Nel 1937, il regime comunista sovietico accusò la cattolica ucraina Janina Jandulska di dirigere un’organizzazione politica sovversiva, nonostante le disabilità di cui soffriva. L’unica “organizzazione” in cui era coinvolta, però, era un gruppo di recita del Rosario, che aveva creato a 30 anni come parte di un’iniziativa chiamata “Rosario Vivo”. L’assurda accusa di attivismo sovversivo le valse la prigione e la morte.
Janina viveva con la madre nel villaggio ucraino di Wierzboviec, e insieme ad altre persone del luogo cominciò a partecipare a gruppi cattolici organizzati da laici per insegnare il catechismo e offrire sostegno spirituale e morale alla comunità, visto che i sovietici, in nome dell’ideologia comunista atea, avevano cominciato a chiudere i seminari e ad arrestare i sacerdoti.
Pur conoscendo i rischi, Janina ospitò in casa sua una delle riunioni di “Rosario Vivo”. Un ufficiale sovietico venne avvertito e denunciò l’incontro alle autorità comuniste.
Secondo ACI Digital, questa è la ricostruzione delle domande fatte dalla polizia a Janina in casa sua e delle risposte che diede:
“Lei è incaricata del Rosario?”
“Sì, sono incaricata di ‘Rosario Vivo’. Ma non è un’organizzazione, preghiamo solo Dio”.
“Quante persone vi partecipano?”
“Quindici”.
“Quindici! E lei dice che non è un’organizzazione? Chi l’ha reclutata, e chi le ha inviato il materiale stampato?”
Janina spiegò che il gruppo era informale e ribadì che il suo obiettivo era pregare Dio.
“Ma Dio non esiste!”
“Per lei Dio non esiste, ma per noi esiste”.
“Chi la sostituirà?”
“Qualcuno che crede in Dio”.
Janina venne portata alla polizia e sottoposta a nuovi interrogatori. Poco tempo dopo sua madre venne informata del fatto che era morta per infezione epatica. Non ci volle molto, però, perché si scoprisse che in realtà era morta per un colpo di arma da fuoco alla testa. Oggi nel villaggio di Wierzboviec c’è una piccola chiesa cattolica in cui spicca una foto di Janina, martire della fede che cercava di resistere all’ateismo comunista.
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