Roma, 1190 circa - Assisi, Perugia, 8 febbraio 1239 circa
Giacoma Frangipane de' Settesoli, conosciuta come Jacopa de' Settesoli, e poi frate Jacopa, sarebbe nata nel 1190 a Roma nel rione Trastevere come Jacopa de' Normanni, fu data in moglie giovanissima a Graziano Frangipane de' Settesoli, esponente della nobile casata romana dei Frangipane che aveva in proprietà il Septizonio, un monumento fatto costruire da Settimio Severo vicino al Circo Massimo a Roma e divenuto dopo la caduta dell'Impero roccaforte dei Frangipane. Divenne vedova nel 1217, quindi signora dei tanti castelli e terre del Lazio dei Frangipane. Jacopa de’ Settesoli è la donna più rappresentativa del francescanesimo primitivo romano. Dopo Santa Chiara è la più vicina a Francesco, per devozione e manifestazioni d’affetto. Verso la vergine Chiara Francesco fu costretto ad imporsi, suo malgrado, un atteggiamento quasi di distacco, dopo che ella assieme alle altre si ritirò in clausura a san Damiano. Diverso invece fu il comportamento che ebbe per Jacopa, la vedova romana, verso la quale si sentì più libero, instaurando con lei un rapporto quasi di figlio a madre. Per “frate Jacopa”, come affettuosamente la chiamava, non c’era nessun vincolo di clausura, pertanto potette riversare su di lei manifestazioni di sincero affetto. Conobbe San Francesco d'Assisi nel 1209, quando il santo venne a Roma, e lo aiutò a trovare alloggio presso i Benedettini di Ripa Grande e ad ottenere udienza dal pontefice Innocenzo III.
Cosa ancor più notevole, Jacopa diviene la sorella di tutti i frati, per cui non c’erano vincoli di separazione. Francesco amava dire: “Aprite le porte e fatela entrare, perche per frate Jacopa non c’è da osservare il decreto della clausura relativo alle donne”. Secondo una tradizione, San Francesco nel 1221 fondò, ispirato proprio da Jacopa, l'ordine dei "Fratelli e Sorelle della Penitenza" o "Terzo Ordine" dedicato ai laici, che pur rimanendo a vivere nel mondo desideravano condurre una vita cristiana di stile francescano.
L’amicizia tra i due è tramandata da episodi gentili. In uno degli incontri a Roma, Francesco aveva affidato a Jacopa la custodia di un agnellino, che gli era stato regalato. L’animale, quasi ammaestrato dal santo nelle cose dello spirito, non si distaccava mai dalla donna. “Neppure il mattino quando andava in chiesa a pregare. Se la signora tardava ad alzarsi, l’agnellino saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati: l’agnellino, discepolo di Francesco, era diventato maestro di devozione” (Legenda Maior). La tenerezza del rapporto che c’era tra Francesco e Jacopa rifulse soprattutto in punto di morte. Il Santo, ormai prossimo alla fine, desiderò di rivedere Jacopa per l’ultima volta e dettò la lettera dal contenuto umano tenero e intenso: “A donna Jacopa, serva dell’Altissimo, frate Francesco poverello di Dio. Sappi carissima che la fine della mia vita è prossima”. La pregava di portargli un panno oscuro per avvolgere il suo corpo ed i ceri per la sepoltura. “E anche di portarmi quei dolci che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma”. Dopo la morte di Francesco, Jacopa tornò a Roma e si dedicò a opere di carità e pietà, aiutò i frati ad ottenere nel 1229, per volontà del Papa Gregorio IX (Bolla Cum deceat vos) la proprietà dell'Ospedale di San Biagio, trasformandolo, dopo la canonizzazione di Francesco, nella dimora romana dei Francescani: nasce il convento di S. Francesco a Ripa. Fatto testamento si ritirò come terziaria francescana ad Assisi, dove morì forse nel 1239. Venne sepolta nella cripta della Basilica di San Francesco davanti alla tomba del Santo e ai suoi compagni. Sopra l'urna si legge l'epigrafe Fr. Jacopa de Septemsoli - Hic requiescit Jacopa sancta nobilisque romana (Frate Jacopa de' Settesoli - Qui riposa Jacopa santa e nobile romana).
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Francesco d’Assisi, quando morì alla Porziuncola, non ebbe intorno a sé soltanto i suoi frati.
Accanto, ebbe anche una donna, l’unica donna presente al transito del santo, nella casupola di frasche e loto che era stata sua ultima cella.
Quella donna non fu s. Chiara, chiusa tra le umilissime mura di S. Damiano (a lei, tornando stremato ad Assisi, l’apostolo umbro aveva fatto sapere che lo avrebbe rivisto dopo morto. Così fu infatti, quando il suo corpo, durante i funerali, passò e sostò dinanzi a S. Damiano).
Eppure, prima di morire, Francesco desiderò avere vicino una donna; volle, accanto al suo giaciglio, una presenza quasi materna, una mano affettuosa e forte al tempo stesso.
