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Real de Gandía, Spagna, 29 maggio 1803 - Damasco, Siria, 10 luglio 1860
Pascual Bolta Bañuls nacque il 29 maggio 1803 a Real de Gandía presso Valencia, in Spagna. Fu educato dai padri Scolopi e orientato da uno zio, padre Isidoro Bañuls, a entrare tra i Frati Minori Osservanti. A ventuno anni vestì il saio nel convento di San Francesco a Valencia, prendendo il nome di fra Carmelo. Professò i voti nel 1825 e nel 1829 fu ordinato sacerdote. Sbarcò in Terra Santa nel 1831: imparò perfettamente le lingue orientali, di cui divenne docente ai giovani frati. Nel 1851 fu nominato superiore del convento di Damasco, ma poco tempo dopo gli fu assegnato l'ufficio di parroco e di professore di lingua araba sia ai confratelli, sia agli alunni delle scuole seguite dalla missione cattolica. A causa delle ripercussioni della guerra di Crimea e delle risoluzioni prese col congresso di Parigi del 1856, i cristiani in Siria iniziarono a essere perseguitati dai musulmani drusi. Quando gli aggressori, nella notte tra il 9 e il 10 luglio, riuscirono a entrare nel convento da una porta secondaria ed ebbero decapitato il superiore padre Emanuele Ruiz López, padre Carmelo si nascose. Alcuni conoscenti gli proposero di rifugiarsi da loro, ma solo se si fosse fatto musulmano: al suo rifiuto, lo uccisero a colpi di mazza. Dopo padre Carmelo, che aveva cinquantasette anni, morirono altri sei frati e tre fratelli cristiani maroniti, collaboratori dei religiosi. Gli undici Martiri di Damasco furono beatificati da papa Pio XI il 10 ottobre 1926 e canonizzati da papa Francesco 20 ottobre 2024. I loro resti mortali sono venerati nella chiesa della Conversione di San Paolo a Bab Touma, quartiere di Damasco. Il Martirologio Romano li commemora il 10 luglio, giorno della loro nascita al Cielo, ma nel Calendario dell’Ordine dei Frati Minori la loro memoria ricorre il 13 luglio; sono festeggiati anche la domenica più vicina al 12 luglio, in maniera solenne, a Damasco. Padre Carmelo è commemorato anche nella sua diocesi di origine, Valencia, il 10 luglio.
Emblema: Palma, mazza
Martirologio Romano: A Damasco in Siria, passione dei beati martiri Emanuele Ruíz, sacerdote, e compagni, sette dell’Ordine dei Frati Minori e tre fratelli fedeli della Chiesa Maronita, che, con l’inganno consegnati ai nemici da un traditore, furono sottoposti per la fede a varie torture e conclusero il loro martirio con una morte gloriosa. [I loro nomi sono: beati Carmelo Volta, Pietro Soler, Nicola Alberca, Engelberto Kolland, Ascanio Nicanor, sacerdoti, e Francesco Pinzao e Giovanni Giacomo Fernández, religiosi, dell’Ordine dei Frati Minori; Francesco, Mootius e Raffaele Massabki, fratelli.]
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I primi anni di vita Carmelo Bolta Bañuls nacque il 29 maggio 1803 a Real de Gandía, villaggio nei pressi di Valencia in Spagna, da José Bolta e Josefa Bañuls. Al Battesimo, ricevuto nella locale parrocchia della Visitazione di Nostra Signora, ebbe il nome di Pascual. Nella stessa parrocchia ricevette anche gli altri Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana (la Cresima gli fu impartita il 13 aprile 1811), frequentò il catechismo e servì all’altare durante le funzioni. Frequentò il collegio degli Scolopi di Gandía, dove ricevette una certa cultura.
Orientato alla vocazione francescana da uno zio frate Suo zio, padre Isidoro Bañuls, l’orientò affinché entrasse nell’Ordine dei Frati Minori, cui lui stesso apparteneva. In particolare, raccontò al nipote come i frati solennizzavano il Natale e la Pasqua nei santuari di Gerusalemme, Betlemme e Nazaret. Trent’anni dopo, mentre tornava in Spagna dopo aver terminato il mandato come Procuratore generale di Terra Santa, trovò la morte per mano di pirati greco-ortodossi, sulle coste di Cipro. Insieme ad altri cinque confratelli, Pascual, a ventuno anni, vestì il saio nel Real Convento di San Francesco a Valencia, dei Frati Minori Osservanti (dal 4 ottobre 1897 uniti, insieme agli Alcantarini o Scalzi, ai Recolletti e ai Riformati, nell’Ordine dei Frati Minori), cambiando nome in fra’ Carmelo; professò i voti nel 1825. Dopo la professione religiosa, compì gli studi ecclesiastici nei conventi di Valencia, Corona e Játiva. Ordinato sacerdote nel 1829, venne mandato al convento di San Biagio a Segorbe, con l’incarico di predicatore conventuale. Rimase lì fino al maggio 1831, ottenendo abbondanti frutti tra i fedeli grazie alla predicazione.
