Papà Luigi Nicolini, appaltatore di lavori stradali e impresario edile, e mamma Loreta Lucciola erano assai orgogliosi del loro bambino, Galileo, tanto piccolo e straordinariamente dotato. Nei momenti difficili chiedevano il suo parere. Lo occupavano come contabile, segretario, consigliere nella gestione dell’azienda che aveva 50 dipendenti.
La vittoria di un bambino Coraggioso e intraprendente, autoritario e volitivo, allegro e assennato: così era Galileo Nicolini. Certi episodi sembrano incredibili, se non fossero documentatissimi dalle testimonianze giurate della sua “causa di beatificazione”. Un giorno, a casa sua c’è un pranzo. Un signore sparla della Chiesa come uno che pare saperla lunga. Galileo, 8 anni, sale su una sedia e, mentre tutti lo guardano con il fiato sospeso, gela l’ospite: “Lei è solo un gran maleducato, perché fa questi discorsi in casa nostra, pur conoscendo la nostra fede”. Gli capita una volta di sentir tessere l’elogio dell’anarchia da un comiziante. Galileo interviene: “Taci, ignorante, l’anarchia è disordine e ingiustizia”. Per i più curiosi, tiene un discorso sulla giustizia e la carità cristiana. A 11 anni, rimprovera apertamente due suoi maestri che lo avrebbero esaminato l’indomani, perché hanno parlato in modo grossolano. Durante un pranzo in campagna, offerto dal papà, un invitato – un ingegnere illustre – ironizza sul fatto che Galileo sia allievo a scuola di un religioso. Il ragazzo lo zittisce con argomenti lucidi e sicuri, dimostrandogli che i religiosi e i loro discepoli possono insegnare anche a un ingegnere. È nato il 17 giugno 1882 a Capranica (Viterbo). A quattro anni, inizia la scuola, a cinque fa da segretario al papà e scrive le sue lettere di affari sotto dettatura. In due anni, supera quattro classi (le ultime elementari e le prime due delle medie, diremmo oggi). Per gli esami di terza, è mandato al regio ginnasio di Viterbo, dove è accolto da frizzi e lazzi. Meraviglia i professori per l’eccellente preparazione. Cresce ogni giorno nella vita cristiana. Ha scoperto che nel Tabernacolo c’è Gesù e con Lui si intrattiene in lunghi colloqui e non si cura affatto dei sorrisi ironici di alcuni compagni. Chi l’ha conosciuto, dirà di lui: “Alla mattina, appena alzato, andava alla chiesa della Madonna del Piano a fare le devozioni”. Alle 6,30, si trova “in ginocchio con il suo libriccino in un raccoglimento speciale”. Affronta disagi e sacrifici per non mancare mai alla Messa, “Sacrificio del Signore Crocifisso”. A sei anni, comincia a confessarsi, a 9 ha il direttore spirituale nel dotto francescano P. Bonaventura Ahern. Legge libri di intensa vita spirituale e pone domande sorprendenti e profonde. Nel febbraio 1894, i Passionisti predicano una “missione popolare” a Capranica. Galileo si entusiasma a quei Missionari dal saio nero, con il Cuore di Gesù e i segni della sua Passione sul petto, ardenti nella parola e nella vita. Il successivo 26 agosto 1894, riceve la prima Comunione nella chiesa dei Passionisti a Vetralla. Per prepararsi, ha trascorso dieci giorni di ritiro con i religiosi, partecipando alle loro preghiere e alla loro vita di comunità. “Stare con lui – dirà il Padre Passionista che lo ha seguito – era come stare con un angelo”. Quando Galileo torna a casa, ha compreso che la sua vera famiglia sarà quella dei Passionisti. Ogni giorno medita la Passione di Gesù. Si accosta sovente alla Confessione e alla Comunione. I frutti sono evidenti persino nell’aspetto esteriore. Il Signore gli parla trovando un cuore docile e aperto. “Gesù nella mia prima Comunione – dirà Galileo – mi ha fatto conoscere che io devo farmi religioso passionista”. Essere Sacerdote e religioso passionista diventa il suo unico desiderio. Il confessore lo invita a fare una novena allo Spirito Santo per allontanare ogni dubbio. Il ragazzo obbedisce ed è sempre più sicuro della chiamata di Dio. Ne parla ai genitori. La mamma rimane sorpresa e perplessa. Il papà è contrario. I Passionisti non lo vogliono perché è soltanto un bambino e non accettano allievi inferiori ai 14 anni. I genitori pensano di far di lui un ingegnere, un futuro dirigente della loro ditta. Ma Galileo, soffre e prega, deciso a far la sua strada. Per il dolore perde l’appetito e deperisce a vista d’occhio. “Fa’ una novena alla Madonna ed ella ti aiuterà” – gli dicono i Passionisti che lo comprendono. La situazione si sblocca. Il papà un giorno gli dice: “Se proprio sei chiamato per questa via, io stesso mi adopererò per le pratiche necessarie”. Tutti piangono, quando Galileo parte per seguire il Signore su una via tanto ardua. Papà Luigi protesta con i Padri: “Mi avete tolto il mio tesoro”.