La presenza fu quella di Jacopa dei Settesoli o Settesogli (Sette sogli: sogli = troni), la seconda delle due donne che, insieme a Chiara, il santo diceva di amare.
Puntualizza, infatti, Tommaso da Celano: «Giacoma de’ Settesoli, ugualmente famosa per nobiltà e per santità nella città di Roma, aveva meritato il privilegio di uno speciale amore da parte del Santo» (Celano, Trattato dei Miracoli, n. 37).
Jacopa - o Giacoma o Giacomina - nacque intorno al 1190 da una famiglia di origine normanna.
Da un documento datato 1210, risulta che in quell’anno era già coniugata con il nobile romano Graziano Frangipane del ramo dei Settesoli, un’antica e potente famiglia, che aveva l’abitazione in un avanzo del monumento detto «Settizonio», eretto da Settimio Severo a coronamento della «regina viarum», e il cui cognome Frangipani sarebbe legato all’uso di distribuire il pane ai poveri.
Dal loro matrimonio erano nati due figli, Giacomo e Giovanni (che ricoprirono il ruolo di senatori di Roma).
Il coniuge Graziano, morto prematuramente, affidò alla propria vedova l’amministrazione dei numerosi castelli e dei possedimenti sparsi per tutta la città e la circostante campagna (ancora nel 1230 Jacopa dei Settesoli risulta essere «castellana» del «castrum» di Marino).
Quando, nel 1209, i penitenti di Assisi si recarono a Roma, per ottenere dal papa l’approvazione della loro Regola, la lunga permanenza nell’Urbe li obbligò a bussare ripetutamente a molte porte, tra le quali quella del palazzo dei Settesoli-Frangipane.
Donna Jacopa li accolse con gentilezza e generosità.
Le ripetute visite, i colloqui con Francesco diedero vita ad una solidissima amicizia, che fece del palazzo della nobildonna, rimasta vedova tra il 1210 e il 1216, la «casa dei frati».
Da allora, Jacopa dei Settesoli divenne la più valida collaboratrice del nascente Ordine francescano nella città dei papi.
Fu lei, dopo opportune richieste, ad ottenere dai Benedettini la cessione dell’ospedale di S. Biagio, nella zona di Trastevere, che divenne la prima dimora romana dei Francescani, ove, almeno una volta, fu ospite lo stesso Francesco durante uno dei suoi numerosi soggiorni a Roma.
Nel 1231, immediatamente dopo la canonizzazione del poverello, l’ospedale, per iniziativa della stessa donna Jacopa, fu trasformato nel convento di S. Francesco a Ripa (ancor oggi si mostra la cappella di S. Francesco, sorta, a detta della tradizione, nella cella dove era solito dimorare l’assisiate, e una pietra, che lo stesso usava come cuscino).
Attiva e risoluta, pur essendo devota e affettuosa, Jacopa si poteva quasi dire un uomo, e infatti, mentre Francesco chiamava Chiara con il nome di «sorella», chiamò Jacopa con l’epiteto di fratello: «frate Jacopa».
Nonostante avesse l’opportunità di vivere lussuosamente, ella seguì il modello di perfezione suggerito da Francesco, conducendo una vita austera e mettendo a sua disposizione i suoi beni ed il suo potere.
Ella fu, così, la «Marta francescana».
Narra s. Bonaventura: «Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a Cristo, amatissimo agnello. Nel partire, lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua.
E l’agnello, quasi ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito non si staccava mai dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne tornava.
Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, l’agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi in chiesa.
Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell’agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione» (Leg. maior, cap. VIII, n. 7).
Donna Jacopa, stando alla tradizione, avrebbe fatto eseguire un ritratto di Francesco quando il santo era ancora in vita: voleva la sua immagine sempre accanto!
Una copia del dipinto è tuttora conservata nel romitaggio di Greccio.
In essa è raffigurato Francesco nell’atto di asciugarsi gli occhi con un fazzoletto; sotto un’iscrizione recita: «Vero ritratto del Serafico Patriarca S. Francesco d’Assisi, fatto eseguire dalla pia donna romana Giacoma de’ Settesoli, vivente lo stesso patriarca».
Quando Francesco sentì avvicinarsi la sua ultima ora, disse ad un frate di scrivere una lettera per Jacopa, per informarla della sua morte imminente, chiedendole di raggiungerlo alla Porziuncola.
Narra il Celano: «Il Santo, dunque, mentre giaceva ammalato di quell’infermità che, ponendo termine al suo patire, compì con beatissimo esito il felice corso della vita, pochi giorni prima di morire desiderò mandare a Roma per donna Giacoma, affinché, se voleva vedere mentre tornava alla patria lui che così ardentemente aveva amato in quest’esilio, accorresse in tutta fretta.
Si scrive la lettera, si cerca un messo velocissimo, e questi, trovato, si accinge a mettersi in cammino.
