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Masseo Frate Minore

Festa: Testimoni

† 1280

Le notizie riguardanti il frate sono quantitativamente scarse, ma è comunque possibile ricostruire passaggi della sua vita attraverso le fonti in cui esso è citato. È citato nella Lettera di Greccio* (biografia di S.Francesco, redatta l'11 agosto 1246 dai Frati Leone, Angelo, Ruffino) come uno dei “santi frati” che, fornirono ai tre redattori della lettera, notizie e testimonianze su S.Francesco. I Fioretti (raccolta di miracoli ed esempli devoti, del Santo di Assisi, ricavati, quasi interamente, dagli “Actus beati Francisci et sociorum eius” nell'ultimo quarto del duecento da Frate Ugolino da Monte Santa Maria). Molto amato e rispettato da S.Francesco essendo stato il più “vicino” dei suoi discepoli, nell'elenco delle virtù del frate minore è ricordato per l'aspetto attraente e il buon senso. I fioretti che lo riguardano hanno come tema l'umiltà, l'obbedienza e l'amore infinito verso Dio. Nel 1220 ca. il frate si recò a Roma insieme a Francesco per far sì che la “regola” (povertà e l'assoluta rinuncia a ogni bene materiale) dettata da Francesco, avesse l'approvazione del Papa Onorio III. Secondo la tradizione nel 1224 ca. sul monte Averna, Frate Masseo e Angelo, assistette alla prima miracolosa manifestazione delle stimmate di S. Francesco. Il frate morì nel 1280 e fu sepolto presso la tomba del Santo Francesco nella cripta della Basilica di Assisi, dove tuttora riposa.



