Nasce a Ilbono, Nuoro, il 28 maggio 1914) e nel 1941 sta per fare la scelta più importante della sua vita, quella della consacrazione totale a Dio.
Fino ad allora, Amalia era stata una ragazza normale, come altre ve n’erano a Ilbono, un piccolo paese della costa orientale della Sardegna, diocesi di Lanusei-Ogliastra: lavora nell’azienda agricola di famiglia, ne tiene la contabilità e ne governa la conduzione dopo la morte del padre (1940), frequenta la Chiesa come aderente al TOF (1933) e all’AdP al cui servizio si pone fin da giovanissima, divenendo un riconosciuto punto di riferimento nella vita della parrocchia. Colpita al cuore dal messaggio e dall’esempio che Agostina Demuro - fondatrice dell’ACI in diocesi - con le sue amiche andavano diffondendo in Diocesi, nel 1938 (a 24 anni) fonda a Ilbono il primo nucleo di Azione Cattolica, divenendo presidente parrocchiale della Gioventù Femminile. Nonostante la giovane età, dirige gli incontri settimanali e si fa carico insieme alle sue giovani amiche di tutta l’attività parrocchiale: Missioni, Università Cattolica, Seminario, opere di carità, preparazione dei bambini alla Prima Comunione, pulizia della chiesa...
Nel 1933 conosce un giovane sottufficiale dei carabinieri di origini padovane in servizio alla Compagnia di Lanusei con il quale inizia un complesso percorso affettivo che si concluderà con un formale fidanzamento nel tardo autunno del 1938. «Nella gioia comune - scrive ad un’amica - abbiamo entrambi chiesto al Signore che benedicesse il nostro affetto, purissimo e sincero [...] Abbiamo deciso di sposarci l’anno venturo».
Quel giorno, per la verità, non arriverà mai. Trasferito il fidanzato per ragioni di servizio in Africa Orientale, tutto si complica anche per le difficoltà di comunicazione dovute alla guerra. Ma la verità è che nel cuore di Amalia, a partire dal 1941, si sta facendo strada un nuovo amore che finirà per consumarla, quello per Gesù che venera ardentemente nell’Eucarestia. Così, matura la scelta di interrompere il fidanzamento con il giovane carabiniere. «Il fidanzato - scrive Agostina Demuro nel 1945 - l’amava e l’ama tuttora teneramente. La famiglia del fidanzato l’apprezzava per quello che valeva e sino all’ultimo ha sperato di averla tra i membri della propria famiglia. Ma appena fidanzata ha intravvisto la luce dell’ideale verginale e ha sentito che il suo cuore non poteva darsi a un uomo. Dopo un lungo lavorio interno della Grazia ha trovato la forza di visitare i suoceri (recandosi in provincia di Padova, ndr) e di dire la sua decisione. Ha fatto le cose bene, senza lasciare offesi né fidanzato né suoceri». Diventerà, quindi, la piccola sposa di nozze eterne: «O Gesù, Tu vuoi che faccia la piccola sposa Tua, la sposa Tua piccolina che ti vuole bene tanto, la sposa sempre vestita a festa, la sposa della gioia e del canto, la sposa dell’amore e delle eterne nozze di dolcezza e di gaudio» (1941). L’Eucarestia diventa in centro della sua esistenza e da essa attinge forza per la sua fragile vita; forza che, giorno dopo giorno nella quotidianità monotona del paese, la aiuta a non smettere mai di credere a quell’Amore: «Voglio dirti o mio Gesù che Ti amo, che Tu unicamente sei il sostegno e il Pane che nutre ed alimenta l’anima sbattuta da cento tempeste, che in te il mio cuore trova sospiri profondi e le onde del dolore che lo agitano e lo sconvolgono Tu le plachi con quella voce armoniosa che può sentire soltanto chi ti ama» (1941).
