D.: Qual è l'ordine per accedere agli
onori degli altari ossia come si diventa servi di
Dio, venerabili, santi e beati
?
R.: Il santo, e tutto ciò
che lo riguarda, suscita sempre un interrogativo:
come fa a esserlo? Cos'ha di speciale? Come ci
è riuscito?
I milioni di pellegrini accorsi a venerare la salma
di Giovanni Paolo Il sono la prova più
eloquente. Hanno sentito che era ed è un
santo, e Benedetto XVI, autorizzando l'inizio del
processo di beatificazione, ha ascoltato la voce
della Chiesa, la voce del popolo di Dio. Questo, in
effetti, è il primo passo del cammino verso
la santità: la vox poputi, la fama di
santità.
Per rispondere alla domanda, ci facciamo aiutare
proprio da Giovanni Paolo II. Dal 28 giugno 2005,
da quando si è iniziato il processo canonico
per la sua beatificazione e canonizzazione, egli
è chiamato servo di Dio. Questo
è il titolo che il vescovo d'origine del
candidato alla canonizzazione (e per il Papa non
può che essere Roma) gli conferisce, quando
ritiene che ci siano fondati elementi per affermare
che egli/ella ha vissuto cercando di conformarsi
radicalmente al Vangelo nelle azioni e nelle parole
e - per quanto è possibile intuire - nei
pensieri e nei sentimenti. La prova sta proprio in
quella fama di santità, cui abbiamo
accennato sopra. Non succede a tutti che si scriva:
«Santo subito».
Terminata la severa inchiesta a livello diocesano,
testimonianze e documenti raccolti nella diocesi di
origine vengono consegnati alla Congregazione delle
cause dei santi. Qui un esperto, il relatore,
esamina e valuta quel materiale e prepara un
dossier - detto Positio - in base al quale almeno
nove teologi valuteranno se effettivamente il servo
di Dio ha vissuto secondo il Vangelo in modo non
comune. Se il parere dei teologi è positivo,
il servo di Dio è sottoposto al giudizio di
un'altra Commissione, formata da vescovi e
cardinali.
Se anch'essi sono concordi nel giudizio positivo,
il servo di Dio viene presentato al Papa,
perché emetta il suo parere definitivo.
Dichiarando che quel servo di Dio ha vissuto con
intensità non comune le virtù
cristiane e che intorno a lui c'è
un'autentica fama di santità, il Papa lo
indica come modello autorevole di vita evangelica:
alla latina, è venerabilis, degno di
essere ammirato e imitato, degno esempio, per chi
voglia corrispondere alla proposta, che Dio fa a
ogni uomo: «Sii santo, come lo sono
io».
Dunque, il titolo di servo di Dio è dato
all'inizio del processo canonico dal vescovo
locale, quello di venerabile è assegnato dal
Papa al termine dei lungo itinerario. A questo
punto si verifica se il venerabile abbia "compiuto
un miracolo", come si dice comunemente.
In realtà, Dio solo compie miracoli: il
venerabile intercede, perché Dio ascolti ed
esaudisca le preghiere di coloro che gli si sono
rivolti per chiedergli di pregare anche lui il
Padre, perché conceda il miracolo.
Verificato - con inchiesta altrettanto severa - che
si tratta di autentico miracolo, il Papa iscrive il
venerabile tra i beati, e le persone a lui
devote o la gente della sua diocesi di origine
possono pregarlo come beato con fiducia e imitarlo
con frutto.
Quando il beato farà almeno un altro
miracolo, il Papa lo proclamerà
santo, cioè lo indicherà a
tutta la Chiesa come un modello di cristiano, cui
ci si può rivolgere con
devozione.
D.: Quanti sono i santi?
R.: Potremmo andar a vedere dove
sono elencati. Nelle Litanie dei santi ne contiamo
appena qualche decina. Sfogliando un calendario, ne
troviamo qualche centinaio. C'è poi
un'opera, la Bibliotheca Sanctorum dell'Editrice
Cittanuova, una voluminosa enciclopedia di
diciassette volumi che ne presenta più di
20.000. Ma soprattutto c'è un libro, il
Martyrologium Romanum, che contiene l'elenco
ufficiale dei santi e beati venerati dalla Chiesa,
e ne elenca quasi diecimila (9.900).
Ma san Giovanni nell'Apocalisse ci ha detto:
"Apparve una moltitudine immensa, che nessuno
poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e
lingua"! E allora? Possiamo pensare: sono santi
tutti quelli morti nell'amicizia del Signore. E
questo è estremamente consolante,
perché è un'opportunità che
possiamo sfruttare anche noi.
