>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene
San Martín de las Ollas, Spagna, 5 maggio 1804 – Damasco, Siria, 10 luglio 1860
Manuel Ruiz López nacque il 5 maggio 1804 a San Martín de las Ollas, a nord di Burgos in Spagna. Nel 1825, diciannovenne, vestì il saio tra i Frati Minori Scalzi, ovvero gli Alcantarini, nel convento di San Michele delle Vittorie a Priego, presso Cuenca. Fu ordinato sacerdote nel 1830. L’anno seguente fu inviato in Terra Santa, precisamente a Damasco, in Siria: lì, dopo aver appreso rapidamente la lingua araba, esercitò un apostolato fecondo, specie nell’istruzione dei bambini e nella cura di malati e invalidi, pur essendo lui stesso di salute malferma, motivo per il quale dovette brevemente tornare in Europa; ripartì per Damasco nel 1857. A causa delle ripercussioni della guerra di Crimea e delle risoluzioni prese col congresso di Parigi del 1856, però, i cristiani in Siria avevano iniziato a essere perseguitati dai musulmani drusi. Padre Manuel ne era consapevole e si dispose ad accettare la volontà di Dio. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1860 un gruppo di miliziani drusi raggiunse la città di Damasco: padre Manuel radunò subito nella chiesa del convento i confratelli, i bambini della scuola e alcuni fedeli laici, esponendo il Santissimo Sacramento. Quando gli aggressori riuscirono a entrare nel convento da una porta secondaria, corse da solo in chiesa per consumare le sacre specie. Accettò di morire dichiarandosi cristiano: fu decapitato dopo che, spontaneamente, aveva posato la testa sulla mensa dell’altare. Morirono in tutto otto frati e tre fratelli cristiani maroniti, collaboratori dei religiosi. Gli undici Martiri di Damasco furono beatificati da papa Pio XI il 10 ottobre 1926 e canonizzati da papa Francesco il 20 ottobre 2024. I loro resti mortali sono venerati nella chiesa della Conversione di San Paolo a Bab Touma, quartiere di Damasco. Il Martirologio Romano li commemora il 10 luglio, giorno della loro nascita al Cielo, ma nel Calendario dell’Ordine dei Frati Minori la loro memoria ricorre il 13 luglio; sono festeggiati anche la domenica più vicina al 12 luglio, in maniera solenne, a Damasco.
Emblema: Palma, pisside
Martirologio Romano: A Damasco in Siria, passione dei beati martiri Emanuele Ruíz, sacerdote, e compagni, sette dell’Ordine dei Frati Minori e tre fratelli fedeli della Chiesa Maronita, che, con l’inganno consegnati ai nemici da un traditore, furono sottoposti per la fede a varie torture e conclusero il loro martirio con una morte gloriosa.
[I loro nomi sono: beati Carmelo Volta, Pietro Soler, Nicola Alberca, Engelberto Kolland, Ascanio Nicanor, sacerdoti, e Francesco Pinzao e Giovanni Giacomo Fernández, religiosi, dell’Ordine dei Frati Minori; Francesco, Mootius e Raffaele Massabki, fratelli.]
|
Un giovane caritatevole e sorridente Manuel Ruiz López nacque il 5 maggio 1804 a San Martín de las Ollas, a nord di Burgos in Spagna, figlio di Manuel e Agustina López, i quali l’educarono alla fede. La sua formazione culturale e spirituale avvenne grazie al suo parroco, don Luis Rabago, che gl’impartì lezioni di grammatica spagnola e di latino. Stando alle informazioni raccolte durante il suo processo di beatificazione, era molto religioso e viveva la carità verso i più poveri e abbandonati: elargiva elemosine col sorriso sulle labbra, diffondendo attorno a sé gioia e pace.
Religioso in tempi difficili per la Spagna Sin dalla più tenera età, Manuel sentì l’attrazione per la vocazione religiosa. Quelli, però, erano tempi di rivoluzioni e politiche anticlericali: nel 1812 le Cortes di Cadice avevano votato una Costituzione che aveva ferito profondamente la sensibilità religiosa del popolo. Nel 1825, diciannovenne, riuscì a vestire il saio tra i Frati Minori Scalzi, ovvero gli Alcantarini, nel convento di San Michele delle Vittorie a Priego, presso Cuenca. Emise la professione religiosa, quindi fu ordinato sacerdote nel 1830.
