Una lapide posta sotto il portico del Seminario Vescovile Maggiore di Massa invita con la sua stessa presenza a coltivare la memoria di quanti, sacerdoti e seminaristi, al tempo della Seconda Guerra Mondiale persero la vita, “nella fede e nell’amore caddero sperando” come recita una cronaca dell’epoca messa gentilmente a disposizione dall’Archivio Storico Diocesano. Non martiri in senso stretto, non uccisi esplicitamente in odio alla fede, almeno alcuni di loro, e comunque non può essere questa la sede idonea per attestarlo. È questa semmai sede opportuna per estendere il compito della lapide, per far sì che la testimonianza di Fede, di Speranza e di Carità di questi nove uomini dell’allora Diocesi di Apuania non vada perduta. Con la loro morte per mano violenta si sono uniti in modo singolare alla Passione per divenire immagini vive del Signore Risorto.
Tra essi Don Luigi Frizzotti, un sacerdote fermo nella sua convinzione: “Ho compiuto il mio dovere, per ciò il Signore mi aiuterà”. Questa frase Don Luigi ripeteva durante la sua agonia, insieme a quest’altra considerazione: “Nudi siamo nati e nudi dobbiamo morire” che aveva accompagnato le privazioni degli ultimi anni della sua vita. Una sintesi, questa, di un’esistenza trascorsa nel silenzio e nell’ombra, chiusa al suo tramonto con un atto eroico che le dona inaspettatamente luce.
Era nato a Monti di Licciana in una famiglia patriarcale, che già altri sacerdoti aveva donato alla Chiesa, di condizione abbastanza agiata. Rimase pochi anni nel paese natio: prima gli studi, poi l’apostolato lo portarono lontano dai suoi e dall’Italia. Giunse così in America, dove al tempo molti italiani si recavano in cerca di fortuna, attraversando due volte l’Atlantico. Infine, sentendosi ormai vecchio e fatto rientro in patria, si stabilì definitivamente in una villetta a Turano di Massa, da lui acquistata per trascorrervi gli ultimi anni della sua vita. Era alquanto corpulento ed un po’ curvo. Prestò il suo servizio pastorale presso la chiesa di Turano ed anche nel vicino ospedale civico. Infine, non sentendosi più adatto a svolgere il ministero come il suo cuore sacerdotale gli suggeriva, si ritirò a vita privata.
Con l’avvento della guerra ebbero inizio per lui giorni tristi. Raggirato da persone disoneste, perse ogni cosa, precipitando nella miseria e nella fame. Si trasferì allora a Marina di Massa, inizialmente presso alcuni suoi parenti, poi in un bilocale messo a suoa disposizione dal Conte Ceccopieri, vivendo della generosità dei benefattori. Nel tragico settembre 1944, quando la popolazione massese fu costretta a sfollare, anch’egli si allontanò qualche giorno dalla sua dimora, per poi farvi ritorno. Il suo fermo atteggiamento di fronte ai tedeschi, dei quali disapprovava apertamente l’operato, gli procurò noie e seccature, finché gli fu imposto di andarsene. Ben presto però, eludendo la vigilanza dell’esercito tedesco, riuscì a rincasare. La mancanza di mezzi gli rendeva impossibile il vivere altrove. Qui funse da cappellano delle poche famiglie rimaste, per le quali celebrava quotidianamente la Santa Messa, le confortava ed incoraggiava, contraccambiato con generosità in quanto gli era necessario per vivere. La mattina del 30 dicembre 1944, come al solito, celebrò la Messa nella chiesina del Bondano, per poi rientrare in casa per fare colazione. Tutto ad un tratto udì uno scoppio fortissimo, cui seguirono grida ed urla disperate provenienti da una casa vicina.
La Carità lo spingeva : messi da parte i fattori che non lo agevolavano, quali l’età avanzata, la situazione di pericolo e la violenza mossagli da una nipote onde dissuaderlo, scese di corsa le scale di casa per dirigersi in fretta nella direzione da cui provenivano le grida. Giunto a quella casa, riscontrò un vero disastrò, poiché tra la polvere e le macerie giacevano diversi feriti gravi. Benedisse i moribondi e somministrò le prime cure ad una bimba che prese in braccio. Sopraggiunse un altro forte scoppio, altre grida e lamenti, don Luigi stesso rimase ferito. Una scheggia l’aveva colpito nella parte superiore delle gambe, causandogli un grosso squarcio. Cessato il fuoco, viene recuperato e curato dal Conte Carlo Ceccopieri e dal dottor Ciompi. Nonostante la gravità della ferita, solo due giorni dopo utilizzando un carretto fu possibile raggiungere l’ospedale di Carrara per il ricovero. Questo ritardo gli fu fatale, in quanto un pezzo di stoffa della veste talare era penetrato con la scheggia nella sua carne, ingenerando la cancrena che lo portò alla morte circa dodici giorni dopo. Lo accompagnava la certezza di aver compiuto la sua missione sino alla fine. Umile e semplice, offrì la propria vita per i fratelli, per la salvezza delle loro anime.
Papa Francesco, che non manca di esternare con frequenza il suo apprezzamento per i “santi della porta accanto”, ha reso l’offerta della propria vista una nuova pista percorribile per la beatificazione e la canonizzazione.
Autore: Don Fabio Arduino
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