† Catania, 21 febbraio 2013
La vicenda di questo giovane papà, assieme a casi simili di molti altri, fa aprire gli occhi su una realtà poco considerata: quando si impone al malato in stato di apparente incoscienza l’eutanasia, non si uccide solo il suo corpo ma si pone bruscamente fine anche al percorso spirituale terreno della sua anima.
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A molti l’11 settembre ricorda lo schianto di due aeri contro le torri newyorkesi; agli appassionati di storia della Chiesa potrebbe evocare il coraggio di fra’ Marco d’Aviano e il ruolo morale che ebbe nel fermare i musulmani a Vienna; per i Crisafulli l’11 settembre è il giorno dell’incidente che ha cambiato la vita di Salvatore e dei suoi familiari.
Era l’anno 2003; Salvatore Crisafulli guidava la moto. Ad un tratto fu travolto da un furgone che ridusse il suo corpo ad una “foglia d’insalata” (1). Aveva 38 anni.
La sua non è la storia di chi è cresciuto in Chiesa o ha ricevuto un’attenta educazione religiosa, quindi quello che ha vissuto quando era prigioniero nel suo corpo non può essere condizionato da una radice religiosa, da un background culturale.
Ancora bambino fu chiuso in collegio insieme al fratello Pietro per l’estrema povertà della famiglia. Scappò più volte fino alla fuga definitiva, quando aveva 14 anni. Riaccolto in casa bisognava guadagnare ed eccolo nei panni del fruttivendolo ambulante e poi in quelli del raccoglitore di cartoni o di ferro vecchio.
A 15 anni conobbe la ragazza che sposò, ma a riprova di quanto fosse lontano dal vivere i principi cristiani, fece quella che in Sicilia e nel sud Italia è conosciuta come “fuitina” (2). Convisse con la futura moglie per dieci lunghi anni fino a quando la sposò in Chiesa, regolarizzando la sua unione. Arriviamo così alla fine degli anni ’80. Salvatore trova un lavoro stabile dapprima in ospedale e poi all’ASL, dove si occupa delle pratiche per disabili. Ha quattro figli, sembra che tutto si sia sistemato per il meglio, almeno... fino al giorno fatale.
Dopo l’incidente Salvatore entra in coma e la sua storia non è dissimile al dramma che accomuna centinaia e centinaia di casi: la scienza medica non riconosce l’anima imprigionata in un corpo.
Il pianto, il movimento delle palpebre sono considerate risposte inadeguate per poter concludere che dentro un corpo impassibile c’è una vita cosciente. La medicina segue un protocollo ideologico atto a fornire l’alibi per tranquillizzare le coscienze dei medici. Ma quale alibi può rassicurare veramente la coscienza di un medico se di fronte all’evidenza di una pur minima reazione del paziente, non si approfondisce il caso e non si considera almeno l’ipotesi di un cambiamento di prospettiva rispetto al protocollo ufficiale?
Quando Salvatore, uscito dal coma, è riuscito a lanciare segnali all’esterno per far comprendere che era presente in un «corpo vegetale», aprendo e chiudendo gli occhi, i familiari hanno capito. Da una prima ipotesi di porre fine ad una vita considerata ingiustamente inutile, sono passati alla lotta per difendere la sua vita. Hanno lottato e poi lottato ancora contro tutto e contro tutti e, nei suoi ultimi nove anni di vita, Salvatore è riuscito a comunicare grazie al sussidio di un’apparecchiatura elettronica. Ha poi raccontato che durante il coma ha visto una luce, un bagliore ed una mano che lo sosteneva, lo soccorreva. È allora che ha potuto dire che in quello stato ha pregato molto, ha chiesto al Signore di fare in modo che il mondo esterno lo capisse, che gli uomini hanno un’anima donata da Dio, leggera e vitale e che la vita vale sempre la pena di essere vissuta, anche da paralizzato, anche piagato e febbricitante.
Salvatore ha fatto un percorso spirituale, libero, nonostante il corpo lo tenesse prigioniero. In esso ha sperimentato il contatto con il divino.
Noi dimentichiamo che quando s’impone al malato l’opzione eutanasia, non si uccide solo il corpo, ma si mette fine anche al percorso spirituale terreno di un’anima. A dispetto della paralisi che immobilizza fisicamente, l’anima si libra leggera in un mondo senza vincoli spaziali e temporali.
L’amore della famiglia è stato l’ossigeno spirituale che ha fatto sentire Salvatore sicuro durante il percorso del suo Calvario e che l’ha visto per altri nove anni svolgere la sua missione di preghiera e certamente anche di vittima affinché il mondo comprenda che il «diritto» a morire non può diventare la nuova frontiera dei diritti umani.
Note
1) Fu così che lo definì il celebre dottor Leopold Saltuari dopo averlo visitato. Da notare come la celebrità riconosciuta e la superbia del sapere non siano sempre in grado di cogliere l’umanità degli ammalati, dimostrando la fallacia del giudizio che ne scaturisce. Giudizio che non è mai gratuito, costa anche 5.000 euro a visita.
2) La fuitina è la fuga repentina di una coppia di giovani aspiranti coniugi dai rispettivi nuclei familiari di appartenenza, allo scopo di mettere i genitori di fronte al fatto compiuto.
Autore: Lazzaro M. Celli
Fonte:
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www.settimanaleppio.it
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