Ma ci sono altre domande importanti: Chi sono i
santi? Perché sono santi? Ora la risposta a
queste domande la troviamo nel Vangelo, ce l'ha
data Gesù: il santo - lo udiamo nel Vangelo
- è l'uomo delle beatitudini e di quelle
beatitudini che vanno contro il pensare
comune.
D.: Tutti i santi sono stati canonizzati? Da
quando esiste la canonizzazione ?
Non è la Chiesa che "fa i
santi", bensì li dichiara. Infatti, un uomo
e una donna non vengono "fatti santi" dalla
canonizzazione che è, invece, il
riconoscimento autorevole che la tal persona
è stata un santo durante la sua vita.
Nel primo millennio della Chiesa il culto
dei Martiri e poi dei Confessori era regolato dalle
diverse Chiese particolari. I Vescovi,
singolarmente o collegialmente in occasione di
sinodi, autorizzavano nuovi culti particolari, che
iniziavano con la elevatio o la translatio
corporis. Tali Atti sono stati chiamati, poi,
canonizzazioni vescovili o canonizzazioni
particolari, perché coinvolgevano
direttamente la sola chiesa locale.
Nel secolo XI cominciò ad affermarsi il
principio che solo il Romano Pontefice, in quanto
Pastore Universale della Chiesa, ha autorità
di prescrivere un culto pubblico sia nelle Chiese
particolari che nella Chiesa universale. Con una
Lettera al Re e ai Vescovi della Svezia,
Alessandro III (m. 1181) rivendicò al
Papa l'autorità di conferire il titolo di
Santo con il culto pubblico connesso. Tale norma
divenne legge universale con Gregorio IX nel
1234.
Nel secolo XIV la Santa Sede cominciò ad
autorizzare un culto limitato a determinati luoghi
e ad alcuni Servi di Dio, la cui causa di
canonizzazione non era ancora iniziata o non ancora
terminata. Tale concessione, orientata alla futura
canonizzazione, è all'origine della
beatificazione. I Servi di Dio, ai quali veniva
concesso un culto limitato, furono chiamati Beati a
partire da Sisto IV (1483), determinando
così la definitiva distinzione giuridica tra
il titolo di Santo e di Beato, che veniva usato
indifferentemente in epoca medievale.
La concessione del culto locale veniva formalizzata
e comunicata agli interessati mediante Lettera
apostolica sotto forma di Breve, che il Vescovo
locale mandava ad esecuzione auctoritate
apostolica.
Dopo l'istituzione della Congregazione dei Riti
(1588), ad opera di Sisto V, i Papi continuarono a
concedere culti limitati (Missa et Officium), in
attesa di pervenire alla canonizzazione.
La procedura venne definita da Benedetto XIV
nel suo De servorum Dei beatificatione et
beatorum canonizatione (1734-38).
Un po' alla volta le procedure si precisarono e si
affinarono, fino ad arrivare alla vigente normativa
promulgata nel 1983.
Nella costituzione apostolica "Divinus
perfectionis Magister" del 25 gennaio 1983
è stata stabilita la procedura per le
inchieste che devono essere svolte nelle cause dei
santi da parte dei vescovi; così pure
è stato affidato alla Sacra Congregazione
delle Cause dei Santi il compito di emanare
speciali Norme a tale scopo.
D.: Che cos'è il Martyrologium
Romanum?
R.: Il Martirologio non è
un elenco come gli altri, ma è un libro
liturgico. E come fa in concreto una
comunità a «celebrare» i santi di
un determinato giorno? Come in tempi passati i
monaci, durante l'«ora prima», cantavano
in coro gli elogi dei santi del giorno, così
il Martirologium Romanum diventa un'occasione per
rendere questo aspetto di nuovo visibile nei nostri
riti.
«La Chiesa - dice il liturgista padre Silvano
Maggiani - ha sempre sentito il bisogno di "far
vedere" la presenza dei santi in mezzo a noi.
Storicamente lo ha fatto attraverso l'evocazione:
proclamando una serie di nomi (quindi con il mezzo
della parola) si rende viva la percezione della
communio sanctorum. È quanto avviene, ad
esempio, nella preghiera eucaristica, con un elenco
per forza di cose limitato. Da qui, in ambiente
monastico, nacque l'uso di cantare il Martirologio,
proprio con questa logica».
Ma oggi? Ha ancora senso citarli tutti?