“Vado in Paradiso” Il 5 marzo 1895, arriva al Seminario di Rocca di Papa (Roma) dove altri ragazzi come lui si preparano alla vita religiosa. Gli pare di toccare il cielo con il dito. Anzi si sente già in cielo: “Non smetto – scrive ai suoi cari – di ringraziare Dio che si è degnato di rivolgere su di me il suo sguardo benigno. Noi qui siamo in un piccolo paradiso terrestre”. Sta bene di salute e rassicura i suoi: “Sono diventato più alto e sono cresciuto di dieci chili”. In seminario è il ragazzo di sempre, anzi si è fatto ancora migliore: un piccolo genio a scuola, appassionato alla preghiera – alla S. Messa prima di tutto così che non si staccherebbe più dall’altare – caritatevole e buonissimo con tutti. Sembra un uomo maturo e incute rispetto e venerazione. Prende come modello Gabriele dell’Addolorata (1838-1862), il santo giovane Passionista, morto a 24 anni alla vigilia del sacerdozio. “Voglio farmi santo come lui” – propone con sicurezza. Papà, parlando con i superiori del ragazzo, dice: “Guardate che ci riuscirà, mio figlio non scherza”. Trascorsi 13 mesi a Rocca di Papa, può entrare in noviziato a Lucca, da dove scrive ai genitori: “Da tempo desideravo essere inviato al noviziato. Eccomi finalmente appagato. Già vi sono con grandissimo mio piacere”. Il 9 luglio 1896 veste l’abito passionista, cambiando nome, ma tutti continuano a chiamarlo Galileo, perché è il più piccolo dell’Ordine e poi quel nome raro fa pensare a Gesù. Il suo “maestro” P. Nazareno Santolini, un sant’uomo anche lui, resta meravigliato: “Appena lo conobbi, vidi in lui una perla preziosa affidatami da Dio e mi stimai fortunato di averlo tra i miei allievi”. Ammira in lui una grande maturità di senno e uno spirito forte e lieto: di fanciullo ha solo l’ingenuità e la semplicità. “Per avere la pace del cuore – scrive il giovanissimo novizio – e gustare il Paradiso sulla terra, bisogna vivere in continua obbedienza, rinnegando la propria volontà per conformarsi a quella di Dio”. Appare un modello ai coetanei e agli stessi religiosi. Chi sarà domani? All’improvviso sogni e speranze sono recisi. All’alba del 27 febbraio 1897, Galileo alzandosi sente sangue venirgli alla bocca. La tisi lo ha già afferrato. Il Generale, P. Bernardo Silvestrelli (oggi “beato”), che vuole un gran bene a Galileo, informato della malattia, vorrebbe mandarlo a casa per un breve periodo, sperando nel miracolo della guarigione “all’aria natia”. Galileo, però, rifiuta per poter morire tra i confratelli. Accetta però di trasferirsi al Monte Argentario, nella prima casa aperta dal S. Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti. Tutti pregano per la sua guarigione a cominciare dai superiori che ordinano una novena solenne alla Madonna per lui. Galileo, da parte sua, prega soltanto così: “Mamma mia, io sono molto malato né altri può guarirmi se non Tu. Guariscimi se è per la maggior gloria di Dio e per il bene dell’anima mia”. I confratelli si alternano al suo letto diventato altare, per assisterlo. Il più giovane figlio della Congregazione sta morendo come i santi, offrendo a tutti esempio di rassegnazione e di perfetta letizia. Un religioso, recandosi da lui, dice: “Andiamo a scuola”. Lui prega: “Gesù, accresci i miei dolori, ma aumenta anche la tua grazia in me. Sia fatta la tua volontà... Ave Maria...”. Gli domandano: “A che cosa pensi, Galileo?”. Risponde: “Sto mentalmente componendo dei versi”. “Quali?”. “Scandisce con voce chiara: «Il patire per amore non è dolore / che se il patir si sente / amabile lo rende il puro amore»”. Patire per amore: il suo segreto, il segreto dei santi. Giunge la mamma ad abbracciarlo. Galileo le domanda se il papà e lo zio hanno fatto Pasqua (cioè se si sono confessati e comunicati) e le affida un messaggio per loro: “Non piangete, perché io vado a vedere la Mamma del cielo, vado in Paradiso”. Con un permesso speciale del superiore generale, emette la professione religiosa “in articulo mortis”, offrendo a Dio i tre voti di castità, obbedienza e povertà (e il quarto, tipico dei passionisti, di meditare e annunciare la Passione del Signore). Ormai è anche lui pienamente Passionista. Si rivolge subito al Fondatore, S. Paolo della Croce, chiamandolo con la sua solita allegria: “Babbone mio!”. Prima di ricevere Gesù Viatico per l’eternità, vuol essere lasciato solo per prepararsi intensamente. Con Gesù, ora è pronto per il grande passo: “È bello morire così... È giorno di festa, oggi vado in Paradiso, da Gesù”. Galileo protende le braccia in alto, stringe nella mano destra una medaglia della Madonna e sorride. Sono le tre del 13 maggio 1897. Vede Dio. Il volto rimane sereno e sorridente. Un profumo di gigli riempie la camera dove è spirato. Ai funerali, solennissimi come quelli di un Vescovo, tutti dicono: “È morto un piccolo grande santo”. Il 27 novembre 1981, Papa Giovanni Paolo II lo dichiara “eroico nelle virtù”, quindi “venerabile”. È vissuto solo 14 anni, 10 mesi e 26 giorni. Mons. Luigi Olivares, salesiano e Vescovo di Nepi e Sutri, diocesi di Galileo, lo definì “un altro Domenico Savio, entrambi ragazzi santi”.
Autore: Paolo Risso
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