Narra l’evangelista Giovanni: «Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea» (Gv 2,1-11). Sì, tre giorni dopo l’incontro a Betania di Gesù con Natanaele, il quale era appunto di Cana (cf. Gv 21,2). Allo sposalizio di quella coppia che conosceva sicuramente Gesù, c’era già sua madre, Maria, andata alla festa, anche a servire gli sposi novelli.
La Cana oggi comunemente visitata da pellegrini e turisti, è Kefr Kenna, a 10 chilometri a nord di Nazareth: siamo dunque nei luoghi dove Gesù era vissuto fino ad allora, come “figlio del carpentiere”, allo sguardo dei più. Quindi, giunto in Galilea, è invitato anche Lui con i suoi primi discepoli: Pietro, Andrea, Giovanni, Filippo, Natanaele. Le nozze di Cana erano i “nissu’ in” nel cerimoniale giudaico, in cui la sposa, dopo l’anno ufficiale di fidanzamento, veniva accolta nella casa dello sposo con la benedizione nuziale, il convito e la festa che durava più giorni.
Si è soliti dire che a Cana, Gesù ha cambiato l’acqua in vino che era venuto a mancare, e Maria Santissima era stata tra i primi, se non la prima, ad accorgersene. Il miracolo era stato “strappato”, anticipato da Maria, la Madre premurosa e sollecita, al suo Figlio Gesù. Si dice, anche sorridendo, che non era un miracolo né necessario né indispensabile, almeno a prima vista, così che Gesù si sarebbe reso complice del “farsi alticcio” da parte di qualche commensale. Ma ha la salvato la festa: senza vino che festa è? Manca qualcosa di davvero importante!
Altri commentatori, come si usa dire oggi, sottolineano che Gesù era un tipo assai conviviale, fino quasi a meritarsi l’accusa di farisei e scribi che lo dicevano “mangione e beone”, “amico dei pubblicani e delle donne di malaffare”, contrapponendolo all’austero suo precursore, Giovanni il Battista. Altri ancora dicono che a Cana avvenne il preludio (con la trasmutazione dell’acqua in vino) del Cenacolo, dove Gesù transustanziò il pane e il vino nel suo Corpo e Sangue santissimi offerti in sacrificio di espiazione al Padre.
Sono tutte “letture” vere, o che almeno contengono molto di vero. Ma io ho in mente la luminosa catechesi che il mio indimenticabile parroco don Renato Cellino (1910-1982) teneva quando questo Vangelo veniva letto nella II domenica dopo l’Epifania (oggi II domenica del Tempo Ordinario) o alla Messa per un matrimonio.
Gesù – diceva don Renato – era andato al fiume Giordano, dove il Battista battezzava con un battesimo di penitenza, per manifestare che Lui è venuto per addossarsi i peccati del mondo, degli uomini che stavano in fila con Lui, e iniziare con il riconoscimento da parte del Padre della sua missione di Redentore dell’umanità, ma anche per inaugurare il suo battesimo nell’acqua e nello Spirito Santo, la vera rinascita alla vita nuova di Dio, la grazia santificante. Insomma, per inaugurare il vero Battesimo, che ci fa figli di Dio e fratelli suoi: “La porta della Fede che tu credi”, come direbbe Dante.
Quindi Gesù già inizia la sua Chiesa con la prima chiamata di quelli che ne saranno le colonne, Pietro, Andrea, Giovanni... Non c’è forse in tutto questo – si domandava don Renato – l’ombra, l’immagine dell’Ordine sacro? E sì, che c’è! O si può intravedere!
Ed eccolo a Cana, dove c’è un matrimonio di suoi amici, che lo hanno invitato a venire da loro e a stare con loro, all’inizio della loro umana avventura di sposi. Ora contemplate la scena, l’icona, l’immagine suggestiva e avvincente. C’è lo sposo e la sua sposa. Ci sono i loro parenti e i loro amici. C’è la Madre di Gesù. E c’è Gesù, Lui in persona, Lui con la sua dolce umanità, la sua vera divinità, la sua santità, la sua benedizione, Lui che è la benedizione di tutte le genti.
Ecco, Gesù è andato alla festa degli sposi di Cana, per rendere santo l’inizio della loro vita coniugale e familiare, per fare del matrimonio voluto da Dio, fin dall’inizio dell’umanità, tra il primo uomo e la prima donna, una realtà santa, un sacramento che comunica la grazia divina agli sposi e dà la luce e la forza per camminare insieme nella vita fino al Paradiso.
