† 250 d.C.
Sino al concilio Vaticano II il 24 gennaio a Milano si commemoravano San Babila e i tre fanciulli. Oggi è al 23, per ricordare il giorno dopo San Francesco di Sales. La memoria «milanese» di San Babila è antichissima: la si trova già in codici nel IX secolo. Segno sia del legame tra la nostra Chiesa e le antiche chiese orientali sia della fama di San Babila, vescovo di Antiochia, sulla cui morte esistono due narrazioni. Secondo Eusebio di Cesarea, sarebbe morto di stenti in prigione al tempo dell’imperatore Decio (249-251), che scatenò una persecuzione definita dagli storici «scientifica» per la sua organizzazione capillare e severa, che spaventò molti anche perché giunse improvvisa. Secondo Giovanni Crisostomo, invece, egli sarebbe stato decapitato per essersi opposto all’imperatore, che voleva partecipare alla celebrazione eucaristica con le mani grondanti sangue innocente. Per questo, forse, la tradizione ricorda con lui il martirio di tre ragazzi: Barbado, di 12 anni d’età; Apollonio, di 9 anni, e Urbano di 7. Babila morì per difendere coloro che il Signore predilige: i deboli, i piccoli. Anche Ambrogio diceva: «Ogni giorno sei chiamato ad essere testimone di Cristo. Lo testimoni confermando con i fatti l’adesione agli insegnamenti del Signore Gesù».
Martirologio Romano: Ad Antiochia di Siria, ora in Turchia, passione di san Bábila, vescovo, che, durante la persecuzione dell’imperatore Decio, dopo aver tante volte dato gloria a Dio tra sofferenze e tormenti, ottenne di morire gloriosamente legato a ceppi di ferro, con i quali dispose che il suo corpo fosse anche sepolto. Insieme a lui si tramanda che subirono la passione anche i tre fanciulli, Urbano, Prilidano ed Epolono, che egli aveva istruito nella fede cristiana.
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Vescovo di Antiochia negli anni Quaranta del III secolo, San Babila morì martire «in prigione ad Antiochia dopo la sua confessione», durante la persecuzione dell’imperatore Decio verso l’anno 250. Ricaviamo questi dati fondamentali dalla testimonianza, ormai successiva di più di mezzo secolo, dello storico Eusebio di Cesarea (Hist. eccl. VI, 29, 4; 39, 4; Chronicon, Decius I).
Inoltre gli antichi Martirologi - il Martirologio siriaco del 412 ed il Martirologio geronimiano, anch’esso del V secolo - il 24 gennaio uniscono alla memoria di San Babila quella di tre fanciulli martiri; e pure san Giovanni Crisostomo, all’inizio dell’omelia Per i santi Gioventino e Massimino pronunciata nel loro anniversario il 29 gennaio, richiamando all’uditorio il vescovo san Babila festeggiato pochi giorni innanzi, non dimentica i tre fanciulli martirizzati con lui.
Se in aggiunta a queste indicazioni, preziose ma molto scarne, vogliamo raccogliere ulteriori informazioni, l’indagine non si rivela facile: conduce anzi più a questioni incerte che non a soluzioni sicure.
Per i tre fanciulli possiamo raccogliere soltanto i loro nomi e l’età di ciascuno, così come ci sono stati conservati dalla tradizione siriaca nel martirologio di Rabban Sliba del XIII secolo; sono Barbado (12 anni), Apollonio (9 anni) e Urbano (7 anni); i soli nomi, con una variante e con ordine differente, si trovano già registrati nell’Historia Francorum (I, 30) di Gregorio di Tours (+ 594), ove figurano come Urbano, Polidano ed Epolono.
Per San Babila la nostra fonte principale è san Giovanni Crisostomo: nativo di Antiochia e collaboratore del vescovo Melezio (+ 381) e soprattutto del suo successore Flaviano (+ 404) sino al 398 quando divenne vescovo di Costantinopoli, il Crisostomo poté raccogliere le voci che circolavano nella comunità antiochena riguardo al santo vescovo. Ci racconta così, nel lungo discorso Su san Babila contro Giuliano e i gentili scritto verosimilmente negli ultimi mesi del 378 o nei primi dell’anno seguente, un episodio rivelatore della fortezza e della franchezza di parola di san Babila. Un imperatore cristiano dei tempi antichi, ricorda il Crisostomo senza impegnarsi a ricercarne o a rivelarne il nome, aveva ricevuto come ostaggio da un re barbaro il figlio, quale segno della pace raggiunta fra i due e con la promessa che l’avrebbe trattato con affetto come un proprio figlio; invece lo uccise e, reo di un sì grave delitto, osò presentarsi all’assemblea per partecipare alla divina liturgia. Ma il vescovo di quel luogo, san Babila appunto, gli vietò l’accesso al tempio sacro e lo scacciò; venne però arrestato e quindi condannato a morte. Il martire, prima di essere condotto al supplizio, chiese di essere sepolto insieme con le catene che avevano accompagnato la sua prigionia. Nulla di nuovo aggiunge il Crisostomo in un’omelia, certamente successiva all’anno 381, Sullo ieromartire Babila, e in un fugace cenno, nel 394, in un’omelia sulla lettera agli Efesini (IX, 2), ove il gesto coraggioso di Babila è paragonato alla fortezza con cui san Giovanni Battista aveva rimproverato il re Erode.