In Terra Santa Ottenuto il permesso dai superiori, padre Carmelo s’imbarcò nel luglio 1831, con altri ventitré religiosi, per la Custodia di Terra Santa, dove giunse il 3 agosto. Dopo che ebbe visitato i principali santuari, il 18 giugno 1838 venne nominato presidente, ossia superiore, dell’ospizio di Giaffa; per motivi di salute, però, rientrò a Gerusalemme pochi mesi dopo. Colto, attivo, di carattere simpatico e dai modi affabili, imparò perfettamente le lingue orientali, tanto da predicare in arabo e greco con scioltezza e da diventare insegnante dei futuri confratelli sacerdoti. Il Governo turco gli offrì una cattedra di lingua araba nei propri centri d’insegnamento, ma padre Carmelo rifiutò: non voleva distrarsi dalla sua missione, ovvero salvare le anime.
A Damasco Dopo dieci anni a Gerusalemme, fu trasferito a Damasco, nel convento di San Paolo, situato nel quartiere di Bab Touma. Per due volte, dal 1843 al 1845 e dal 1851 al 1858, fu eletto superiore, mentre dall’agosto 1845 al settembre 1851 fu parroco dei cattolici di Ein Karem, risiedendo nel convento di San Giovanni della Montagna. Nell’ottobre 1858 ebbe la nomina di parroco dei cattolici di Damasco e di professore di arabo per i giovani sacerdoti, ma anche nelle scuole sostenute dalla missione cattolica, frequentate quotidianamente da oltre quattrocento alunni.
I cristiani in Siria perseguitati Tuttavia, a causa delle ripercussioni della guerra di Crimea e delle risoluzioni prese col congresso di Parigi del 1856, i cristiani in Siria avevano iniziato a essere perseguitati dai musulmani drusi: questi ultimi avevano interpretato la libertà di culto imposta alla Turchia, nonché l’equiparazione tra loro e i cristiani sul piano civile, come un affronto al Corano. Il superiore dei Frati Minori, padre Emanuele Ruiz López, che era stato anche compagno di viaggio di padre Carmelo, era sicuro che nessuno sarebbe penetrato tra le mura del convento di San Paolo, che erano particolarmente solide, mentre le porte di accesso alla chiesa e al chiostro erano blindate da lamine di ferro.
La persecuzione all’apice A Damasco, l’emiro Abd-el-Kader cercò di difendere i cristiani dalle azioni provocatorie compiute contro di loro e contro il segno della Croce, che l’8 luglio 1860 toccarono l’apice, in un clima di terrore sempre più crescente. A mezzogiorno del 9 luglio, una folla assaltò la residenza del Patriarcato Greco non unito, riversandosi poi nel resto del quartiere cristiano. Abd-el-Kader e i suoi uomini armati accorsero, ma ancor prima di combattere gli aggressori, misero in salvo nel palazzo dell’emirato quanti più cattolici possibile, latini e maroniti, religiosi e laici, compresi i Gesuiti, i Lazzaristi, le Figlie della Carità e gli alunni delle scuole. Gli unici che non avevano scelto di rifugiarsi dall’emiro furono, appunto, i Frati Minori del convento di San Paolo.
Il massacro del 10 luglio 1860 Appena la folla fu entrata nel quartiere cristiano, padre Emanuele radunò in chiesa i religiosi, i bambini della scuola parrocchiale e alcuni fedeli, quindi espose il Santissimo Sacramento per l’adorazione. I religiosi sacerdoti s’impartirono l’assoluzione a vicenda e si comunicarono. Gli aggressori, di fatto, non riuscirono a forzare l’ingresso, ma irruppero lo stesso, dopo la mezzanotte del 10 luglio: qualcuno li aveva fatti passare per una porta sul retro, che non era stata rinforzata.
Il martirio di padre Carmelo Il primo a morire fu proprio padre Emanuele, dichiarando di essere cristiano e di voler morire da cristiano: fu decapitato dopo che, spontaneamente, aveva posato la testa sulla mensa dell’altare. Padre Carmelo, al momento dell’invasione, riuscì a nascondersi. Fu scoperto da alcuni conoscenti, i quali gli offrirono di ospitarlo, ma a una condizione, che rifiutò con sdegno: «Giammai, perché Gesù Cristo dice: “Non temete quelli che uccidono il corpo, ma quello che può uccidere corpo ed anima e mandarli all’inferno”» A quel punto, fu ucciso a colpi di mazza; aveva cinquantasette anni. Ad assistere all’assassinio fu Naame Massabki, un ragazzo maronita, che si era nascosto in un angolo del convento.
