Il 10 agosto 1990 fa moriva Madre Eugenia Ravasio (1907-1990), la religiosa nota per aver ricevuto delle rivelazioni da Dio Padre che le disse di voler essere «conosciuto, amato e onorato dagli uomini» e le comunicò il desiderio di una festa liturgica in Suo onore, da celebrarsi il 7 agosto o la prima domenica dello stesso mese. Nel diffondere il messaggio del Padre celeste, suor Eugenia affrontò ostacoli e persecuzioni che la accompagnarono per tutta la sua vita terrena, anche dopo la conclusione della lunga inchiesta diocesana (10 anni) voluta dal vescovo di Grenoble, Alexandre Caillot, il quale riconobbe le virtù della suora e l’autenticità della teofania.
Guarita dalla Madonna
Era nata prematura (a sei mesi) il 4 settembre 1907 a San Gervasio d’Adda e battezzata d’urgenza con il nome di Elisabetta Anna. Per quattro anni lo sviluppo di “Bettina” fu lentissimo. Non sapeva parlare né camminare. Ma in casa c’era nonno Piero, un uomo di fede che ogni mattina andava in chiesa per la Messa, vi tornava per i vespri e a sera faceva riunire tutta la famiglia per il Rosario. Poiché la nipotina non migliorava, Piero Ravasio si recò a piedi al Sacro Monte di Varese, distante una settantina di chilometri, e chiese alla Madonna di intervenire. Al ritorno, ormai all’ingresso del paese, Piero si vide venire incontro Bettina, che aveva intanto avuto un’apparizione della Vergine e ricevuto da Lei il comando di incontrare il nonno «sotto i platani, prima della chiesa».
Ormai guarita, sebbene più esile della media, a Bettina toccarono presto alcune delle faccende di casa più dure, come andare a lavare la biancheria a mezzora di cammino. La sua infanzia fu segnata da fatiche e sofferenze, anche a causa del duro atteggiamento della madre verso di lei. Ma allo stesso tempo la piccola era di tempra forte e di animo lieto, privo di rancori.
A sei anni non ancora compiuti, nel maggio 1913, le era capitato un altro fatto particolare. Un inviato del parroco comunicò alla famiglia che all’indomani la bimba avrebbe dovuto ricevere la Prima Comunione. Il giorno seguente, senza alcuna formazione catechistica, Bettina fu accompagnata in chiesa e, dopo un momento di esitazione del sacerdote che la vedeva molto più bassa delle altre, ricevette l’Eucaristia. Poi «mi ritirai in un cantuccio della chiesa a parlare a Gesù, come mi aveva detto il nonno», ricorderà lei, che allora sentì «una gioia immensa», «il cielo in me e con me». Ma perché quell’improvvisa Prima Comunione? Si capì poi che si era trattato di un errore di omonimia…
Già da bambina aveva le idee chiarissime: voleva fare la missionaria. Dopo il diploma di terza elementare, lavorò in fabbrica mettendo da parte - al netto del denaro per la famiglia - il necessario per il corredo da missionaria.
Si consacra a Dio
A vent’anni entrò tra le suore di Nostra Signora degli Apostoli e a ventuno iniziò il noviziato, ricevendo l’abito e il nome religioso: suor Eugenia. In quel periodo, grazie all’abbandono nelle mani della Madonna e quindi nel suo Figlio, la giovane iniziò a mutare la sua ritrosia verso il Padre eterno, che nasceva anche da certe immagini che Lo raffiguravano «sempre adirato».
«Gesù mi fece capire che noi non conosciamo la grandezza, la dolcezza, la paternità, la longanimità, la misericordia, la tenerezza, la provvidenza, l’attenzione materna, l’affabilità attenta che il Padre ha per ciascuno di noi. Il Padre ha dato per noi il suo unico Figlio e Gesù venne per farci conoscere il Padre, per farlo amare e dargli gloria. E ci insegnò come andare al Padre, per mezzo di Lui che è la via. E l’unica preghiera che ci insegnò è il Pater...».
Fin dal tempo come operaia, era attratta dalla preghiera sacerdotale di Gesù (Gv 17, 1-26) e dalla sua supplica al Padre perché tutti siano «una cosa sola». Fu approfondendo questo carisma dell’unità, con il pensiero tra l’altro rivolto a scismatici e oppositori della Chiesa, che suor Eugenia arrivò alla professione dei voti. Vi arrivò superando varie prove, incluse «tentazioni diaboliche esterne, interne, carnali…».
Il Padre le si rivela
Le prove proseguirono a seguito del trasferimento alla casa madre di Lione, dove la superiora locale gliene fece passare di tutti i colori, arrivando a impedirle di entrare in refettorio per i pasti. Il poco che mangiò in quei giorni era il pane che suor Giovanna d’Arco, una delle poche consorelle a volerle bene, le consegnava di nascosto. In tutte le umiliazioni, accettate con rassegnazione, suor Eugenia trovava rifugio in Dio Padre. Sarà per Lui che scrisse la preghiera «Dio è mio Padre». E sarà Lui che il 1° luglio 1932 la verrà a visitare dettandole, in latino, la Sua Volontà (clicca qui).
