Oliena, Nuoro, 1643 – Valle del Zenta, Argentina, 27 ottobre 1683
Giovanni Antonio Solinas nacque a Oliena in Sardegna, precisamente in provincia e diocesi di Nuoro, nel 1643, verosimilmente nel mese di febbraio. Fu allievo del collegio della Compagnia di Gesù eretto nella sua città poco prima della sua nascita: lì sentì parlare dell’opera missionaria dei Gesuiti, particolarmente in Paraguay, dove già era missionario padre Bernardino Tolu, suo compaesano. Il 13 giugno 1663, a vent’anni, entrò nel noviziato dei Gesuiti a Cagliari, dove studiò filosofia. Intraprese invece gli studi di teologia a Sassari, insegnando in pari tempo grammatica in varie città sarde. Non era ancora sacerdote quando si rese disponibile per le missioni in Paraguay: fu ordinato il 27 maggio 1673 a Siviglia. Il 16 settembre del 1673 partì per Buenos Aires, dove arrivò dopo cinque mesi di viaggio, l’11 aprile 1674. Terminati gli studi di teologia a Córdoba, cominciò a operare tra i fiumi Paraná e Uruguay, preoccupandosi per la salvezza integrale, anima e corpo, degli indios. Assisteva spiritualmente anche gli spagnoli che avevano le loro case vicino alle reducciones, ossia villaggi dove gli indios catecumeni vivevano affiancati dai missionari. Il 20 aprile 1683, insieme a due confratelli, padre Diego Ruiz e il fratello coadiutore Silvestro Gonzáles, raggiunse don Pedro Ortiz de Zárate, sacerdote diocesano, che aveva richiesto il loro aiuto per evangelizzare gli indigeni della regione del Chaco. A essi si unì una settantina di persone. Arrivarono dopo un viaggio lungo e pericoloso e fondarono la reducción di San Raffaele. Ai primi di ottobre del 1683, padre Giovanni Antonio e don Pedro si avventurarono nella foresta della Valle del Zenta per andare incontro a padre Diego, in arrivo con le provviste, ma vennero avvisati che un gruppo di indios, armato di lance, si stava dirigendo verso di loro. Capirono subito di doversi preparare a morire, ma tentarono anche di offrire segni di affetto verso i loro aggressori, sperando così di aggiungerli tra i catecumeni. L’aggressione si verificò il mattino del 27 ottobre 1683, poco dopo che i due sacerdoti ebbero celebrato una Messa ciascuno. L’indomani, padre Diego, arrivato da Salta con le provviste, trovò i loro corpi smembrati. La causa di padre Giovanni Antonio e don Pedro comprendeva in origine anche i diciotto laici uccisi con loro, ma nel 2002 essi sono stati espunti per mancanza di documentazione a riguardo. I due sacerdoti sono quindi stati beatificati il 2 luglio 2022 nel Parco della Famiglia a Nueva Orán, sotto il pontificato di papa Francesco. La loro memoria liturgica ricorre il 27 ottobre, giorno della loro nascita al Cielo. I resti mortali di padre Giovanni Antonio sono venerati nella chiesa dei Gesuiti a Salta.
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I primi anni
Giovanni Antonio Solinas nacque a Oliena, in provincia e diocesi di Nuoro, nel 1643. Fu battezzato nella chiesa di Santa Maria il 15 febbraio dello stesso anno, come consta dai registri parrocchiali; se ne deduce che fosse nato nello stesso mese.
I suoi genitori gli trasmisero la fede cristiana e vollero iscriverlo al collegio che la Compagnia di Gesù aveva fondato proprio a Oliena poco dopo la sua nascita. In quel luogo, sentì per la prima volta parlare dei missionari che partivano per terre lontane, come san Francesco Saverio in Asia, o come padre Bernardino Tolu, anche lui di Oliena, missionario ad Asunción, capitale del Paraguay.
Nella Compagnia di Gesù
Sulla spinta di quei racconti, a vent’anni, entrò nel noviziato dei Gesuiti a Cagliari, dove studiò filosofia. Intraprese invece gli studi di teologia a Sassari, insegnando in pari tempo grammatica in varie città sarde.
