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Calatayud, Spagna, 4 aprile 1908 – Valencia, Spagna, 3 agosto 1936
Antonio Arrué Peiró nacque il 4 aprile 1908 a Calatayud, presso Saragozza in Spagna. Nel giro di pochi anni perse entrambi i genitori e una delle due sorelle maggiori. Abbandonato dal resto dei parenti, cadde in depressione e fu ricoverato in un ospedale psichiatrico. Fuggì però due volte, desiderando diventare missionario. A ventitrè anni, nel 1931, mentre si trovava a Valencia, incontrò don Riccardo Gil Barcelón, Figlio della Divina Provvidenza, che lo accolse nella propria casa. Antonio lo assisteva in tutto: gli serviva Messa e soccorreva i poveri. Don Riccardo pensò che la sua vocazione fosse sincera, e ne informò il superiore della sua congregazione, don Luigi Orione (canonizzato nel 2004). Per cinque anni, Antonio perseverò in quella sorta di postulandato domestico, prodigandosi a soccorrere le schiere di poveri che ricorrevano con fiducia a lui e a don Riccardo. Il 1° agosto 1936 stava rincasando, quando venne informato che don Riccardo era stato arrestato dai miliziani. Rifiutando l’invito dei vicini che volevano nasconderlo e farlo fuggire, si unì al religioso che tanto l’aveva aiutato. Rimase accanto a lui anche quando venne ucciso sulla spiaggia di El Saler, presso Valencia, il 3 agosto: si precipitò a sostenerlo, ma uno dei miliziani gli ruppe il cranio con il calcio del fucile. Antonio e don Riccardo stati beatificati il 13 ottobre 2013, sotto il pontificato di papa Francesco, nella celebrazione in cui furono elevati agli altari in tutto cinquecentoventidue martiri uccisi durante la guerra civile spagnola. I resti mortali dei due martiri orionini spagnoli riposano presso il cimitero di Valencia, ma non è stato possibile riconoscerli perché, nello stesso spazio, si sono sovrapposte altre sepolture.
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Famiglia e primi anni
Antonio Arrué Peiró nacque il 4 aprile 1908 a Calatayud, presso Saragozza in Spagna. Ricevette il Battesimo cinque giorni dopo la nascita nella Collegiata di Santa Maria del suo paese. Il 4 novembre 1908, nella stessa chiesa, gli fu amministrata la Cresima e, qualche tempo dopo, anche la Prima Comunione.
I suoi genitori, Antonio Arrué Marconel e Agueda Peiró Caballer, erano di modeste condizioni economiche e buoni cristiani. Fra i loro parenti c’era stato un vescovo domenicano nelle Isole Filippine, morto nel 1896.
Antonio frequentò per qualche anno la scuola di Calatayud, retta dai Fratelli Maristi, fino alle scuole primarie. In seguito imparò dal padre, che aveva una piccola falegnameria, l’arte di intagliatore del legno.
Lutti in famiglia e depressione
Il 22 agosto 1926 divenne orfano del padre. Poco tempo prima, nel 1923, aveva perso la madre. Nello stesso anno della morte del padre, gli venne a mancare anche una sorella maggiore, Maria Cruz (era il terzo figlio, dopo due femmine).
Tutti questi lutti e l’abbandono da parte del resto dei parenti lo portarono alla solitudine e alla miseria. Gli unici parenti rimasti, per disfarsene, lo internarono in un ospedale psichiatrico a Saragozza, da cui fuggì due volte. Confidò a uno zio il suo intento: «Non sono pazzo, non voglio stare là dentro. Fuggirò ancora, andrò lontano e mi farò missionario».
L’incontro con don Riccardo Gil Barcelón
A ventitré anni, Antonio arrivò a Valencia. Un giorno del 1931, mentre si trovava fuori dalla chiesa di Nostra Signora degli Abbandonati, fu avvicinato dal sacerdote che era appena uscito. Si trattava di don Riccardo Gil Barcelón, dei Figli della Divina Provvidenza, tornato in Spagna per ordine del fondatore, don Luigi Orione (canonizzato nel 2004), che aveva conosciuto durante un pellegrinaggio a Roma.
Antonio gli raccontò la sua storia: così, don Riccardo decise di prenderlo in casa propria, cominciando a verificare la sua vocazione. Il giovane era serio nei suoi propositi: lavorava instancabilmente, lo aiutava nel servizio ai malati di tubercolosi e nella celebrazione della Messa, sia nella chiesa dove si erano incontrati, sia nell’ospedale per tubercolotici.