La missione di “padre Pazienza” L’anno seguente fu inviato in Terra Santa, precisamente a Damasco, in Siria, uno dei due luoghi, insieme ad Harissa in Libano, dove i frati missionari s’impratichivano nella lingua araba: sbarcò a Giaffa il 3 agosto 1831 e, giunto a destinazione, imparò rapidamente le lingue e la cultura locali. Esercitò un apostolato fecondo, specie nell’istruzione dei bambini mediante la scuola annessa al convento e alla chiesa della Conversione di San Paolo, nel quartiere di Bab Touma. Le difficoltà non sembravano sconvolgerlo: per questo era soprannominato “padre Pazienza”. Aiutava malati e invalidi pur essendo lui stesso di salute malferma: per questa ragione dovette tornare in Europa poco dopo la nomina a parroco. Fu ospitato in Italia, precisamente nel convento di San Francesco a Lucca, dove i frati residenti si meravigliarono per la sua obbedienza e fedeltà alla Regola.
Ritorno in patria e ripartenza per la missione La permanenza a Lucca non gli fece bene, quindi tornò in Spagna, dove però, dal 1835, vigevano le leggi che comportavano la soppressione degli ordini religiosi e la chiusura dei conventi. Padre Emaniele chiese quindi aiuto all’Opera Pia per la Terra Santa di Madrid e ottenne di poter alloggiare da uno dei suoi fratelli, a San Martín de las Ollas. Quando si fu ristabilito in salute, fu nominato professore di lingua ebraica e lingua greca nel Seminario diocesano di Burgos. Poiché desiderava tornare alla vita di parrocchia, venne nominato parroco di Para, un paesino nel nord della diocesi di Burgos, ma vi rimase per poco tempo: nel 1856, infatti, decise di tornare a Damasco.
Di nuovo a Damasco Padre Emanuele s’imbarcò nuovamente il 4 settembre 1857. Insieme ai suoi compagni di viaggio, padre Manuel Gómez, Augustín Méndez, Felipe Varela e i fratelli Juan José e José Juan Caravaca, fu ricevuto il 7 ottobre dal Consolato di Spagna a Gerusalemme, dopo essere sbarcato, il 1° ottobre, a Giaffa. Il 18 gennaio 1858 venne nominato superiore di Ramle e nell’ottobre successivo trasferito a Damasco come presidente (ossia superiore) del convento, ma la situazione era cambiata profondamente nei suoi anni d’assenza.
I cristiani in Siria perseguitati Infatti, a causa delle ripercussioni della guerra di Crimea e delle risoluzioni prese col congresso di Parigi del 1856, i cristiani in Siria avevano iniziato a essere perseguitati dai musulmani drusi: questi ultimi avevano interpretato la libertà di culto imposta alla Turchia come un affronto al Corano. loro e i cristiani sul piano civile, come un affronto al Corano. Padre Emanuele seguiva con preoccupazione le crescenti minacce ai cristiani, quindi anche alla sua comunità, al tempo composta da sei religiosi sacerdoti e due fratelli laici. Espresse i suoi sentimenti nella lettera scritta, il 2 luglio 1860, al padre Procuratore di Terra Santa: «La nostra fede è minacciata dai Drusi e dal Pascià di Damasco, che dà loro i mezzi per togliere la vita a tutti i cristiani, senza distinzione di persone, siano essi europei o orientali. Sia fatta la volontà del Signore».
La persecuzione all’apice A Damasco, l’emiro Abd-el-Kader cercò di difendere i cristiani dalle azioni provocatorie compiute contro di loro e contro il segno della Croce, che l’8 luglio 1860 toccarono l’apice, in un clima di terrore sempre più crescente. A mezzogiorno del 9 luglio, una folla assaltò la residenza del Patriarcato Greco non unito, riversandosi poi nel resto del quartiere cristiano. Abd-el-Kader e i suoi uomini armati accorsero, ma ancor prima di combattere gli aggressori, misero in salvo nel palazzo dell’emirato quanti più cattolici possibile, latini e maroniti, religiosi e laici, compresi i Gesuiti, i Lazzaristi, le Figlie della Carità e gli alunni delle scuole.
Il massacro del 10 luglio 1860 Gli unici che non avevano accettato l’invito dell’emiro furono i Frati Minori del convento di San Paolo, per non abbandonare i cristiani che già vi avevano trovato rifugio: padre Manuel era infatti sicuro che nessuno sarebbe penetrato tra le mura, che erano particolarmente solide, mentre le porte di accesso alla chiesa e al chiostro erano blindate da lamine di ferro. Appena la folla fu entrata nel quartiere cristiano, padre Emanuele radunò in chiesa i religiosi, i bambini della scuola parrocchiale e alcuni fedeli, quindi espose il Santissimo Sacramento per l’adorazione. I religiosi sacerdoti s’impartirono l’assoluzione a vicenda e si comunicarono. Gli aggressori, di fatto, non riuscirono a forzare l’ingresso, ma irruppero lo stesso, dopo la mezzanotte del 10 luglio: qualcuno li aveva fatti passare per una porta sul retro, che non era stata rinforzata.
