Nostro Signore Gesù Cristo non ha mai usato mezze parole per avvertire a cosa sarebbero andati incontro quanti lo avessero seguito. Al termine del Discorso della Montagna ebbe a dire: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”(Mt 5,11). Non perde diverse altre occasioni per predire odio e persecuzioni: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,18.20). Ha sottolineato inoltre come il coinvolgimento dei potenti di questo mondo sarebbe stato tutt’altro che secondario: “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome” (Lc 21,12). Il nome di Gesù, una nome così dolce, come celebra l’antico inno “Iesu dulcis memoria”, che la liturgia celebra nel tempo natalizio il 3 gennaio, diviene nella storia causa di spargimento di sangue innocente. Senza bisogno di aspettare chissà quale epoca posteriore, quando Gesù ancora era neonato già questo si verifica: “Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi” (Mt 2,16). Questi infanti sono passati alla storia, anche nella tradizione liturgica della Chiesa, come i Santi Innocenti.
La storia cristiana è in realtà costellata di innocenti che a causa del nome di Cristo, che non hanno voluto rinnegare, hanno visto versato il loro sangue. Due esempi fra tutti: gli oltre Ottocento abitanti di Otranto decapitati dai turchi il 14 agosto 1480 e la famiglia Ulma, i coniugi Jozef e Wiktoria Ulma con i loro figli, sterminati dai nazisti in Polonia il 24 marzo 1944.
Un caso spinoso di morti innocenti è poi costituito dai casi di presunti omicidi rituali perpetrati in diversi luoghi d’Europa da persone di religione ebraica ai danni di bambini cattolici. Occuparsene non ha l’intenzione di ravvivare l’antisemitismo o di scatenare scalpore, quest’ultimo già sufficiente mesi orsono a causa di un’opera del pittore cattolico Giovanni Gasparro. È bensì la storia di un culto che ha contraddistinto per lungo tempo la spiritualità cattolica, non senza un riconoscimento ufficiale da parte della Santa Sede, come avvenne per tre di questi bimbi: Simone Unverdorben da Trento (Concessione Messa e Ufficio in data 8 giugno 1588 da parte di Papa Sisto V), Domenichino del Val (Concessione Messa e Ufficio in data 9 luglio 1908 da parte di Papa Pio IX) e Lorenzino Sossio da Marostica (Conferma di Culto in data 5 settembre 1867 da parte di Papa Pio IX). Il nome del primo di essi addirittura approdò nel Martirologio Romano alla data del 24 marzo: “Tridéntini pássio sancti Simeónis púeri, a Iudǽis sævíssime trucidáti, qui multis póstea miráculis coruscávit” (Martyrologium Romanum. Singulis anni diebus juxta novam kalendarii rationem necnon additis variationibus ex a.a.s.LII1960, Éditions Iris, 2019). Ariel Toaff ha dedicato a questo fenomeno la sua opera “Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali” (il Mulino, 2007), pur riconoscendo che “il lavoro degli storici è sempre difficile, talvolta doloroso e ingrato”.
Molti altri bimbi ebbero un culto prettamente locale: Varnerio di Oberwesel, Rodolfo di Berna, Michele de' Giacobi, Giovannino Costa da Volpedo, Cristoforo della Guardia, Guglielmo di Norwich, Riccardo di Pontoise, Ugo di Lincoln, Simonino di Vilna, Andrea di Rinn, Corrado Scolaro di Weissensee, Enrico di Monaco, Luigi Von Bruck, Michele di Suppenfeld, Giovanni di Witow, Elisabetta di Punia, Mattia Tillich, Rodberto di Parigi, Aroldo di Gloucester, ed infine Sebastiano Novello da Portobuffolè.
Il 6 luglio 1480 a Venezia tre ebrei venivano giustiziati in seguito all’accusa di aver ucciso un bambino cristiano nei giorni della Pasqua di quell’anno, onde poter utilizzare il suo sangue per compiere i riti pasquali. Si trattava di un piccolo accattone girovago di circa sei anni d’età, originario di Seriate, nei pressi di Bergamo, ed era stato prelevato nel mercato di Treviso dove mendicava. Da qui, due ebrei lo condussero nella vicina Portobuffolè, sul fiume Livenza, con un avventuroso viaggio che non passò inosservato agli occhi dei viandanti e dei barcaioli. Giunti nell’abitazione del prestatore locale Servadio, presunto mandante del rapimento, commisero il delitto rituale, non senza la partecipazione di altri ebrei, sia del luogo che forestieri. Prelevato il sangue, il corpo del bimbo venne bruciato nel forno della casa di Mosè da Treviso, anch’egli prestatore di denaro a Portobuffolè. Denuncie e delazioni avrebbero portato ad incriminare gli ebrei circa la tragica fine dell’anonima piccola vittima, ribattezzata con il nome di Sebastiano Novello.
Portobuffolè nel Quattrocento era uno di quei piccoli centri della Marca di Treviso e del territorio di Venezia che ospitavano una comunità di origine ashkenazita. Tracce di questa presenza sono riscontrabili in testi ebraici manoscritti, copiati nella cittadina veneta in anni precedenti ai fatti che videro coinvolto l’infante Sebastiano.Cronaca della crudele esecuzione fu riportata dagli apologeti diaristi del tempo e ci trasmette una interessante informazione: uno dei condannati, Servadio, avrebbe affrontato il supplizio in preghiera e con esternazioni non propriamente benevole verso il cristianesimo. A questo particolare è forse legata la storia romanzata di una lapide. , murata nella sinagoga ashkenazita ScolaCanton del ghetto di Venezia, contenente un versetto del Salmo 32 (“Molti dolori sono riservati al malvagio, mentre chi confida in Dio è circondato dalla misericordia” Sal 32,10). Questa frase, secondo la tradizione ebraica locale, sarebbe stata pronunciata proprio dal condannato tra le fiamme del rogo in piazza San Marco.
In quei momenti terribili egli sarebbe riuscito ad indicare il suo delatore, il domestico Donato lì presente, divenuto cristiano con il nome di Sebastiano, agli ebrei presenti in mezzo alla folla. Tra essi Josef, il cantore della sinagoga di Portobuffolè, colui che avrebbe interpretato il salmo con diversa intenzione: “Gli acerbi dolori che patisco, ricadano sul malvagio”.
Storia ed agiografia si univano ed al tempo stesso si confondevano e si contendevano “l’autenticità del vero martirio e la sua memoria”, a giudizio di Toaff.
Secoli dopo, il 28 ottobre 1965, Papa Paolo VI unitamente ai Padri del Concilio Vaticano II firma la dichiarazione “Nostra aetate” sulle relazione della Chiesa con le religioni non cristiane. In questo contesto la Chiesa cessa di tributare culto liturgico a questi piccoli martiri e nella successiva edizione del Martirologio Romano, pubblicata da Giovanni Paolo II all’alba del terzo millennio, anche il nome di Simonino da Trento non figura più. La testimonianza innocente di Sebastiano, di Simonino e degli altri bimbi, invece, imperitura resiste alla furia iconoclasta, riscuotendo ancora oggi affetto e devozione.
Autore: Don Fabio Arduino
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