«Può avere un senso in una prospettiva
che chiamerei estetica - risponde Maggiani -:
ricordare i santi di una determinata giornata
dà a vedere come il Vangelo sia stato
davvero vissuto nella storia. Questo mostrare
è importante. Pensiamo a cosa è stato
durante il Giubileo la commemorazione al Colosseo
dei martiri del XX secolo. Si è trattato di
un gesto liturgico che ci ha permesso di vedere un
aspetto del Novecento fino a quel momento rimasto
sommerso».
Il Martyrologium Romanum edizione 2001 presenta
6.538 "voci", anche se il numero dei santi e dei
beati è più elevato (9.900)
perché spesso, accanto al nome, c'è
un "...e tot compagni". E, mese dopo mese,
con le nuove canonizzazioni e beatificazioni in
programma, è sempre più incompleto.
Ma in ogni caso, a quasi mezzo secolo dalla
pubblicazione, nel '56, della precedente edizione,
il nuovo volume che raccoglie i nomi di tutti
coloro per i quali la Chiesa ha pubblicamente
ammesso il culto segna il culmine di un lavoro
tanto grande quanto prezioso.
Il nuovo "Martirologio romano" dell'edizione 2001
era stato il primo dall'epoca del Concilio Vaticano
II. Tanto per dare l'idea dell'impegno richiesto,
basti pensare che il lavoro di revisione è
iniziato nel 1966 con l'obiettivo di conservare e,
al tempo stesso, rinnovare la memoria in ogni
giorno della santità della Chiesa. Sarebbe
necessario ripercorrere la storia degli
«elenchi» che inizialmente, nelle Chiese
particolari, contenevano i nomi dei martiri morti
in quella Chiesa, ma anche i nomi di uomini e donne
morti in altri luoghi e il cui martirio ebbe grande
risonanza, tanto da essere ricordati in altre
Chiese.
Dai tanti martirologi si è poi arrivati a
quello "unico", nel quale trovavano posto tutti i
santi e i beati riconosciuti come tali
dall'autorità della Chiesa cattolica: il
primo risale al XVI secolo e fu opera del cardinale
Cesare Baronio, e venne approvato nel 1586 da Papa
Gregorio XIII. Da allora è stata una
successione di decine e decine di revisioni, anche
«senza cura né spirito critico, che
finirono con il moltiplicare gli errori
anziché ridurli». Rispetto all'ultimo,
che come detto è del '56, sono stati
eliminati dall'elenco i nomi di quei santi, martiri
o beati della cui esistenza non vi sono prove
storiche sufficientemente fondate. Per avere
l'elenco completo di questi nomi occorrerà
aspettare la pubblicazione dell'"Appendice", ma per
esempio si può già dire che nel nuovo
martirologio, mentre troviamo il san Giorgio che
sconfisse il drago e san Cristoforo, sono stati
cancellati i nomi di santa Filomena e di Uria,
santo vittima del santo re Davide. E non si
può escludere che ulteriori ricerche
scientifiche «richiedano altre correzioni
nelle edizioni future».
Tant'è che nel 2004 il MR è uscito in
una nuova edizione riveduta ed aggiornata.
D.: Perchè le chiese sono dedicate ai santi? Non rischiamo di essere definiti idolatri?
R.: Se ci si ferma davanti al portale di qualche chiesa anche solo dell'Ottocento, si noterà che vi campeggia una sigla: «D.O.M.», seguita da un «et» e dal nome di un santo o della Madonna, scritti in latino, al dativo per chi ha studiato quella lingua. La sigla significa: «A Dio Ottimo Massimo e a...». Al posto dei puntini si metta il nome dei santi indicati dalla facciata. Ogni chiesa, dunque, è sempre dedicata «a Dio», al Padre, e a lui viene associato un santo o la Madonna.
Perché le chiese sono "dedicate" a Dio e ai suoi santi? Nei primi secoli i cristiani non avevano chiese come le intendiamo noi: per la "frazione del pane" e per la preghiera comune e per l'esperienza di fraternità cominciarono a ritrovarsi nelle case - in latino domus - di alcuni di loro, capienti a sufficienza per ospitare l'ecclesia, la comunità che si sentiva convocata per lodare insieme il Signore. Ogni casa antica aveva il titulus, l'indicazione del proprietario: era, in un certo senso, la funzione che svolgono oggi i nomi delle vie e i numeri civici nelle città.
Ben presto alcune domus furono destinate specificamente alla vita della comunità e alla preghiera, ma rimase ovviamente l'abitudine, se non la necessità, del titolo. Queste domus non erano più proprietà di un singolo, bensì della comunità, erano domus ecclesiae, donus plebis Dei: case della Chiesa, del popolo di Dio. Fu spontaneo metterle sotto la titolarità di un santo, di una persona che già viveva presso Dio e che spesso (si pensi ai martiri) era sepolta presso quella domus o all'interno di essa: è il passaggio dalle domus alle basiliche di cui è ricca Roma.