Concludeva don Cellino: «Amici dilettissimi, per sposarsi, occorre essere in tre: lo sposo, la sposa e Gesù. Per questo, avete deciso di sposarvi non davanti al sindaco, tanto meno di andare a vivere insieme, “finché la barca va”, ma di sposarvi in questa nostra chiesa, davanti a Gesù, con Gesù che volete nella vostra casa, nel vostro amore, nella vostra vita».
Questa bella catechesi dell’antico “don” è stata uno dei tanti semi di Vangelo che ho ricevuto da quel parroco che credeva in Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo, e a mia volta l’ho approfondita per conto mio e l’ho trasmessa ad altri ragazzi/e a scuola, in parrocchia, negli incontri personali, con qualche frutto di bene e che mi fa sorridere anche alla sera della vita.
L’ho detto a qualcuno, nei miei incontri, che Gesù a Cana ha reso santo, “ha sacramentalizzato” il matrimonio voluto da Dio fin dall’inizio. Rimango fermo nella mia convinzione, appoggiata dai Padri della Chiesa e da illustri commentatori del Vangelo, come il biblista padre Alberto Vaccari, SJ, il quale nelle sue note al Vangelo di Giovanni scrive: «Invitato alle nozze di Cana, Gesù volle così consacrare con la sua presenza uno degli avvenimenti più importanti della vita dell’uomo, il fondarsi di una famiglia, di un nuovo focolare domestico».
Altri esegeti autorevoli, riguardo alla pagina delle nozze di Cana affermano: «Per dimostrare la bontà di tutti gli stati di vita […] Gesù si degnò di nascere dal seno purissimo della Vergine Maria; appena nato, gradì le lodi che gli venivano dalle labbra profetiche della vedova Anna, così come da giovane invitato dagli sposi di Cana, onorò le nozze con la sua presenza divina». Questa presenza di Gesù alle nozze di Cana è segno che Egli benedice l’amore tra l’uomo e la donna, sigillato con il matrimonio. Dio infatti istituì il matrimonio all’inizio della creazione (cf. Gen 27-28) e Gesù Cristo lo ha confermato ed elevato alla dignità di Sacramento (cf. Mt 19,6).
Gesù aveva onorata e santificata la sua famiglia d’origine, con la sua obbedienza trentennale; ora che inizia il suo ministero pubblico uscendo dalla sua famiglia, vuole santificare alle nozze di Cana il suo principio morale costitutivo. Per questa ragione, Gesù, il nato da Vergine e che morirà vergine, interviene a nozze, al termine della sua vita privata e al cominciare di quella pubblica».
Ecco amici, questo è il matrimonio cristiano, fatto in tre; lo sposo, la sposa e Gesù. Gesù che non è un intralcio né un peso per la vita coniugale-familiare, ma la più grande risorsa per la medesima vita, per il medesimo amore, perché Lui è la Luce, Lui l’Amore vero, che non tramonta, e che rende durevole l’amore in eterno.
Uno dei giovani cui ho spiegato “Cana di Galilea”, dopo dieci anni di matrimonio felice, che oggi continua sempre più bello e più felice, nonostante le tribolazioni di questo mondo pazzo, ha saputo dare la definizione più bella del matrimonio cristiano, con queste parole: «Che cos’è per me il matrimonio? È Gesù vivo in me che ama la mia sposa, è Gesù vivo nella mia sposa che ama me».
Capito, amici? Se volete approfondire il discorso, leggete il libro del venerabile Fulton Sheen, Sposarsi in tre (Fede & Cultura, Verona) da cui facciamo nostro questo pensiero: «Non tu e io soltanto, abbiamo importanza l’uno per l’altro, ma anche quel Terzo – Gesù, l’Amore – che ci unì fin dal principio, sebbene una Luce abbagliante lo occultasse ai nostri occhi, quando noi due ci incontrammo, ed eravamo inconsapevoli che quel Terzo fosse più potente di ciascuno di noi. Ma adesso lo sappiamo. Egli si è rivelato a noi tra il tuo isolamento e il mio, e il nostro amore è diventato una testimonianza della nostra stessa impotenza ad amare; il legame che ci unisce si è fatto la rivelazione di Qualcuno che è al di sopra di noi. Ora lo conosciamo».
È il Cristo presente come a Cana, il Cristo che cambia l’egoismo in amore. Il Cristo che rende sempre più buono e inesauribile l’amore. Come l’acqua cambiata nel vino più buono che con Lui ci sarà sempre.
Autore: Paolo Risso
Fonte:
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