IV sec.
In base alle testimonianze più antiche, Emiterio e Cheledonio, due soldati romani, furono martirizzati per la loro fede cristiana alla fine del III secolo, probabilmente in una città della Guascogna, oggi Calahorra. Il loro sepolcro, situato nella cattedrale della città, divenne oggetto di venerazione e pellegrinaggio, e la loro figura fu arricchita di elementi leggendari, come la loro origine da León e il loro legame con il martire Marcello di Tangeri.
Martirologio Romano: A Calahorra nella Spagna settentrionale, santi Emeterio e Cheledonio, che, entrambi soldati presso León in Galizia, allo scoppio della persecuzione, condotti a Calahorra per aver confessato il nome di Cristo, vi ricevettero la corona del martirio.
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Emeterio e Cheledonio, due soldati romani che alla fine del III secolo si convertirono al cristianesimo, furono decapitati a Calahorra, in Spagna, per aver rifiutato di abiurare la loro fede. La loro storia, tramandata oralmente, fu poi arricchita da elementi leggendari, come la loro presunta origine da León, in Spagna, e il loro legame con il martire Marcello di Tangeri.
Il primo documento che parla di loro è un poema di Prudenzio, vissuto nel IV secolo, che riferisce che i due santi erano soldati che abbandonarono l'esercito per seguire il Cristo. Furono decapitati in una città della Guascogna, probabilmente Calahorra, e durante l'esecuzione della sentenza avvenne un prodigio: l'anello di uno e il fazzoletto dell'altro furono sollevati in cielo.
Il nome della città in cui furono martirizzati fu fornito da san Gregorio di Tours, vissuto nel VI secolo, che afferma che il loro sepolcro si trovava nella cattedrale di Calahorra. Da questo momento il culto dei due santi si diffuse rapidamente, e con esso si arricchirono anche le notizie sulla loro vita.
Intorno all'VIII secolo si diffuse la leggenda che i due santi fossero di origine leonese e che fossero stati compagni di Marcello di Tangeri. Questa leggenda è probabilmente dovuta al fatto che a León era venerato il martire Marcello, e che gli autori di agiografie avevano l'abitudine di raggruppare i santi venerati nello stesso luogo mediante legami familiari.
La leggenda di Emeterio e Cheledonio fu ulteriormente ampliata nel XIII secolo dal cronista Luca di Tuy, che affermava che i due santi erano fratelli nella fede. Questa notizia è probabilmente dovuta a una cattiva interpretazione del poema di Prudenzio, che chiama i due santi "fratelli".
In conclusione, la storia di Emeterio e Cheledonio è una storia di fede e di martirio che ha avuto un forte impatto sulla devozione popolare. La loro leggenda, tramandata oralmente e poi arricchita da elementi fantastici, è un esempio della forza della fede cristiana e della capacità di sopravvivere attraverso i secoli.
Autore: Franco Dieghi
La più antica fonte che parla di essi è Prudenzio che nel primo libro dei Peristephanon, attesta che al suo tempo non esistevano più gli Atti, essendo stati distrutti intenzionalmente dai nemici della fede perché non si avesse un documento del loro martirio. Forse la ragione addotta da Prudenzio è una scusa per spiegare la mancanza di notizie sui due martiri; comunque, pur riferendo tradizioni orali, il poeta ci fa sapere che i due santi erano soldati: abbandonarono l’esercito per seguire il Cristo e furono decapitati in una città della Guascogna di cui Prudenzio non dice il nome, ma che designa come nostro oppido; durante l’esecuzione della sentenza sarebbe avvenuto un prodigio per cui l’anello di uno e il fazzoletto (orarium) dell’altro sarebbero stati sollevati in cielo al cospetto di tutta la folla; il loro sepolcro era visitato da molta gente e vi si operavano dei prodigi. Da queste sintetiche notizie possiamo dedurre che Emiterio e Cheledonio siano periti alla fine del secolo III durante la persecuzione contro i cristiani dell’esercito, suscitata da Galerio.
Il nome della città taciuto da Prudenzio, ci è dato invece da san Gregorio di Tours che, trattando dei nostri martiri, sintetizza le notizie di Prudenzio e afferma che il loro sepolcro si trovava nella cattedrale di Calahorra. La notizia è confermata dal Martirologio Geronimiano che commemora i nostri santi il 3 marzo; alla stessa data si trovano nel Calendario mozarabico, nei martirologi storici e nel Romano.
La diffusione del culto portò ad un arricchimento dei dati biografici dei due martiri, naturalmente fantastici e infondati, ma che possono avere un certo valore per conoscere lo sviluppo di una leggenda agiografica. Poiché si sapeva che essi erano stati soldati, si pensò che fossero «legionari», e per una curiosa associazione di idee si disse perciò che erano di stanza a Léon. Ciò è già attestato da un’omelia recitata probabilmente nel secolo VIII perché è conosciuta dal Martirologio di Lione (composto prima dell’806), ma il cui autore confessa candidamente di non sapersi spiegare come da Léon siano potuti andare a finire a Calahorra, tanto distante. Una volta fissata la loro sede a Léon si fece un altro passo avanti nella ricostruzione leggendaria; ivi era venerato il martire Marcello di Tangeri, e a lui furono uniti i nostri due martiri, dicendoli suoi figli. A ciò indusse sia l’abitudine, molto diffusa tra gli autori di passiones, di raggruppare mediante legami familiari i santi venerati nello stesso luogo, sia forse la notizia di Prudenzio, peraltro male interpretata, che chiama i due martiri fratelli nella fede: «Hic duorum cara fratrum convalescunt pectora - fida quos per omne tempus iunxerat sodalitas». Questo nuovo ampliamento della leggenda si trova nel cronista Luca di Tuy, vissuto nel secolo XIII.
Autore: Agostino Amore
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