Il martirio di altri sei religiosi e di tre fratelli maroniti Dopo di lui, vennero uccisi padre Engelberto Kolland (vicario parrocchiale, quindi aiutante di padre Carmelo), padre Nicanore Ascanio Soria, padre Pietro Nolasco Soler, padre Nicola Alberca y Torres, padre Pietro Nolasco Soler (tre giovani frati suoi alunni), fra’ Francesco Pinazo Peñalver e fra’ Giovanni Giacomo Fernández Fernández. Morirono anche i tre fratelli Francesco, Abdel Mooti e Raffaele Massabki, cristiani maroniti, collaboratori dei frati (Mooti era il padre del ragazzo che fu testimone oculare del martirio di padre Carmelo): non avevano voluto, a differenza di altri fedeli, fuggire dal convento. Appena tornò la calma, nel 1861, i corpi dei religiosi e dei tre fratelli, già nascosti in un sotterraneo del convento, vennero collocati in due casse e sepolti in una medesima tomba, aperta nel pavimento della chiesa di San Francesco a Damasco.
La causa di beatificazione degli otto francescani e dei tre fratelli Il 17 dicembre 1885 fu iniziato il processo per la beatificazione di padre Emanuele Ruiz e compagni. Nella primavera del 1926 si fissò la data della beatificazione per il 10 ottobre. A quel punto, il Patriarca della Chiesa Maronita (che è in comunione con Roma) Elias Boutros Hoyek (Venerabile dal 2019) e l’intero episcopato maronita presentarono a papa Pio XI una urgente istanza affinché i tre fratelli Massabki, dei quali erano stati rinvenuti i nomi, fossero accomunati nella gloria ai francescani, come lo furono nella vita e nel sacrificio supremo. Il 7 ottobre 1926 il Santo Padre, viste le prove testimoniali e documentarie raccolte nel processo da lui stesso autorizzato, firmò il decreto per la beatificazione dei tre fratelli, che fu celebrata il 10 ottobre seguente, insieme a quella degli otto frati.
La canonizzazione Il 18 dicembre 2022 il cardinal Béchara Boutros Raï, Patriarca dei Maroniti, annunciò che per i tre fratelli era in vista la canonizzazione senza la conferma formale di un miracolo. Tale supplica era stata presentata dal Santo Sinodo dei Vescovi Maroniti, nel 2022, a papa Francesco; alla richiesta si erano associati anche i Superiori Maggiori dell’Ordine dei Frati Minori, Ministro generale e Custode di Terra Santa, chiedendo la canonizzazione per l’intero gruppo degli undici martiri. Le motivazioni erano duplici: per i tre fratelli, offrire, mediante la canonizzazione, un messaggio di dialogo, di pace e di unità nel contesto medio-orientale; per i frati, l’imminenza dell’ottavo centenario della morte di san Francesco d’Assisi, che ricorreva nel 2026. Il 23 marzo 2023, papa Francesco autorizzò l’iter speciale per la redazione e lo studio della “Positio super Canonizatione” e, il 23 maggio 2024, approvò i voti favorevoli della Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi del Dicastero delle Cause dei Santi per la canonizzazione degli undici Martiri di Damasco. Lo stesso Pontefice li canonizzò a Roma, in piazza San Pietro, domenica 20 ottobre 2024.
La memoria e il culto Il Martirologio Romano commemora insieme gli undici martiri al 10 luglio, ma nel Calendario dell’Ordine dei Frati Minori sono ricordati il 13 luglio. A Damasco, invece, sono festeggiati sia nell’anniversario del martirio, sia, in modo solenne, la domenica successiva al 12 luglio. I loro resti mortali sono venerati nella chiesa della Conversione di San Paolo a Bab Touma, quartiere di Damasco. Nella diocesi di Valencia sono ricordati in modo speciale, il 10 luglio, padre Carmelo e fra’ Francesco, mediante la Cofradía (Confraternita) di Real di Gandía intitolata al primo dei due. Altri luoghi e istituzioni civili portano inoltre il suo nome: la piazza della chiesa parrocchiale di Real di Gandía, le scuole pubbliche primarie e la Cooperativa Agricola Valenciana; è anche conservata la sua casa natale.
Autore: Emilia Flocchini
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