Il culto mariano della Madonna delle Grazie di Volpigliano, della quale si trova attestazione nei
documenti come Madonna dell’edera, è sorto nel 1685 in una piccola frazione di Massa e si è
ampiamente diffuso nelle zone circonvicine, fino all’edificazione del santuario entro la prima metà
del Settecento.
I pellegrini che giunsero in gran numero a rendere onore e preghiere all’effigie mariana furono i
protagonisti indiscussi di questa annosa vicenda. L’affetto e la passione con cui i devoti seguirono
le alterne circostanze ora favorevoli ora contrarie all’edificazione, le pressioni che seppero
esercitare con la loro presenza semplice ma potente segnarono in modo profondo l’evolversi dei
fatti.
Giocarono inoltre un ruolo fondamentale i duchi Cybo-Malaspina che dominavano in quel frangente
la zona massese. In particolare la figura di Alberico II (nato nel 1607, al potere dal 1662 al 1690) si
distinse per l’interessamento alla devozione nascente, dalla quale cercò tra l’altro di trarre vantaggio per la realizzazione di un suo personale progetto. Il figlio Carlo II (duca dal 1690 al 1710), i nipoti Alberico III (al potere dal 1710 al 1715) e Alderano (in carica dal 1715 al 1731) condivisero il loro predecessore l’interesse per la devozione all’effigie sacra, anche se in modi differenti.
Fu Carlo II a porre la prima pietra della chiesa nell’aprile del 1692. Personaggio importante nel
dipanarsi dell’intera vicenda fu inoltre Giovanni Battista Spinola, vescovo dal 1665 al 1694 della
diocesi di Luni – Sarzana, da cui Massa in quel periodo dipendeva. Non si può tacere inoltre della
figura di grande spicco che da Roma seguì l’evolversi dei fatti e con ogni probabilità li influenzò
notevolmente: il cardinale Alderano (1613-1700), fratello di Alberico II, mecenate, cultore delle arti
e personaggio di grande potere. Proprio nel periodo in cui si sviluppò la vicenda ricoprì infatti la
carica di Segretario di Stato di Sua Santità.
La vicenda prese avvio da una circostanza singolare: nell’aprile del 1685, sulla collina di Volpigliano, in una casetta diroccata e abbandonata, adibita a luogo di piacere, coperta da sterpi e
da una rigogliosa pianta di edera venne ritrovata un’immagine che divenne sin da subito oggetto di
devozione: l’effigie rappresentava una Madonna col Bambino.
Si diffuse rapidamente la notizia che fosse stata una fanciulla di nome Caterina a ritrovare
l’immagine e che la Vergine in essa rappresentata le avesse parlato. Fu invece con ogni probabilità
il padre, Bernardino Antonpauli, a fare in modo che si diffondessero queste voci tra la popolazione,
sfruttando a suo vantaggio questo fortuito ritrovamento. L’edera divenne sin da subito un elemento
caratteristico di questa effigie: essa aveva coperto il volto della Vergine e dunque i suoi occhi, dalle
nefandezze che si perpetravano nella casa abbandonata. L’edera, con le sue foglie, era divenuta
emblema di purezza e protezione dalla vista e dalla pratica del peccato. Il suo contatto diretto con
l’immagine della Vergine e del Bambino ne avevano moltiplicato il valore, tanto da essere ricercata
alacremente, raschiata dai muri, sciolta in infusi cui si attribuiva potere taumaturgico. In onore della
Vergine e della pianta prodigiosa nel 1685 a Lucca venne persino prodotta un’immagine a stampa
(presso la stamperia dei Marescandoli) che riportava il titolo di “L’imagine della Madonna dell’edera”, stampa volta a diffondere la novella devozione mariana nella cittadina toscana.
Sono tante le fonti che contribuiscono alla ricostruzione della devozione di Volpigliano: documenti
conservati tra Massa, Modena, Pescia, Firenze, Sarzana, Verona che in linea di massima possono
riferirsi a due grandi blocchi.
