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Sant' Ilarione (Vladimir Alekseevic Troickij) Vescovo e martire

Festa: (Chiese Orientali)

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13 settembre 1886 - 28 dicembre 1929


Ilarion, al secolo Vladimir Alekseevic Troickij nasce il 13settembre 1886 nel villaggio Lipicy, governatorato di Tula. Il nonno Petr era vescovo, il fratello Aleksej sarà vescovo e il fratello Dmitrij sacerdote, una famiglia del tutto clericale. Vladimir prima studia nel seminario di Tula e poi nel 1906 all’Accademia teologica di Mosca. Siamo in tempi turbolenti. Da appena un anno si è scatenata e fallita la rivoluzione del 1905 e anche nell’accademia si diffonde uno spirito progressista alimentato dall’intelligencija sinistrorsa del tempo. Ma il giovane studente si concentra negli studi (passione che lo accompagnerà per tutta la vita) e mantiene rapporti con persone stagionate nella fede.
Terminati gli studi, il 28 marzo 1913 decide di entrare in monastero. Con una lettera ne dà notizia ai genitori: “Miei cari, perdonatemi tutte le mie mancanza, volontarie sia che involontarie. Vi prego di dimenticare tutto il male che ho commesso… Intraprendo questo nuovo cammino con serenità e gioia. Vi prego di conservarmi ancora il vostro amore”: Il 30 maggio dello stesso anno viene ordinato sacerdote e il 5 giugno gli viene conferito il titolo di archimandrita. Come inizio non c’è male. Ma il male non tarda a farsi presente. Nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale. Padre Ilarion così commenta al popolo riunito sul piazzale del Santuario di S. Sergio, i tragici avvenimenti: “L’ora terribile del giudizio incombe sulla terra russa. Negli ultimi dieci anni abbiamo gravemente peccato. Noi, uomini russi, abbiamo permesso il venir meno della fede nella nostra patria, abbiamo peccato contro la nostra storia gloriosa”.
Dopo un breve soggiorno a Gerusalemme con la missione russa, padre Ilarion ritorna a Mosca e dal 1916 insegna all’Accademia teologica di Mosca. Con la presa del potere da parte dei comunisti inizia la persecuzione contro la Chiesa e anche padre Ilarion ne prova sulla propria pelle le conseguenze. Il 1 marzo 1919 viene arrestato e rinchiuso nella tristemente prigione Butyrka. Come vive la nuova incomoda situazione lo sappiamo da una lettera ai familiari: “Mi trovo bene, come prima. Mi sono già abituato. Di salute sto anche meglio. Dati i tempi, posso dire che anche il cibo è buono. Mi sembra di essere in un posto di villeggiatura Nella mia cella ci sono altri tre docenti universitari. A turno ci teniamo lezioni. Devo dire che questi primi due mesi di prigione mi hanno fatto bene”. Venne liberato, senza essere processato dopo appena tre mesi di prigione.
Il 24 maggio 1924 padre Ilarion viene consacrato vescovo e destinato come vicario della diocesi di Mosca. “Prima leggevo libri -così nella predica dopo l’ordinazione-, ora devo leggere i cuori della gente. Prima scrivevo con l’inchiostro sulla carta, d’ora innanzi mi tocca scrivere con la grazia l’immagine di Dio nelle anime della gente.” Da questo momento il vescovo Ilarion è tutto preso nella sua attività pastorale, come confida agli amici: “Non ho né mattino, né sera. Non ho tempo per leggere né per scrivere… neppure ho tempo di peccare. Forse per questo il Signore mi ha combinato questa vita.
L’attività pastorale del vescovo, l’aiuto e la concordia con il Patriarca, i suoi interventi pubblici in difesa della fede, contro gli attacchi dei ‘senzadio’ sono tenuti sotto controllo dalla polizia comunista, la quale il 22 marzo 1922 pensa bene di arrestare il coraggioso propagandista della fede. Viene accusato di seguire gli ordini del Patriarca più dei suggerimenti del partito e di offendere i propagandisti dell’ateismo. E’ condannato ad un anno di confino nella città di Archagel’sk. Nel mese di giugno giunge a destinazione e trova alloggio nel centro della città in un appartamento dove gli viene riservata, tutta per lui, una modesta stanza (m. 5.5 per m. 2,1).