Ed è proprio quest’amore che le dona vigore e le consente di guardare al mondo con occhi di compassione attiva soprattutto nei confronti della povertà che la circonda. In paese ancora ne ricordano l’azione di carità in cui coinvolge anche le sue ragazze della GF. «Lo ricordi o Gesù quel povero contadino ridotto ad uno scheletro dalle lunghe sofferenze? Io lo rivedo tuttora e rivedo la sua stanza poverissima in cui bisognava guardare dove mettere il piede per non cadere giù... Ricordi anche quell’altro che spogliato di tutto, quando lo voltavamo lasciava la pelle di un fianco attaccata al giaciglio... E quell’altro, cieco nato, che non poté ricevere i Sacramenti... » (1942). Ogni giorno, al pomeriggio (perché al mattino, dopo la messa, deve occuparsi dei campi) terminata la funzione pomeridiana, prolunga la sua preghiera di adorazione facendo visita a qualche povero del paese: «prolungando - scrive - come al solito la visita a Gesù nella persona di qualche povero». Quel come al solito racconta di un’attenzione non episodica, di gesti quotidiani e concreti di carità intesi come scelta di vita, modi di essere e di agire. Con una straordinaria, ulteriore specifica. Intende quelle visite come il prolungamento delle visite a Gesù nel Sacramento dell’Eucarestia, cioè come un prolun¬gamento dell’adorazione che ha appena compiuto dinanzi al tabernacolo e all’ostensorio.
Dopo qualche tempo (10 aprile 1943), Amalia pronuncia nell’Istituto Secolare Cuore Immacolato di Maria di Bari Sardo i voti di castità, povertà e obbedienza e la promessa di apostolato, e da quel momento la sua adesione a Gesù crocifisso si fa ancora più piena e totale. «Nel tabernacolo ti guardo e ti adoro ogni mattina - scrive nel 1943 -, nella croce Ti bacio quando voglio. Ti bacio nel cuore, in quel cuore che tanto mi ama. Oh!, come sono sicura che quel cuore mi ama!». Quindi, l’offerta della propria vita: «Che io veda la mia strada, o mio Gesù, e ti porti anime, tante anime [...], tutte quelle che sai Tu. Che io mi spenga per esse: per i tuoi sacerdoti, per il mondo intero; che io mi spenga nell’amore, nel sacrificio, nella donazione intera di tutta me stessa. O Gesù, prendimi, fa di me quello che Tu vuoi, come meglio Ti piace, purché Ti ami, purché faccia la Tua volontà, glorificando il Padre e salvando anime» (1944).
Viene presa in parola. La malattia ha un nome per l’epoca terribile: tubercolosi ossea al ginocchio sinistro. Dall’8 maggio 1944 è costretta a letto. A luglio i medici dell’ospedale di Cagliari immobilizzano l’arto. È solo il primo di una serie di interventi chirurgici: ben tre tra l’ottobre 1944 e il maggio 1945. Amalia è allo stremo. A ottobre ancora un viaggio a Cagliari («tutta la notte distesa nel cassone di un camion», annota nel Diario) per un intervento che viene continuamente rimandato. Nei primi giorni di dicembre i medici decidono di eseguire la resezione dell’arto. Entra in sala il 13 dicembre. Non sopravvive all’intervento; sopravvenuta una setticemia, muore nella tarda nottata del 15 dicembre 1945, all’età di trentuno anni.
«Il Signore dispose - scrive mons. Lorenzo Basoli, all’epoca vescovo di Ogliastra - che poche ore prima della sua santa morte, io trovandomi a Cagliari potessi confortarla con una breve visita e con la paterna benedizione. Soffriva indicibilmente. Alle mie esortazioni sorrise, mi mostrò lo sposo crocifisso che teneva sul cuore, mi assicurò di esser lieta nel fare la volontà di Dio e di offrire i dolori e la vita per la conversione dei peccatori e per la santificazione dei sacerdoti. Io la lasciai con lo strazio nel cuore, ma allo stesso tempo provai una consolazione indicibile nell’aver constatato l’altezza dell’amore celeste che aveva trasformato quell’anima e l’aveva portata con invidiabile preparazione alle nozze eterne con l’Agnello» (1945).
Di Amalia Usai si sono conservati i Diari Spirituali (integralmente pubblicati), da cui traspare la sua autentica vita interiore pervasa dalla Grazia e da cui emerge il sincero desiderio di conseguire la perfezione.
Autore: Tonino Loddo
Fonte:
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Tonino Loddo, La piccola sposa. Vita e scritti di Amalia Usai, Edizioni L’Ogliastra.
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