Ma improvvisamente presso la porta si ode uno scalpitio di cavalli, un rumore di soldati, l’affluire di una comitiva.
Uno dei soci, proprio quello che stava dando gli ordini al messo, si fa sull’uscio e vede presente colei che mandava a chiamare ritenendola lontana.
Tutto pieno di meraviglia, corre precipitosamente al Santo, e non potendo stare in sé per la gioia, esclama: "Buone nuove, o Padre, ti porto!".
E a lui subito il Santo affrettandosi a prevenirlo, rispose : "Benedetto Iddio, il quale ci ha mandato il fratello nostro donna Giacoma! Ma aprite le porte - aggiunse - fatela entrare e conducetemela, perché per frate Giacoma non va osservata la clausura stabilita per le donne".
Esultano i nobili ospiti, e tra le consolazioni dello spirito cadono abbondanti lagrime.
E perché nulla manchi al miracolo, si ritrova che la santa donna ha portato tutto ciò che la lettera preparata diceva dovesse portare per le esequie del Padre.
Infatti aveva recato seco un panno di color cinericcio, nel quale involgere il povero corpo del morente, e molti ceri, la sindone pel volto, un cuscino pel capo, e un certo cibo che al Santo piaceva, e tutto ciò che aveva desiderato lo spirito di lui, aveva suggerito pure il Signore.
Continuerò senz’altro a dire dell’evento di questo pellegrinaggio, per non lasciare senza consolazione la nobile pellegrina.
Attende la moltitudine delle genti, specialmente il devoto gruppo della Città, che presto giunga con l’ora della morte il natale del Santo.
Ma questi è sollevato dall’arrivo dell’omaggio romano, e se ne trae l'augurio che possa vivere ancora un po’.
Perciò anche la signora stabilì di licenziare la comitiva e rimaner essa sola con i figli e pochi scudieri. Ma il Santo si oppose: "Non farlo, perché io sabato morirò, e tu la domenica potrai ripartire con tutti".
E così avvenne.
All’ora predetta, entrò nella Chiesa trionfante colui che strenuamente aveva combattuto nella militante.
Tralascio il concorso dei popoli, i canti di giubilo, i concerti delle campane, i fiumi di lagrime; tralascio il pianto dei figli, i singhiozzi degli amici, i sospiri dei compagni. E vengo a ciò che deve consolare quella pellegrina, priva del conforto del Padre.
Viene dunque nascostamente tratta ella da parte, tutta bagnata di lagrime, e ponendole tra le braccia il corpo dell’amico: "Ecco - le dice il vicario (frate Elia) - colui che hai amato vivo, tienlo anche morto".
Ed essa, bagnando di cocenti lagrime quel corpo, raddoppia i lamenti e i singhiozzi, e rinnovando i dolorosi abbracci e i baci, scioglie il velo per vederlo rivelato.
Che più?
Contempla quel vaso prezioso, nel quale era stato nascosto il prezioso tesoro, ornato di cinque perle (le stimmate). Vede le cesellature che solo la mano dell’Onnipotente aveva fatte per la meraviglia del mondo, e pur nella morte dell’amico rivive per tali insoliti gaudii.
Subito decide che non si debba dissimulare e nascondere oltre l’inaudito prodigio, ma con provvidenziale risoluzione si debba mostrare alla vista di tutti.
A gara tutti accorrono a vedere, e trovano in verità cosa che Dio non aveva fatta ad alcun’altra nazione e stupiti ammirano.
Sollevo la penna, perché non voglio balbettare ciò che non saprei spiegare.
Giovanni Frangipane, allora giovinetto, in seguito proconsole dei Romani e conte del sacro Palazzo, ciò che in quel tempo insieme con la madre vide coi propri occhi e toccò liberamente con le mani tutto questo giura e conferma per tutti i dubbiosi» (Trattato dei Miracoli, nn. 37-38).
Dopo i funerali, in gran parte sostenuti finanziariamente dalla stessa nobildonna, «frate Jacopa» tornò a Roma per il breve tempo necessario a disporre gli affari familiari, poi tornò ad Assisi, dove trascorse il resto della vita vicino alla tomba del suo padre spirituale, in abito di povera e umile terziaria, dedicandosi alla penitenza e alle opere di carità.
Morì l’8 febbraio 1239.
Fu sepolta nella chiesa inferiore della basilica di S. Francesco di Assisi, vicino all’altare che sovrasta la tomba del poverello.
Nel 1932, i suoi resti furono trasferiti nella cripta del santo, di fronte all’altare, fra le due scalinate, in un’urna protetta da una griglia metallica nera.
Sopra l’urna è un’iscrizione: «Fr. Jacopa de Septemsoli - Hic requiescit Jacopa sancta nobilisque romana».
Fonte:
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www.fratellofrancesco.org
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Note:
Per approfondire: Amneris Marcucci "Frate Jacopa. Sulle tracce della nobildonna romanaamica di san Francesco" Edizioni Porziuncola
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