Frate Masseo, giovane nobile, era nativo di Marignano, una «piccola terra del contado di Assisi» (A. Fortini).
Entrato nell’Ordine nel 1210, fu uno dei primi compagni di s. Francesco, e uno dei frati di sua maggior fiducia.
Nell’etopea ideale del frate minore, Masseo viene soprattutto proposto per la simpatia delle sue buone qualità umane: «l’aspetto attraente e il buon senso... il suo parlare bello e devoto».
Era un bell’uomo, prestante, disinvolto, simpatico; e «aveva il volto sempre sorridente». Possedeva anche buone qualità dello spirito, e fu per queste - per perfezionarle - che aderì al gruppo iniziale del poverello, perseverando santamente fino alla fine.
Tante e così buone doti furono forse in lui una difficoltà per essere francescanamente umile? Senza dubbio, «era molto differente dal semplicissimo frate Ginepro» (Cuthbert), quasi il suo contrappunto per temperamento.
Il fatto poi è che Francesco «mise un impegno particolare nel consolidarlo sulla base dell’umiltà, così da guarirlo da ogni vanagloria».
Giunse presto a distinguersi per le sue buone doti spirituali.
Poiché aveva un fisico e un temperamento così notevoli, gli altri non mancavano di prestargli attenzione, osservandolo di giorno e di notte.
Mangiava una sola volta al giorno, generalmente al tramonto. Si ritirava quindi nella sua cella per un breve sonno. Si alzava a mezzanotte e rimaneva sveglio le restanti ore notturne, che spendeva in fervida preghiera, pronunciando di tanto in tanto, con abbondanti lacrime, queste parole: «Signor mio Gesù Cristo, concedimi un vero dolore dei miei peccati, e la grazia di ripararli e di emendare la mia vita secondo la tua volontà»: era la sua preghiera per raggiungere l’umiltà verso il basso.
Al sorgere del nuovo giorno, partecipava all’Eucaristia, ritornava alla sua cella, e si metteva a cantare sottovoce: «Signore, mio Dio, fa che ti conosca, ti adori, e ti ami con tutto il cuore»: era la sua preghiera per raggiungere l’umiltà verso l’alto.
Egualmente intonate all’umiltà erano le sue semplici conversazioni. Con chiara preferenza per frate Egidio, consigliava: «E’ meglio visitare i santi da vivi che da morti. I santi vivi ti insegneranno con la loro esperienza a superare i pericoli e a vincere le tentazioni del corpo e dello spirito». Affermava: «C’è maggior profitto là dove c’è maggior utilità».
Per la duplice grazia del suo bell’aspetto e della sua virtù, questo uomo ben piantato era anche uno che pensava bene degli altri.
Nel convento di Cibottola i frati potevano contare su di un signore, che in tutto li aiutava con piacere e disinteresse. Aveva però un difetto: era un grande mormoratore, e introduceva nel convento i pettegolezzi del mondo esterno, in particolare gli scandali dei sacerdoti. Questo arrecava un grosso dispiacere al cortese e generoso frate Masseo.
Un giorno lo prese da parte e gli consigliò: "Figlio mio, ti prego di pensare sempre alle buone opere degli uomini e delle persone consacrate, e così, da cattivo ti farai buono e da buono ottimo. Se invece stai sempre a badare alle cose cattive, e a rimestarle dentro di te, e a raccontarle agli altri, da buono diventerai cattivo, e da cattivo pessimo".
Frate Masseo fu uno dei preferiti da Francesco come compagno del suo peregrinare da un luogo all’altro.
Lo prese con sé in uno storico viaggio a Roma, dove ebbe confermata dal cielo la sua vocazione di povertà evangelica (cf. I Fioretti, cap. XIII); con lui e con frate Angelo si trovava pure quando fece l’originale e famosa predica alle «sirocchie uccelli», una meraviglia poetica, che successivamente - secondo Fortini – «frate Masseo confermò con la sua testimonianza» (cf. I Fioretti, cap. XVI); fu ancora lui che portò con sé a predicare in Francia, quando assegnò il mondo alle varie coppie di frati, tra i pochi che erano (cf. I Fioretti, cap. XIII); Wadding e Fortini affermano che lo prese quando si presentò davanti a Onorio III, nel 1221, perché gli confermasse lo straordinario privilegio del «Perdono di Assisi».
E di frate Masseo (con frate Leone) Francesco si servì per ridare pace, con alcune parole d’amore, all’inquieto frate Rizzerio (o Riccerio).
E di lui pure come corriere di fiducia, per consultare frate Silvestro e sorella Chiara, sulla soluzione da dare alla sua crisi vocazionale: se dedicare la sua vita all’apostolato o alla contemplazione. Il voto dei due consultati, trasmesso da Masseo, è stato l’apostolato (cf. I Fioretti, cap. XVI).
E quando cercava rifugio in qualche eremo per lunghe parentesi di preghiera, era ancora frate Masseo che Francesco prendeva con sé.
La gente accorreva al santo anche là, come mosche attirate dal miele. Ma frate Masseo, con le sue parole gentili e il suo simpatico modo di fare, sapeva abilmente ottenere che lasciassero il poverello immerso nella pace della sua solitudine dialogante con Dio, e che gli importuni se ne tornassero alle loro case, contenti dell’esempio che avevano ricevuto.
Ne I Fioretti è tramandato il documento di un diverbio umanissimo avvenuto tra s. Francesco e frate Masseo, avvenuto, probabilmente all’inizio della conversione di costui.