Secondo la testimonianza di un suo contemporaneo, che lo conobbe, Giovanni Antonio «si dedicò tanto a Dio, come se non fosse di questo mondo», nel corso dei suoi anni giovanili.
Sacerdote
Non era ancora sacerdote quando giunse in Europa padre Cristóbal Altamirano, il quale di lì a poco sarebbe tornato nella provincia del Paraguay con trentacinque religiosi, per continuare l’evangelizzazione di quei luoghi: subito si rese disponibile.
Lasciata quindi Cagliari con altri tre Gesuiti, si recò a Siviglia, dove venne ordinato sacerdote il 27 maggio 1673. Il 16 settembre del 1673, circa quattro mesi dopo, partì con i compagni per Buenos Aires: arrivarono l’11 aprile 1674, dopo cinque mesi di navigazione. Da lì partì per Córdoba, dove concluse gli studi di teologia, interrotti per poter partire il prima possibile per le missioni.
Le sue doti di evangelizzatore
Dai contemporanei, la sua missione tra i fiumi Paranà e Uruguay venne descritta in questo modo: «Era un aiuto per i poveri, ai quali provvedeva con alimenti e vestiti: medico per gli ammalati, che curava con gran delicatezza; e universale rimedio di tutti i mali del corpo. Per questa ragione gli indios lo veneravano con affetto di figli».
Si prendeva cura dei corpi, ma anche delle anime. Per far arrivare il Vangelo nella maniera più comprensibile agli indios, imparò la lingua guaraní, padroneggiandola con grande familiarità. Allo stesso tempo, assisteva spiritualmente gli spagnoli che abitavano vicino alle reducciones. Queste costituivano uno dei mezzi con cui si dispiegava l’azione missionaria dei Gesuiti: venivano creati degli insediamenti, dove i catecumeni vivevano aiutati dai missionari.
Nel 1680 fu inviato con tre gesuiti come cappellano militare per assistere i soldati nella difesa di Colonia del Sacramento. Fra il 1681 e il 1682 prestò la sua opera in altre missioni della Compagnia di Gesù.
In missione in aiuto a don Pedro Ortiz de Zárate
Il 20 aprile 1683, insieme a due confratelli, padre Diego Ruiz e il fratello coadiutore Silvestro Gonzáles, raggiunse a Humahuaca don Pedro Ortiz de Zárate, sacerdote diocesano, che aveva chiesto il loro aiuto per evangelizzare gli abitanti della regione del Chaco.
Insieme a una settantina di persone, partirono il 4 maggio 1683, e, dopo un viaggio lungo e pericoloso, arrivarono nella Valle del Zenta, dove gli indios li accolsero pacificamente: lì fondarono la reducción di San Raffaele, popolandola di un centinaio di catecumeni.
Una situazione rischiosa
Nel luglio 1683 padre Diego partì per procurare viveri agli altri missionari, i quali, tre mesi dopo, vennero informati che il suo ritorno era prossimo. Padre Giovanni Antonio e don Pedro decisero allora di andargli incontro con altre ventitré persone, nella località di Santa Maria, nei pressi dell’omonima cappella, costruita dal secondo dei due.
Tuttavia, nel corso dei viaggi che avevano compiuto nel frattempo, furono raggiunti da oltre seicento indios delle tribù Tobas e Mocovies: questi dicevano di venire in pace e di essere disposti a vivere in armonia con loro.
I missionari li accolsero e cercarono di farseli amici, lasciando le armi da parte e regalando loro viveri, vesti e altri doni, ma avevano capito che le loro intenzioni non erano affatto pacifiche. Don Pedro fu udito esclamare: «Non devo arrendermi, per procurarmi con tutte le forze la vita eterna delle loro anime, anche se perdo quella del corpo». Per questa ragione, continuando a distribuire i doni, non perse occasione per parlare loro di Dio.
Il martirio
Il 27 ottobre i due missionari celebrarono la Messa: prima don Pedro, poi padre Giovanni Antonio. Non appena l’ultima celebrazione fu terminata, gli indigeni, che avevano circondato la cappella, lanciarono un grido di guerra: assalirono, armati di lance e di clave, i sacerdoti e le diciotto persone presenti con loro.