Le straordinarie rivelazioni divennero note fuori dalla congregazione. Nel 1934, dopo un anno a letto per malattia (il suo peso scese a 27 chili), subì i primi pesantissimi interrogatori ecclesiastici. Non creduta, bollata perfino come «eretica», per due giorni fu rinchiusa in manicomio. Dietro ordine di un parroco addolorato per la vicenda, andò a recuperarla - in lacrime - Madre Ludovica, da due anni superiora generale e sua grande estimatrice. Consapevole che sulla missione di suor Eugenia si svolgeva una grande lotta tra potenze celesti e infernali, Madre Ludovica offrì la sua vita per la gloria del Padre. Morì il 9 febbraio 1935, a soli 44 anni. Un mese prima aveva profetizzato davanti a un gruppo di consorelle: «Io me ne andrò, ma il giorno che non rispetterete e non avrete fede in suor Eugenia, il Signore ce la strapperà via e il nostro istituto diminuirà se non finirà del tutto».
Superiora Generale (1935-1947)
Nell’elezione per la nuova superiora generale fu scelta, all’unanimità, proprio suor Eugenia. Giorno: 7 agosto. Non aveva ancora compiuto 28 anni. La sua istruzione era scarsa. Ma con lei alla guida, la congregazione di Nostra Signora degli Apostoli entrò nella sua fase più luminosa. Basti qualche estratto della testimonianza di monsignor Caillot, al termine della già citata inchiesta diocesana, rivelatrice della personalità di suor Eugenia e del suo equilibrio:
«Durante tutta l’inchiesta, Suor Eugenia dette prova di una grande pazienza e di una docilità perfetta, sottomettendosi a tutti gli esami medici senza lamentarsi, rispondendo agli interrogatori, spesso lunghi e penosi, delle commissioni teologiche e mediche (…). Molte circostanze hanno permesso anche di scoprire che la Suora era capace di praticare la virtù ad un grado eroico, a testimonianza dei teologi, specialmente l’obbedienza (…) e l’umiltà (…). Nelle sue funzioni di Superiora Generale, posso attestare che l’ho trovata molto impegnata nel suo dovere di stato, dedicandosi al suo compito - che doveva tuttavia sembrarle tanto più difficile, poiché non vi era preparata - con grande amore per le anime, per la sua Congregazione e per la Chiesa. (…) Conosce singolarmente ognuna delle sue 1400 figlie, con le loro attitudini e le loro virtù, ed è così capace - per le nomine ai diversi compiti - di scegliere quelle che sono le più adatte. Ha ugualmente una conoscenza esatta, personale, dei bisogni, delle risorse della sua Congregazione, della situazione di ogni casa. Ha fatto la visita a tutte le sue missioni. Vogliamo sottolineare anche il suo spirito di lungimiranza. Ha preso tutte le disposizioni necessarie perché, nell’avvenire, ogni istituto ospedaliero o scolastico avesse le Suore diplomate delle quali ci sarà bisogno per vivere e svilupparsi (…) In sei anni ha fatto 67 fondazioni e ha saputo portare dei miglioramenti ben utili nella Congregazione».
Una città per i lebbrosi
Tra le più grandi opere di Madre Eugenia vi fu quella a favore dei lebbrosi della Costa d’Avorio, «membra sofferenti di Cristo». Per sollevarli dalla loro condizione, chiese l’uso di centinaia di ettari di foresta vergine e progettò «un lebbrosario che fosse una città autonoma, con una casa per ogni lebbroso, scuole, ospedale, cinema, chiesa». Dopo aver coinvolto il laico Raoul Follereau, che tenne conferenze in tutta la Francia per raccogliere i soldi necessari, nacque la città di Adzopé. Un’opera di carità enorme, completata negli anni Cinquanta.
Di nuovo in croce. E il consiglio di Padre Pio...
Intanto, per Madre Eugenia era iniziato un nuovo, lunghissimo Calvario. Poco dopo la sua rielezione a superiora generale nel 1947, le assurde accuse di una suora con disturbi nervosi (che voleva essere sua segretaria) la portarono davanti al Sant’Uffizio e poi a Propaganda Fide: dovette dimettersi. Tra la fine del 1952 e l’inizio del 1953, malgrado le continue prove di obbedienza, fu addirittura spogliata dell’abito religioso.
Dopo una Messa da Padre Pio, mentre il santo da Pietrelcina rientrava in sacrestia, lo sentì gridare forte verso di lei: «Ma che Genova e che Milano [era lì che Eugenia pensava di dirigersi per gettare le basi di una nuova congregazione, ndr]! Va’ a Roma, dove ti aiuteranno i miei figli spirituali!». Vi arriverà il 15 agosto 1956. Seguiranno altri anni di preghiera, silenzio, sofferenza, compreso il carcere a Rebibbia, dove conoscerà i ‘motivi’ del suo arresto - cioè la volontà di arricchirsi con le questue e altre accuse incredibili - solo dopo quattro mesi dietro le sbarre. Ma il suo carisma rimase intatto: «Io debbo essere il sorriso del Padre», diceva. Insieme a tanti dolori, i segni miracolosi non mancheranno.
Alla fine riuscì a fondare, ad Anzio (dove morì), le Missionarie “Unitas in Christo ad Patrem”, piccola comunità ancora oggi esistente che cerca di continuare la sua opera. Il resto lo sa il Padre eterno.
Autore: Ermes Dovico
|