Da un parte, fondamentale è il manoscritto del lucchese Natuccio Natucci, testimone oculare
dell’intera vicenda e fonte preziosissima sotto innumerevoli punti di vista (teologici, storici,
topografici, antropologici, taumaturgici); dall’altra ricchissimi di informazioni sono gli interrogatori
messi in atto dalla Curia di Luni-Sarzana a motivo della speculazione che il citato Antonpauli stava
perpetrando, sfruttando la figlia Caterina di cinque anni; e non si può tacere delle lettere delle
persone a diverso titolo coinvolte, che della vicenda fornirono particolari inaspettati e visuali
inedite. L’unione di tali fonti in qualche modo complementari permette di formare un quadro
piuttosto esaustivo del sorgere di questa controversa devozione.
Natuccio Natucci stila infatti un libello di carattere celebrativo ed encomiastico, col dichiarato
intento di vedere costruito il tempio dedicato alla Madonna dell’edera. In esso dunque non trovano
spazio accenni agli aspetti più scabrosi della vicenda, ai contrasti che coinvolsero profondamente e
per lungo tempo il Vescovo di Sarzana, il duca Alberico II e la popolazione locale. Di contro, gli
interrogatori della Curia Sarzanese sono le fonti che meglio chiariscono le questioni sulle quali il
lucchese volontariamente glissò: il coinvolgimento di Caterina, il suo raggiramento da parte della
famiglia a scopo di lucro, i contrasti esistenti tra i sacerdoti sovrintendenti alla casetta-santuario e il
Vescovo, la negazione della cessione di alcuni terreni al fine di impedire la costruzione del
santuario e lo stretto legame esistente tra l’immagine di Volpigliano e il Duomo del tempo, vale a
dire la pieve collegiata di San Pietro in Bagnara, chiesa di origine medievale (fatta abbattere nel
1807 dalla sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi).
L’analisi dei registri delle Entrate e delle Uscite della chiesa permette inoltre di chiarire ancor
meglio quanto vediamo oggi della chiesa e di formulare ipotesi sul possibile svolgimento dei lavori
e sulla costruzione delle varie parti del santuario.
La micro-vicenda si inserisce nel più ampio contesto macro-storico del rinnovato culto mariano,
successivo al Concilio di Trento, che tra varie interruzioni e pause si protrasse dal 1545 al 1563. La
Madonna si presenta, nel contesto post-tridentino, come la figura di intermediazione e di
connessione profonda ed esemplare tra Dio e l’uomo, divenendo modello di affidamento completo
alla Provvidenza divina.
Di rilevante interesse, al fine di comprendere alcuni aspetti antropologici legati alla devozione è poi
l’intrinseco valore dell’immagine che essa sottende, e che lega il pellegrino e il fedele ad una
particolare effigie rappresentata e non ad altra, verso la quale si intraprende un cammino, un
percorso di purificazione, verso la quale si pronuncia un voto del cuore, personalmente vincolante.
Si tratta di un legame unico, tanto da far scegliere una meta piuttosto che un’altra, alla ricerca di una
guarigione e di una salute spirituale e fisica profondamente agognata, richiesta con lo spirito e
mediante tutto il corpo nella fatica del cammino. La dimensione di concretezza così ricercata dal
devoto fa sì che non solo l’immagine, ma anche ciò che con essa entra in contatto si carichi di un
valore aggiunto di natura taumaturgica.
In conclusione, la piccola chiesa di Volpigliano costituisce un tesoro inestimabile per la
popolazione locale e per chiunque vi si voglia avvicinare. Nella sua storia, negli oggetti che
conserva risiede la sua ricchezza. Ma non solo: la sua ricchezza risiede in coloro che
quotidianamente se ne sono presi cura e se ne prendono cura ancora oggi. Nei registri delle entrate e delle uscite si leggono i nomi ricorrenti di uomini e donne di buona volontà, che potrebbero per noi rimanere privi di significato, ad eccezione di qualche ricerca di carattere genealogico, che li potrebbe restituire ad un contesto più preciso. Eppure, al di là di ricerche circostanziate, il valore di tutti costoro, dei loro nomi, è ricchezza in sé. Sono ricchezza essi stessi, con ogni parte di loro: mani che hanno costruiscono, toccato, fatto crescere, edificato, scritto, tramandato; occhi che hanno visto, valutato, scelto, incontrato, sorriso, lacrimato; piedi che hanno camminato, calpestato, faticato, che si sono frapposti, che hanno corso veloci, o lenti hanno proceduto sotto il carico di marmi pesanti.
La ricchezza di questo piccolo santuario sono le persone, i Nomi dei grandi e degli infinitamente
piccoli che ne hanno fatto la storia.
Autore: Maria Cristina Pippo
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