Come in ogni situazione, lui scrive di trovarsi bene. Scopre decine di varietà di muschio, fiori sconosciuti, una natura incantevole (siamo sulle rive del Mar Bianco, all’estremo Nord della Russia). Lo rattrista però il fatto che ottiene raramente il permesso di celebrare la Divina Liturgia (cinque volte in tre mesi). “In queste condizioni di vita io vedo chiaramente la benevolenza del Signore…la Provvidenza di Dio può agire anche per le mani dei malvagi. Essi pensano di compiere la propria volontà, ma in realtà essi compiono la benevola volontà di Dio. Questo certamente vale anche per me”. Non soffre tanto per essere lontano da Mosca quanto per il sapere che anche nella capitale gli scismatici ‘innovatori’, asserviti al potere per un proprio potere, dividono la chiesa e scandalizzano il popolo credente. Sul futuro della sua vita non si fa illusioni:”Penso di essere soltanto agli inizi della mia prigionia, ma preferisco vivere con i figli di Dio piuttosto di essere chiamato figlio del fastoso Faraone…Non mi interessa in nessun modo il mio destino personale, perché la situazione esteriore per me non ha importanza, ma io non posso non soffrire e alzare decisamente la mia voce vedendo e comprendendo le sofferenze della Chiesa russa”
Il 21 giugno 1923 scade il termine della pena ed il 5 luglio il vescovo Ilarion è già a Mosca. Riprende serenamente il suo lavoro e con altrettanta franchezza la lotta contro gli innovatori. Questi non perdonano lo zelo del vescovo e con una nota pubblica del loro consiglio avvertono le autorità comuniste che “gli interventi del vescovo Ilarion nelle chiese di Mosca durante le funzioni religiose rivestono un carattere palesemente controrivoluzionario ed eversivo”. Tuckov, rappresentante dello stato sovietico nei rapporti con la chiesa, pretende che il Patriarca Tichon s’accordi con gli innovatori e proclami ufficialmente l’accordo con loro. Rifiutarsi a questa pacificazione sarebbe stato considerato un atto controrivoluzionario. Il Patriarca non accetta nessun compromesso. Nel frattempo il vescovo Ilarion tiene una serie di pubbliche conferenze durante le quali smaschera la falsità delle dottrine degli innovatori e la non canonicità delle loro riforme in campo morale. In una di queste dispute era presente Lunacarskij, ministro dell’educazione, il quale interviene nella disputa rivolgendosi direttamente al vescovo Ilarion:
- “Voi ministri del culto, si siete ingolfati in contraddizioni: da una parte riferendovi alla Sacra Scrittura dite che non c’è potere che non venga da Dio, d’altra parte voi non amate il potere sovietico. Criticate il potere sovietico. Cittadino Troickij, come risponde a questa domanda?
“Forse che noi diciamo che il potere sovietico non viene da Dio? Certamente viene da Dio! In penitenza dei nostri peccati.”
Il 15 novembre 1923 il vescovo Ilarion viene arrestato. Il 7 dicembre è condannato a 3 anni di lager da scontarsi sulle isole Solovki. Arriva al luogo di detenzione nel gennaio 1924 quando giunge la notizia della morte di Lenin. Il vescovo si rifiuta di stare in piedi in silenzio per commemorare il capo della rivoluzione: “pensate che cosa succede oggi in inferno. Arriva lo stesso Lenin; che trionfo per i demoni!”
Dalle lettere che scrive dal lager veniamo a conoscere qualche cosa del suo spirito.
“Di me posso dire soltanto che sto bene, forte, sano e sereno…molto meglio di tanti che vivono in ‘libertà’. Le isole Solovki mi piacciono molto. Non ho mai pensato di sentirmi così bene nel lager delle Solovki. La mia vita a Mosca era molto più pesante: non avevo un minuto di tempo libero. Qui sono in pensione. E’ volontà di Dio che io lavori qui e non serva la santa Chiesa…”