La dedica a un santo esprimeva anche il valore, caro a san Paolo e ai primi cristiani, della Comunione. Tutti i credenti in Cristo formano un solo corpo, sia noi che siamo in cammino sulla terra sia quelli che già ci hanno preceduto. Ogni chiesa ci ricorda che è casa di Dio e casa nostra, e quel santo cui dedichiamo la chiesa ci fa pensare che non siamo soli nel cammino, che tutti siamo uniti dal vincolo dell'amore.
D.: Perchè sono così diffusi i santini e le immaginette sacre? Quando si è iniziato ad usarli?
R.: "Ecco un piccolo strumento che potrà aiutarvi! Cercate di avere un'immagine oppure un dipinto di Nostro Signore e non accontentatevi di portarlo sul cuore, senza mai guardarlo, ma usatelo per "conversare" con lui". Così scriveva nel 1566 santa Teresa d'Avila a proposito della diffusione delle immaginette sacre.
Sostenere la fede dei fedeli è stato il primo intento delle immaginette religiose, destinate proprio alla funzione divulgativa delle devozioni e con lo scopo immediato di educazione morale, catechetica, di raccoglimento e riflessione personale.
Nella seconda metà del XIV secolo nei monasteri inizia la diffusione di queste immagini con piccoli dipinti su pergamena, ma il vero sviluppo dell'immaginetta avviene nelle abbazie di Cluny, Citeaux e Chiaravalle dove, con la nuova tecnica della xilografia, si riproponevano alcuni soggetti presi dalle miniature che abbellivano Messali e Libri d'Ore. In Germania tra il XV e il XVI secolo con successo si applicano all'incisione artisti come Durer, Cranach e Altdorfer, e i conventi della Svevia e della Baviera si specializzano in immaginette devozionali, che dopo il concilio di Trento hanno un notevole impulso.
Oltre alla xilografia, si sviluppa l'incisione su rame e l'acquaforte; il centro di maggiore attività sono le Fiandre. Grandi famiglie di incisori contribuiscono a una capillare diffusione dell'immaginetta, a volte con l'aggiunta di una preghiera. Sempre di questo periodo è la nascita dei "canivet", cioè delle immaginette ottenute ritagliando e forando la carta con motivi geometrici o floreali, che fanno da cornice alla figurina incollata al centro.
In Italia la produzione di santini parte in ritardo e in tono minore rispetto al resto dell'Europa. Nei primi decenni del '700 inizia a Bassano del Grappa un'importante produzione di piccole immagini religiose, stampate su fogli grandi da ritagliare, mentre nell'Italia meridionale, alla fine del '700, degli artigiani, detti "stampa-santi", producono santini soprattutto a Napoli e a Palermo. I supporti erano pergamena, carta, seta, tela, pasta di pane, foglie essiccate. Vi venivano raffigurati la Madonna, Gesù, angeli e santi, la croce, santuari, altarini e comunicandi. Sul retro venivano scritte a mano o stampate dediche e preghiere con relativa data e luogo.
Alla fine del '700 il santino, da esclusivo oggetto di devozione, diventa augurio, premio o annuncio di festività religiose, assumendo così un ruolo sociale; infatti, è un vero e proprio documento a testimonianza di un evento strettamente privato, per ricordare a parenti e amici un battesimo, la prima comunione o la cresima, fino alla scomparsa di una persona cara. In questo caso il santino veniva chiamato luttino". Era inoltre utilizzato per le ordinazioni sacerdotali e le professioni religiose.
Nel XIX secolo l'impulso definitivo per la diffusione di massa delle immaginette è dato dall'uso della litografia, che permette la realizzazione di opere di qualità, ma la produzione artistica più bella e significativa si ha verso la metà dell'800 con i "santini in pizzo traforato" o "a teatrino". L'avvento del liberty porta, poi, ad avere santini ridondanti di ghirlande, simboli e lustrini, nastri e preghiere miniate a colori, indubbiamente eccessivi, ma molto belli da vedere.
Più tardi, nel periodo industriale, verso la seconda metà dell'ottocento, si sviluppa la tecnica della fotografia e, accanto ai ricordini di pizzo prodotti fino ai primi del '900, appaiono santini "più economici" stampati su cartoncino. Nel periodo compreso tra le due guerre la qualità della produzione peggiora notevolmente; le tirature sono più commerciali, le linee più essenziali e squadrate.
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