Il martirio di padre Emanuele A quel punto, padre Emanuele corse in chiesa e consumò le sacre specie. Mentre era raccolto in preghiera, gli si avvicinò un aggressore, urlando: «Viva Maometto!... O tu, cane, abbracci la sua religione, o ti scanneremo». Alzandosi di scatto, l’altro replicò: «No, sono cristiano e voglio morire da cristiano!». Subito dopo, appoggiò la testa sulla mensa dell’altare, come se fosse il ceppo per la decapitazione, e si rivolse agli assalitori: «Colpite». A pochi passi dall’altare, fu trovato il piccolo Messale arabo che usava per tradurre i Vangeli domenicali, bagnato del suo sangue.
Il martirio di altri sette religiosi e di tre fratelli maroniti Padre Emanuele fu il primo a morire: dopo di lui, vennero uccisi padre Carmelo Bolta Bañuls (col quale era partito nel primo viaggio), padre Engelberto Kolland, padre Nicanore Ascanio Soria, padre Nicola Alberca y Torres, padre Pietro Nolasco Soler Méndez, fra’ Francesco Pinazo Peñalver e fra’ Giovanni Giacomo Fernández Fernández. Morirono anche i tre fratelli Francesco, Abdel Mooti e Raffaele Massabki, cristiani maroniti, collaboratori dei frati, che non avevano voluto, a differenza di altri fedeli, fuggire dal convento. Appena tornò la calma, nel 1861, i corpi dei religiosi e dei tre fratelli, già nascosti in un sotterraneo del convento, vennero collocati in due casse e sepolti in una medesima tomba, aperta nel pavimento della chiesa di San Francesco a Damasco.
La causa di beatificazione degli otto francescani e dei tre fratelli Il 17 dicembre 1885 fu iniziato il processo per la beatificazione di padre Emanuele Ruiz e compagni. Nella primavera del 1926 si fissò la data della beatificazione per il 10 ottobre. A quel punto, l’episcopato maronita, che è legato alla Chiesa di Roma, con a capo l’arcivescovo di Damasco, presentò a papa Pio XI una urgente istanza affinché i tre fratelli Massabki, dei quali erano stati rinvenuti i nomi, fossero accomunati nella gloria ai francescani, come lo furono nella vita e nel sacrificio supremo. Il 7 ottobre 1926 il Santo Padre, viste le prove raccolte nel processo sommario da lui stesso autorizzato, firmò il decreto per la beatificazione dei tre fratelli, che fu celebrata il 10 ottobre seguente, insieme a quella degli otto frati.
La canonizzazione Il 18 dicembre 2022 il cardinal Béchara Boutros Raï, Patriarca dei Maroniti, annunciò che per i tre fratelli era in vista la canonizzazione senza la conferma formale di un miracolo. Tale supplica era stata presentata dal Santo Sinodo dei Vescovi Maroniti, nel 2022, a papa Francesco; alla richiesta si erano associati anche i Superiori Maggiori dell’Ordine dei Frati Minori, il Ministro generale e il Custode di Terra Santa, chiedendo la canonizzazione per l’intero gruppo degli undici martiri. Le motivazioni erano duplici: per i tre fratelli, per offrire, mediante la canonizzazione, un messaggio di dialogo, di pace e di unità nel contesto medio-orientale; per i frati, l’imminenza dell’ottavo centenario della morte di san Francesco d’Assisi, che ricorreva nel 2026. Il 23 marzo 2023, papa Francesco autorizzò l’iter speciale per la redazione e lo studio della “Positio super Canonizatione” e, il 23 maggio 2024, approvò i voti favorevoli della Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi del Dicastero delle Cause dei Santi per la canonizzazione degli undici Martiri di Damasco. Lo stesso Pontefice li canonizzò a Roma, in piazza San Pietro, domenica 20 ottobre 2024.
La memoria e il culto Il Martirologio Romano commemora insieme gli undici martiri al 10 luglio, ma nel Calendario dell’Ordine dei Frati Minori sono ricordati il 13 luglio. A Damasco, invece, sono festeggiati sia nell’anniversario del martirio, sia, in modo solenne, la domenica successiva al 12 luglio. I loro resti mortali sono venerati nella chiesa della Conversione di San Paolo a Damasco. Nelle rispettive diocesi di provenienza dei frati, quindi anche a Burgos, di cui era originario padre Emanuele, il loro ricordo è molto vivo.
Autore: Emilia Flocchini
|