Un compagno di lager di lui ha testimoniato: “Il vescovo Ilario era sempre in pace e allegro. Quando parlava con noi cercava sempre di offrirci un aiuto spirituale e tutto convertiva in bene…Essendo un autentico teologo, il vescovo cercava di vedere ovunque Dio, in ogni luogo, in ogni tempo, e anche il lager delle Solovki lo considerava una buona scuola di virtù: distacco, semplicità, umiltà, sopportazione ed amore al lavoro… era sempre disponibile per tutti…a stare con lui ci si trovava bene. Dietro una trasparente forma di serenità si poteva intravedere una purezza da bambino, una grande esperienza spirituale, bontà e compassione, una indifferenza tranquilla per tutti i beni materiali, una vera fede, uno zelo autentico, un alta perfezione morale”.
In questo periodo, sempre per opera nascosta dei comunisti, avviene un nuovo scisma del quale è protagonista il vescovo Grigorij di Ekaterinburg. Tuckov, nel tentativo di coinvolgere il vescovo Ilarion, lo trasferisce nelle carceri di Jaroslav (5 luglio 1925), gli riserva una cella, gli fa avere i libri che desidera e ordina che sia trattato con tutto riguardo. Per due volte Tuckov. s’incontra in prigione con il vescovo Ilarion; gli propone di farlo eleggere Patriarca purchè sostenga almeno uno dei due scismi. I tentativi di compromettere il vescovo vanno per le lunghe, ma Ilarion non è disposto a cedere a nessuna lusinga. Quando Tuckov si persuade che con quel tipo di uomo non c’è nulla da fare, sempre gentilmente conclude le trattative con la frase che è rimasta famosa: “E’ sempre bello parlare con un uomo intelligente. Quanti anni deve passare alle Solovki? Tre anni?! Per Ilarion tre anni! Così poco?!”
Il 26 febbraio 1926 il vescovo viene trasferito dalla cella privata ad una cella in comune. Nell’aprile dello stesso anno ritorna alle isole Solovki. Il buon umore non cambia, anche in questo trasferimento sa vedere un miglioramento della situazione. Ciò che maggiormente gli preme è conservare ed infondere la speranza. “Dobbiamo credere che la Chiesa è ben salda. Senza questa fede non si può vivere. Anche se rimangono piccoli lumi; verrà un giorno che dalla loro luce tutto sarò rinnovato. Senza Cristo gli uomini si divorano l’un l’altro. Lo comprendeva perfino Voltaire… L’inverno è passato, tempo in cui non c’è giorno. Esci dalla baracca e tutto attorno silenzio e tenebra… ma quanto più la notte è profonda, tanto più brillano le stelle”.
Il 19 novembre 1926 è condannato ad altri tre anni da trascorrere alle Solovki, accusato di non aver acconsentito alle proposte di Tuckov. Alla notizia il vescovo scherza: “Mi fanno ripetere la classe”. Scrive agli amici: Grazie alla benevolenza di Dio è il quinto estate che vivo sulle rive del Mar Bianco e mi sono del tutto assuefatto al Nord… Spero che il Signore vi faccia superare le molteplici tentazioni. Io sono vivo e sano. Mi trovo bene, meglio di quello che potessi pensare”.
Nel 1927 sorgono altre difficoltà nella chiesa, in parte dovute alle dichiarazioni di lealismo del metropolita Sergij. Il vescovo Ilarion raccoglie attorno a sé i vescovi che si erano scandalizzati ed erano propensi a staccarsi dall’obbedienza del metropolita Sergij e li convince a non creare una uova divisione all’interno della Chiesa.
Nell’estate del 1929 si avvicina il tempo del temine della seconda condanna. Il vescovo scrive agli amici: “Vivo, come prima, molto bene, senza dolori e senza particolari bisogni. Del mio futuro non so immaginare nulla. Ma non mi asspetto nulla di buono. Ora non mi seno afflitto perché vivere qui in questo momento è meglio che altrove.
Il 14 ottobre 1929 il vescovo Ilarion viene condannato a 3 anni di confino nel Kazakistan. Il luogo di destinazione è assai lontano e attraversare il paese sotto scorta, con tappe indefinite nelle varie prigioni di transito non è certo una bella prospettiva. Certamente peggio che nei lager. Durante il trasferimento il 19 dicembre il vescovo si ammala di tifo. Le sue ultime parole “Ecco… finalmente sono libero”. Muore il 28 dicembre 1929 nell’infermeria della prigione.


Autore:
Padre Romano Scalfi


Fonte:
www.culturacattolica.it

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Aggiunto/modificato il 2020-05-08

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