L’indomani, padre Diego tornò con i viveri, trovandosi però di fronte uno scenario impressionante: i resti del confratello e dell’altro missionario, denudati, con la testa separata dal corpo, lasciati agli uccelli rapaci. Con buona probabilità, gli aggressori avevano anche consumato le loro carni e bevuto dai loro teschi.
Erano pratiche rituali favorite dai capi religiosi di quelle tribù, i quali erano decisamente contrari alla conversione dei loro compagni; soprattutto, avevano paura di perdere la loro posizione di prestigio all’interno di quelle comunità. I missionari, invece, cercavano di portare pace, non solo tra indigeni e spagnoli, ma anche all’interno delle tribù, tanto spesso in lotta tra loro. Le spoglie di padre Giovanni Antonio vennero portate nella chiesa dei Gesuiti a Salta.
La fama di martirio e l’avvio della causa
In una lettera al superiore provinciale, padre Diego raccontò nei dettagli la spedizione missionaria nel Chaco e l’uccisione dei missionari e dei diciotto laici, che ai suoi occhi appariva come un autentico martirio. Nelle più antiche raffigurazioni che li riguardano, hanno con sé i tipici attributi iconografici dei martiri autentici. Tuttavia, i tentativi d’introdurre la loro causa di beatificazione si risolsero in un nulla di fatto.
I frutti della loro uccisione non emersero immediatamente, specie nella regione del Chaco. Nel secolo successivo, però, si formarono villaggi, città e provincie nelle quali popoli e culture diverse, illuminati dal Vangelo e sostenuti dalla pietà popolare cattolica, riuscirono a vivere in pace.
Solo nel ventesimo secolo cominciarono le fasi preliminari. Il 10 ottobre 1986 monsignor Giovanni Melis, vescovo di Nuoro, la diocesi di nascita di padre Giovanni Antonio, chiese ai vescovi di Oran e di Salta di aprire la causa. Il 20 gennaio 1988 monsignor Diego Calvisi fu nominato postulatore. Il giorno dopo, il 21 gennaio 1988, monsignor Gerardo Sueldo, vescovo di Orán, firmò il Decreto di inizio della causa.
La causa di beatificazione e canonizzazione fino alla fase romana
Nel febbraio 1997 monsignor Mario Antonio Cargnello, vescovo di Orán, costituì il Tribunale Ecclesiastico Diocesano; il 18 febbraio 1998 chiese il nulla osta alla Congregazione delle Cause dei Santi, la quale lo concesse l’8 marzo 2002. Tuttavia, nello stesso anno venne deciso di espungere dalla causa i diciotto laici uccisi coi due missionari, a causa dell’assenza di documentazione a loro riguardo; non sono stati tramandati nemmeno i loro nomi propri.
L’inchiesta diocesana venne quindi aperta nella diocesi di Orán il 4 maggio 2007 e chiusa il 14 novembre 2016. Intanto, il 31 dicembre 2009, suor Isabel Fernàndez venne nominata postulatrice della causa. Gli atti dell’inchiesta diocesana vennero consegnati, il 4 febbraio 2017, alla Congregazione delle Cause dei Santi, che l’8 giugno 2017 ne riconobbe con proprio decreto la validità giuridica.
La fase romana
La “Positio super martyrio”, consegnata nel 2019, venne sottoposta anzitutto ai Consultori Storici della Congregazione delle Cause dei Santi, il 24 settembre 2019.
La discussione sull’effettivo martirio dei due missionari continuò con il giudizio favorevole emesso, il 18 febbraio 2021, dai Consultori Teologi. Nella Sessione Ordinaria del 28 settembre 2021, i cardinali e i vescovi membri della stessa Congregazione si pronunciarono a loro volta a favore.
Il decreto sul martirio e la beatificazione
Il 13 ottobre 2021, ricevendo in udienza il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto sul martirio di don Pedro e padre Giovanni Antonio.
La loro beatificazione si svolse il 2 luglio 2022 presso il Parco della Famiglia a San Ramón de la Nueva Orán, presieduta dal cardinal Semeraro come inviato del Santo Padre. La loro memoria liturgica ricorre il 27 ottobre, giorno della loro nascita al Cielo.
Autore: Emilia Flocchini
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