Nella chiesa madre di San Giorgio a Locorotondo (Bari), incantevole borgo della valle d'Itria sull'altopiano delle Murge, eretta in stile neoclassico nel 1790 sui resti di un luogo di culto cinquecentesco e di una cripta risalente intorno al Mille dedicata al Santo guerriero, in fondo alla navata destra sui corni dell'altare di San Michele sono stati riposizionati con gli ultimi restauri del 2016 due busti-reliquiario raffiguranti i Santi Vittorio e Ruffino martiri, precedentemente custoditi su una mensola al di sopra dell'ingresso della sacrestia.
Le reliquie di tali due martiri, di cui non si può attribuire con certezza l'identità fra i vari santi con questi nomi, furono probabilmente traslate dalle catacombe romane a Locorotondo prima del 1680, anno in cui il 22 maggio la chiesa madre preesistente fu consacrata dal vescovo di Ostuni Benedetto Milazzo di Bisceglie. Le reliquie furono poste sotto la mensa dell'altare maggiore e rimasero lì fino al 1790, quando la chiesa fu ricostruita nella forma attuale e la cassettina di piombo contenete i sacri resti fu murata nella pietra angolare del nuovo tempio, posta nelle fondamenta all'angolo destro dell'attuale facciata a cura dell'arciprete don Fortunato Gidiuli, accompagnato dal capitolo della vicina chiesa dell'Annunziata.
Evidentemente da questi pochi frammenti ossei sepolti nel basamento della nuova chiesa ne furono tratti altri per essere racchiusi in due teche ovali sotto vetro nel petto dei rispettivi busti lignei policromi donati a detta chiesa madre dal vescovo di Aversa don Innico Caracciolo dei duchi della vicina Martina Franca (1642-1730), fratello del duca Petracone V committente del Palazzo Ducale martinese e la cui progenie possedeva la baronia di Locorotondo.
Lo stesso Innico donò anche molti argenti liturgici e paramenti sacri alla stessa chiesa madre del paese, ancora oggi ivi custoditi. Mentre invece i Santi Vittorio e Ruffino, con ogni probabilità cittadini cristiani dell'antica Roma vissuti nei primi secoli dell'era volgare e di cui non è certo che abbiano ricevuto la palma del martirio, a Locorotondo non hanno mai avuto pubblica venerazione né una data liturgica propria in cui venir festeggiati.
Autore: Damiano Nicolella
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