Il vescovo Ermogen (al secolo Georgij E. Dolganov) nacque nella diocesi di Cherson. Si laureò in giurisprudenza nell'Università di Novorossisk. A Sant Peterburg frequentò l'Accademia teologica, scelse la via monastica, fu ordinato sacerdote il 15 marzo 1892. Fu consacrato vescovo il 14 gennaio 1901 e destinato alla diocesi di Saratov. Nel 1912 per decreto dell'imperatore relegato nel monastero di Zhirovicy per cinque anni. Dopo la rivoluzione di febbraio fu nominato vescovo di Tobol'sk dove rimase fino al giorno dell'arresto.
Nel gennaio 1918, dopo l'emanazione del decreto di separazione della Chiesa dallo stato, di fronte alla persecuzione contro la Chiesa, che iniziarono immediatamente dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, il vescovo si rivolge al popolo: "Fratelli cristiani, alzate la vostra voce in difesa della fede apostolica della nostra Chiesa., dei santi della Chiesa e della dignità della Chiesa. Difendete la sacralità della vostra anima, la libertà della vostra coscienza. Nessun potere può pretendere da voi ciò che è contrario alla vostra fede, alla vostra coscienza religiosa"
Il 12 aprile 1918 il vescovo riunisce la fraternità da lui stesso fondata ed avverte che con tuta probabilità sarà arrestato, processato e condannato a morte. Non per questo pensa di ritirarsi in buon ordine. Secondo le direttive del Patriarca Tichon, indice una processione attraverso le vie della città per il 15 aprile allo scopo di invocare la protezione della Madre di Dio. "All'insegna della Croce, in compagnia dei nostri santi e delle nostre icone, canteremo la gloria di Dio. Di fronte ai nostri nemici e di fronte alla santa Chiesa professeremo la nostra fedeltà alla fede dei padri e alla Madre Chiesa."
La notte del 13 aprile una pattuglia entra di forza nel palazzo vescovile per arrestare Ermogen, ma non lo trovano. La domenica 15 aprile, prima di aprire la processione, celebra la Divina Liturgia e parla al popolo per l'ultima volta:
"Ringrazio il Signore perché mi ha reso degno di soffrire per il suo santo Nome e per la Chiesa. Le mie sofferenze sono ben poco in confronto a quelle altri che hanno sofferto ben più di me. Ritengo mio dovere spiegare quello che sta succedendo. Ho già detto, sia in predica come in dialoghi privati, che io non mi interesso di politica, non mi sono mai interessato e non intendo interessarmi anche in futuro. Io la disprezzo perché la considero senza confronto molto più in basso rispetto all'alta dottrina di Cristo. Ho sempre richiesto e richiederò che quelli che sono al potere non si interessino della Chiesa di Dio e delle nostre riunioni. Anche sotto il regime zarista mi è toccato di essere perseguitato per non aver voluto avvilire la mia vocazione vescovile, il mio servizio apostolico per assecondare gli interessi temporali dei politicanti. A causa di questo per più di cinque anni io fui prigioniero del vecchio regime, ma rimasi fedele alla propria coscienza. Se in chiesa sono presenti rappresentanti dell'attuale regime, di fronte a voi ortodossi dichiaro che la mia attività è estranea alla politica…Qualsiasi cosa che loro abbiano detto o fatto contro di me, sarà Dio a giudicarli. Io li ho perdonati e li perdono. La mia politica è la fede nella salvezza delle anime dei credenti, la mia piattaforma è la preghiera. Da questa strada non intendo allontanarmi, anche se potrà accadere che mi sia negato questa notte di riposarmi in casa mia…Io non temo per me, non soffro per me, soffro per la città, per quello che possono fare agli abitanti della città"
I fedeli consigliano il vescovo di non prender parte alla processione, ma egli rifiuta. Al termine della processione, alle ore 16.30 rientrando in sede trovò una pattuglia di guardie rosse che lo arrestò. Fu trasportato alla prigione di Ekaterinburg. In carcere non gli vengono risparmiate offese e volgarità, ma il vescovo non perde la sua abituale serenità. Lo testimonia anche la lettera che riesce far giungere ai fedeli
"Carissimi nel Signore,
Il Signore vi consoli, vi confermi nella fede e rallegri la vostra vita. Con tutto il mio essere vi scongiuro di non stare in pena per me, per il fatto che io sono in prigione. Questa è la mia casa spirituale. Sia ringraziato Dio che dona prove così sagge e feconde a me che ho bisogno di misure severe che possano agire sul mio interiore mondo spirituale. Queste prove che sembrano tanto pesanti, in sostanza costituiscono un circolo naturale di condizioni e di situazioni che sono legate indissolubilmente con il mio servizio episcopale. Chiedo soltanto le vostre preghiere affinché io possa accettare queste prove dalle mani di Dio, con vera devota sopportazione e con sincera gratitudine verso il Signore misericordiosissimo…"
Mentre il vescovo è in carcere i fedeli raccolgono denaro per ottenere al vescovo almeno una temporanea liberazione fino al processo ed oltre al denaro si offrono come ostaggi. Il vescovo rifiuta decisamente perché:"che padre sarei io se mi lasciassi comperare dai miei figli …e poi di loro non ci si può fidare". La raccolta viene egualmente fatta, il denaro viene consegnato ai rossi, i quali accettano il denaro e 'riconoscenti' arrestano anche i donatori. Naturalmente il vescovo resta in prigione.
Il giorno di Pentecoste il vescovo ottiene il permesso di celebrare la Divina Liturgia. Dopo la Comunione si rivolge ai fedeli: "Ma chi può dire che questa sia una prigione? Sia ringraziato Dio, questa è una scuola di spiritualità.
Il giorno dopo il vescovo Ermogen assieme ad atri prigionieri, fra i quali il sacerdote Petr Karelin viene trasportato a Tjumen. Senza alcun processo tutti vengono fucilati, escluso il vescovo e il sacerdote. Dopo alcuni giorni il sacerdote sarà gettato in mare. Il 15 giugno 1918 la stessa sorte tocca al vescovo Ermogen. Prima di essere gettato in mare legato a pietre di granito, il vescovo benedice i suoi carnefici. Le acque restituirono miracolosamente il corpo del vescovo il 3 luglio 1918.
Autore: Padre Romano Scalfi
Fonte:
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