Don Riccardo scrisse anche a don Orione e al suo vicario don Carlo Sterpi, manifestando il proprio desiderio di condurlo a Tortona, per fargli avere una formazione più regolare. Dal canto suo, lo considerava un postulante e prese a dargli lezioni di latino.
Tuttavia, i crescenti disordini in Spagna non facilitavano gli spostamenti. Inoltre, don Riccardo era tenuto d’occhio dai miliziani per il suo vivere coraggioso e profondamente cristiano. Invece la gente del vicinato, specie le donne, gli voleva bene: in più di un’occasione l’aveva difeso.
L’arresto
Alla fine, padre Riccardo fu arrestato improvvisamente verso le 10 del mattino del 1° agosto 1936, con l’accusa di aver nascosto armi e bombe. Antonio, che al momento dell’arresto non era in casa, accorse subito e dichiarò che da cinque anni viveva con lui.
I miliziani, in risposta, caricarono entrambi sulla loro camionetta, affermando che gli avrebbero fatto fare la stessa fine del suo padrone (come lo consideravano loro). Nonostante le proteste della gente che li amava, vennero portati via, mentre i pochi averi di don Riccardo, precedentemente gettati fuori dalla finestra, venivano dati alle fiamme.
Don Riccardo e Antonio subirono un sommario interrogatorio, al termine del quale furono ritenuti colpevoli di non aver voluto aderire alla Federazione Anarchica Iberica (FAI) e, quindi, di essere nemici del popolo.
Il martirio
Furono trattenuti in prigione a Valencia fino alle prime ore del 3 agosto, quando furono trasportati nella località di El Saler, in riva al mare. Lì uno dei miliziani chiese a entrambi di gridare «Viva la FAI!» se volevano salvare la vita. Don Riccardo, alzando il Crocifisso che aveva sempre con sé, esclamò invece: «Viva Cristo Re!», come aveva già fatto durante l’interrogatorio.
Il miliziano, a quel punto, gli ordinò d’inginocchiarsi sulla sabbia, quindi gli sparò alla nuca. Il giovane postulante ebbe invece il cranio fracassato con il calcio del fucile da parte di un altro carnefice, mentre tentava di sorreggere don Riccardo.
Il cognato di don Riccardo, Jesús Montolio Marzo, medico, fu chiamato per identificarne il cadavere nel deposito dell’Ospedale Provinciale di Valencia. Attorno alla vita portava un cordone di canapa con dei nodi, come strumento di penitenza o cilicio.
Il suo corpo e quello di Antonio vennero sepolti nel cimitero generale di Valencia, nel cosiddetto Campo de los Caídos. Tuttavia, la costruzione di altre tombe nello stesso spazio (o meglio, la sovrapposizione di varie casse le une sulle altre) ha reso impossibile la riesumazione.
Le prime tappe della causa di beatificazione
La loro causa di beatificazione, volta a dimostrare il martirio in odio alla fede, iniziò a Valencia con il processo informativo, aperto il 22 febbraio 1962 e concluso dieci anni più tardi. Come altre cause di potenziali martiri uccisi durante la guerra civile spagnola, fu temporaneamente arrestata per ordine del Papa san Paolo VI, per ragioni di opportunità.
Riprese il 26 febbraio 1999, con l’inchiesta diocesana suppletiva, sempre presso la Curia ecclesiastica di Valencia. La Santa Sede concesse il nulla osta il 21 agosto 1995. Il 19 novembre 1999, invece, gli atti del processo informativo e dell’inchiesta suppletiva furono convalidati della Congregazione delle Cause dei Santi.
Dalla consegna della “Positio” al decreto sul martirio
La “Positio super martyrio” fu consegnata nel 2000. Il 28 settembre 2010 i Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi si sono pronunciati a favore dell’effettivo martirio dei due Servi di Dio. Anche i cardinali e i vescovi membri della stessa Congregazione, il 29 ottobre 2012, hanno emesso analogo parere positivo.
Il 20 dicembre 2012, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui don Riccardo Gil Barcelón e Antonio Arrué Peiró venivano dichiarati ufficialmente martiri.
La beatificazione
La loro beatificazione è stata celebrata il 13 ottobre 2013 a Tarragona. In quella celebrazione, presieduta dal cardinal Amato come delegato del Santo Padre, furono elevati agli altari in tutto cinquecentoventidue martiri uccisi durante la guerra civile spagnola.
La memoria liturgica dei due martiri orionini spagnoli è stata fissata al 6 novembre, giorno in cui le diocesi spagnole ricordano i loro Martiri del XX secolo.
Autore: Emilia Flocchini
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