Evgenij Ivanovich Pishchulin nasce il 21 gennaio 1893 nel villaggio Per’ja, governatorato di Rjazan’. Nel 1914 termina gli studi nel seminario teologico di Rjazan’ e nello stesso anno, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, è chiamato alle armi con il titolo di sottotenente. Durante un combattimento viene ferito, ricoverato in ospedale e, dopo la guarigione dichiarato inabile al servizio militare. Nel 1916 ritorna al villaggio natio e si iscrive ai corsi dell’Accademia teologica di Kiev che però non riesce a condurre a termine a causa dello scoppio de colpo di stato del 1917. Ritorna nuovamente al suo paesello, chiede la mano a Klavdija Ivanovna Solidova, ma deve aspettare dieci anni prima che la donzella si decida, nel frattempo insegna nella scuola diocesana. Finalmente nel 1923 si sposa e nello stesso anno viene ordinato sacerdote ed inizia il suo servizio come secondo sacerdote della chiesa della ‘Protezione della Madre do Dio’ nel villaggio Morozova Borka, diocesi di Rjazan’.
A padre Evgenij anche dai paesi circostanti si rivolgono ammalati, sofferenti, bisognosi di conforto spirituale ed aiuto materiale. In breve tempo riesce a guadagnarsi la simpatia sia dei credenti che dei non credenti. Nel 1929, durante la campagna contro i kulaki, viene privato di ogni avere ed aggravato di insostenibili tasse per l’usofrutto dell’edificio della chiesa. Padre Evgenij si adatta a vivere nell’estrema povertà e serenamente continua la sua missione. La sua prima figlia Nina non aveva ancora raggiunto i quattro anni quando il padre viene arrestato per la prima volta. E’ il 7 febbraio 1930. Il giorno seguente viene accusato di propaganda antisovietica e condannato a tre anni di lager da scontarsi nella regione di Archangel’sk. Negli archivi è stata trovato un documento dove un medico dichiara che padre Evgenij “soffre di infiammazione cronica ai reni”.Forse per questo è destinato al lavoro ‘leggero’del taglio degli alberi! Di positivo c’è che nel lager padre Evgenij incontra una comunità di sacerdoti numerosa, cordiale e devota. Con loro, nel folto dei boschi può celebrare, all’insaputa (o alla tolleranza?) delle guardie, la Divina Liturgia.
Scontata la pena padre Evgenij può tornare alla sua parrocchia di Morozova Borka e continua la sua missione fino alla chiusura della chiesa avvenuta nel 1937. Ma ancor prima della chiusura della chiesa l’atmosfera diventa sempre più irrespirabile. Padre Evgenij è convocato alla sezione del partito dove senza mezze misure gli ingiungono di rinnegare la fede, in modo pubblico per fornire un esempio pedagogico al popolo lavoratore. All’esplicito rifiuto del sacerdote, il rappresentante del partito risponde: “Allora ti faremo marcire in prigione”. Padre Evgenij ripara in luogo sconosciuto e cerca di svolgere la sua missione come prete ‘catacombale’. Viene scoperto su denuncia di un collaboratore e arrestato il 7 luglio 1937. La moglie Klavdija cerca invano di aver notizie e contatti con il marito finché l’ultimo pacco inoltrato le viene riconsegnato con la notizia che il marito era stato condannato con la pena aggiunta di proibizione a tener corrispondenza. Il 2 giugno 1958 le viene ufficialmente comunicato che il marito era morto il 5 febbraio 1946 in lager per miocardite. In realtà padre Evgenij, come appare chiaro dai documenti ritrovati dopo la caduta del comunismo, viene condannato alla pena capitale dalla Trojka il 26 settembre 1937 e fucilato il giorno 27 settembre 1937. Fra le caratteristiche proprie del comunista sovietico brilla non soltanto il gusto di massacrare gli innocenti, ma anche il gusto di far soffrire al massimo i parenti e gli amici delle vittime innocenti.
Autore: Padre Romano Scalfi
Fonte:
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