Ma, dicevamo, il racconto del Crisostomo pone non pochi interrogativi. Anzitutto egli riconosce sì l’importanza della prigionia di san Babila, quando ricorda il particolare delle catene da seppellire con il martire, ma, mentre Eusebio sembra ritenere Babila morto in carcere a séguito della sua confessione, Giovanni Crisostomo ne descrive specificatamente la condanna a morte e fa capire che venne poi ucciso, si direbbe per decapitazione. Inoltre, e soprattutto: chi sarebbe l’imperatore innominato? Forse Filippo l’Arabo (244-249) che, secondo Eusebio (Hist. eccl., VI, 34), si era presentato una volta ad una chiesa per partecipare alla veglia pasquale e vi era stato ammesso solo dopo aver umilmente accettato la penitenza impostagli dal vescovo? Ma l’adesione al Cristianesimo da parte di Filippo è lungi dall’essere confermata e lo stesso Eusebio mostra la propria incertezza sull’intero aneddoto introducendo la narrazione con un inequivocabile «si racconta» e lasciando non identificato il vescovo che impone a Filippo la penitenza.
Il bollandista Paul Peteers ha creduto di trovare una soluzione a queste incertezze nella testimonianza del vescovo filoariano di Antiochia, Leonzio (+ 357/8), giunta a noi nel Chronicon paschale, della prima metà del VII secolo. Secondo questa fonte l’imperatore presentatosi al vescovo Babila sarebbe appunto Filippo l’Arabo che, quand’era prefetto del pretorio, aveva ucciso il figlio non di un re barbaro, ma del suo predecessore Gordiano, che glielo aveva affidato; morto Gordiano e divenuto imperatore Filippo grazie all’omicidio del figlio dello stesso Gordiano, durante un soggiorno ad Antiochia Babila avrebbe impedito a Filippo e alla moglie, che erano cristiani, di entrare in chiesa; il Chronicon non descrive la reazione dell’imperatore, ma aggiunge che Decio, succedendo poi a Filippo, uccise Babila non solo perché cristiano e vescovo, ma anche per vendicame l’affronto fatto alla maestà imperiale nella persona del suo predecessore. Nonostante il parere di padre Peeters, anche questa narrazione lascia non poche perplessità, non essendo altrimenti attestata l’uccisione del figlio di Gordiano, se mai ne ebbe uno, e rimanendo assai dubbia, come già accennato, una così esplicita adesione di Filippo al Cristianesimo. L’episodio della franchezza di parola di san Babila davanti all’imperatore, ripreso e ulteriormente elaborato nelle fonti e nelle leggende successive, non sembra quindi pienamente decifrabile. Né altro ci è stato tramandato con garanzia di storicità o di verosimiglianza sulla vita e sul martirio del santo vescovo di Antiochia.
È invece ben documentata la sorte delle sue reliquie: il testimone principale al riguardo è ancora san Giovanni Crisostomo, nei due scritti principali riguardanti san Babila. Le sue spoglie, sepolte originariamente nel cimitero di Antiochia che si trovava fuori città, extra portam Daphniticam, a metà del IV secolo vennero trasferite dal Cesare Gallo (35 1-354) proprio nel vicino sobborgo di Dafne. Si trattò di un avvenimento assai singolare, perché costituisce il primo caso di traslazione di reliquie di cui ci sia giunta sicura testimonianza. Con questa decisione Gallo intendeva stroncare il culto pagano ad Apollo, che a Dafne aveva un antico tempio, sostituendogli il culto cristiano per san Babila, e voleva così liberare quel luogo dalla corruzione che vi regnava. Infatti, quando di lì a una decina d’anni, nell’agosto del 362 l’imperatore Giuliano venne a Dafne, trovò il tempio del dio in condizioni pietose e il suo oracolo ormai silenzioso; per ridar vita al culto pagano e per «purificare» i dintorni del tempio, Giuliano impose allora di ritrasferire i resti del martire lontano da Dafne: Giovanni Crisostomo e le altre fonti cristiane assicurano che il trasporto delle reliquie al cimitero di Antiochia, donde erano state raccolte alcuni anni prima, si trasformò in una grande manifestazione di fede e in una processione trionfale in onore del Santo. Ma non fu questa l’ultima traslazione: nel 379-380 il vescovo Melezio fece costruire di fronte ad Antiochia, al di là del fiume Oronte, un martyrion in onore di san Babila: in esso le sue reliquie vennero definitivamente trasferite e accanto ad esse fu pure tumulato, nel 381, lo stesso Melezio.
Il culto di san Babila e dei tre fanciulli, diffuso precocemente in Occidente, giunse anche a Milano. La presenza di questa memoria liturgica di origine siriaca in ambito milanese - attestata già negli antichi messali ambrosiani del IX secolo e nella chiesa stessa di San Babila di cui si hanno testimonianze certe a partire dal secolo XI - deve essere collocata fra i numerosi segni, noti e ampiamente studiati, del profondo influsso orientale sulla liturgia e sulla vita della Chiesa di Milano.
La commemorazione di san Babila e dei tre fanciulli fissata al 4 settembre nel Sinassario e negli altri libri liturgici della Chiesa greca, è invece attestata al 24 gennaio, come si è visto, sia in san Giovanni Crisostomo, sia negli antichi Martirologi siriaco e geronimiano; allo stesso giorno è conservata anche nel Martirologio romano.
A Milano la data del 24 gennaio è attestata a partire dai messali del IX secolo sino ai nostri tempi. Oggi tuttavia, dopo la riforma liturgica attuata dal concilio ecumenico Vaticano II, per lasciare spazio il 24 gennaio alla commemorazione di san Francesco di Sales, la memoria di san Babila e dei tre fanciulli è stata anticipata al giorno precedente, 23 gennaio.
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