano figli di Dio come lui; sintomatica a tale proposito è una frase che spesso ripeteva ai compagni durante i sessantotto giorni dell’assedio: Sparate ma senza odio!
Qua il 18 settembre 1936, fu colpito da una forte esplosione che porterà i medici ad amputargli il braccio sinistro; in tale frangente le sue virtù risplendettero ancor maggiormente portandolo ad essere testimone vivente del Cristo Crocifisso. Dopo la violenta esplosione si rimise in piedi è gridò: viva la Spagna! Viva Cristo Re! Mentre veniva trasportato nell’infermeria, tra gli sforzi per non lamentarsi, le sue labbra mormoravano parole di perdono e non di vendetta. Operato senza anestesia chiese che gli fosse messo nella mano destra un Rosario. Liberato l’Alcazar fu portato a casa sua; attorniato dai genitori e dalla sorella, gli ultimi giorni di vita furono un calvario per Antonio per il sopraggiungere di una violenta infezione. Capendo che la morte si stava avvicinando chiese i sacramenti, trovò la forza di baciare il crocifisso dicendo: Ti bacio per l’ultima volta qui sulla terra poi, subito, ti bacerò per tutta l’eternità. Ebbe ancora la forza di dire: Viva Cristo Re! Viva la Spagna. Dopo un quarto d’ora morì, erano le sette e venti del pomeriggio del 20 novembre 1936. Da subito fu chiamato l’Angel dell’Alcazar.
L’inchiesta diocesana conclusasi nel 2016 attualmente è al vaglio della Congregazione delle Cause dei Santi.
Fonte:
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