Il giovane ed aitante novizio, scelto dal santo come compagno di viaggio, si avvedeva che, nonostante le sue doti fisiche, la gente ammirava e seguiva con compiacimento il mingherlino e sciatto frate Francesco anziché lui.
Ingelositosene, lo abbordò così: «Perché a te, perché a te, perche a te?... Dico, perché a te tutto il mondo viene dirietro, e ogni persona pare che desideri di vederti e d’udirti e d’ubbidirti? Tu non se’ bello uomo del corpo, tu non se’ di grande scienza, tu non se’ nobile; donde dunque a te, che tutto il mondo ti venga dietro?».
Frate Francesco, per dargli una lezione di umiltà, rispose che il Signore aveva scelto proprio lui, perché non aveva trovato alcuna persona più peccatrice e più vile; per ciò lo aveva eletto «per confondere la nobiltà e la grandigia e la fortezza e la bellezza e la sapienza del mondo, acciò che si conosca che ogni virtù e ogni bene è da lui, e non dalla creatura, e niuna persona si possa gloriare nel cospetto suo; ma chi si gloria, si glorii nel Signore, a cui è ogni onore e gloria in eterno» ( I Fioretti, cap. X).
Stupenda, inoltre, la pagina de I Fioretti, nella quale, per ordine di Francesco, si vede frate Masseo girare su se stesso, cadere poi in terra «per la vertigine del capo», ed indicare, conseguentemente, la via da percorrere per la missione! (cf. I Fioretti, cap. XI).
La pedagogia del Padre, per indurre il figlio, forte di corpo ma debole di spirito, a quella umiltà indispensabile ad un autentico religioso, tenta tutte le strade, a volte con dolcezza e a volte con energia.
L’episodio più duro, benché condito di tanta finezza di carità, è quello narratoci ancora ne I Fioretti, che narra come s. Francesco, volendo porre alla prova l’amato compagno Masseo, lo pone ai più umili servizi, quali «l’ufficio della porta e della limosina e della cucina». Masseo non batté ciglio, «si trasse il cappuccio e inchinò il capo e umilmente ricevette e proseguì questa obbedienza» (cf. I Fioretti, cap. XII).
Se il «padre e maestro» si preoccupava tanto di plasmare questo giovanissimo novizio, dobbiamo affermare anche che questi, da parte sua, faceva pero ogni sforzo per corrispondere alle preoccupazioni paterne (cf. I Fioretti, cap. XXXII).
Quando Francesco salì alla Verna, per la più alta ascensione della sua vita mistica, prese con sé tre di quelli che gli erano più intimi: i frati Angelo, Leone e Masseo.
E disse a quest’ultimo, mentre salivano il monte: «Tu, frate Masseo, sarai nostro guardiano e nostro superiore in questo viaggio, finché camminiamo e siamo insieme...» (cf. Della prima considerazione delle sacre sante Istimate).
Dopo che il Poverello rimase prodigiosamente trasfigurato in Cristo Crocifisso, «si dispuose, per divina rivelazione, di tornare a S. Maria degli Agnoli. Ond’egli chiama a sé frate Masseo e frate Agnolo, e dopo molte parole e santi ammaestramenti, sì raccomandò loro con ogni efficacia che e’ poté quello monte santo, dicendo come a lui convenìa insieme con frate Lione tornare a S. Maria degli Agnoli. E detto questo, accomiatandosi da loro e benedicendoli nel nome di Gesù crocifisso, condescendendo a’ loro prieghi, sì porse loro le sue santissime mani, adornate di quelle gloriose e sacre sante Istimate, a vedere e a toccare e a baciare. E così lasciandoli consolati, sì si partì da loro e iscese del santo monte» (cf. Della terza considerazione delle sacre sante Istimate).
Condividere con lui quella vetta dello spirito, vedere e toccare e baciare le sue stimmate benedette, vedere affidata alle proprie cure la custodia di quella reliquia di monte, Calvario e Tabor di Francesco... fu davvero un premio ineffabile per Masseo, tale da colmare di felicità la sua intera vita!
Dal godere di questa lunga ed eccezionale fiducia vennero al nostro frate Masseo tutta una serie di premi. Ogni giornata passata in compagnia di Francesco risultò un vero regalo, e quante ce ne furono! (cf. I Fioretti, capp. IV, XI).
Francesco morì, e frate Masseo, che aveva così bene imparato da lui l’amore della povertà e della preghiera, non finiva di apprendere l’umiltà. Così lui credeva, e ne soffriva, come di una vecchia ferita non rimarginata (cf. I Fioretti, cap. XXXII).
Giunse a un’età molto avanzata, ma gli anni non facevano che aumentargli quel complesso di non riuscire ad essere ciò che voleva.
Frate Masseo morì ultraottuagenario, nel 1280 (dopo 70 anni, circa, vissuti nell’Ordine!).
Fu l’ultimo dei compagni del santo a scomparir dalla scena, lasciando peraltro, dietro di sé il nipote frate Marino, che ne perpetuerà l’esempio e il messaggio.
Il suo corpo è sepolto nella grande basilica di Assisi, accanto a s. Francesco.
Non avrebbe potuto scegliere miglior compagnia per il suo riposo!


Fonte:
D. Elcid Celigueta, I primi compagni di San Francesco, E.M.P. 1995, pp. 119-130 - www.fratellofrancesco.org

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Aggiunto/modificato il 2021-09-08

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