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Aguilar de la Frontera, Spagna, 10 settembre 1830 – Damasco, Siria, 10 luglio 1860
Nicolás María Alberca y Torres nacque ad Aguilar de la Frontiera, presso Cordova in Spagna, il 10 settembre 1830. Molto devoto sin dall’infanzia, non poté consacrarsi a Dio a causa delle leggi che avevano soppresso gli Ordini religiosi in Spagna. Studiò quindi privatamente e non in modo continuato; fu anche membro di molte associazioni di fedeli. Legato per vari motivi ai frati francescani, fu ammesso tra i novizi dei Frati Minori Osservanti che, nel convento di Priego, avevano instaurato una comunità per religiosi destinati a partire per la Terra Santa. Fra’ Nicola Maria fu ordinato sacerdote il 27 febbraio 1858; partì da Valencia il 25 gennaio 1859. A due mesi dall’arrivo, fu destinato al convento della Conversione di San Paolo a Damasco, dove iniziò a studiare l’arabo sotto la guida di padre Carmelo Bolta Bañuls. Tuttavia, a causa delle ripercussioni della guerra di Crimea e delle risoluzioni prese col congresso di Parigi del 1856, i cristiani in Siria avevano iniziato a essere perseguitati dai musulmani drusi. Quando gli aggressori, nella notte tra il 9 e il 10 luglio, riuscirono a entrare nel convento da una porta secondaria ed ebbero decapitato il superiore padre Emanuele Ruiz Lopez, padre Nicola Maria, mentre gli veniva puntata contro un’arma da fuoco, gridò che non intendeva tradire il Signore; aveva ventinove anni ed era il più giovane membro della comunità. Nella stessa notte morirono anche gli altri sei frati e tre fratelli cristiani maroniti, collaboratori dei religiosi. Gli undici Martiri di Damasco furono beatificati da papa Pio XI il 10 ottobre 1926 e canonizzati da papa Francesco il 20 ottobre 2024. I loro resti mortali sono venerati nella chiesa della Conversione di San Paolo a Bab Touma, quartiere di Damasco. Il Martirologio Romano li commemora il 10 luglio, giorno della loro nascita al Cielo, ma nel Calendario dell’Ordine dei Frati Minori la loro memoria ricorre il 13 luglio; sono festeggiati anche la domenica più vicina al 12 luglio, in maniera solenne, a Damasco.
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Damasco in Siria, passione dei beati martiri Emanuele Ruíz, sacerdote, e compagni, sette dell’Ordine dei Frati Minori e tre fratelli fedeli della Chiesa Maronita, che, con l’inganno consegnati ai nemici da un traditore, furono sottoposti per la fede a varie torture e conclusero il loro martirio con una morte gloriosa. [I loro nomi sono: beati Carmelo Volta, Pietro Soler, Nicola Alberca, Engelberto Kolland, Ascanio Nicanor, sacerdoti, e Francesco Pinzao e Giovanni Giacomo Fernández, religiosi, dell’Ordine dei Frati Minori; Francesco, Mootius e Raffaele Massabki, fratelli.]
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I primi anni Nicolás María Alberca y Torres nacque ad Aguilar de la Frontiera, presso Cordova in Spagna, il 10 settembre 1830. I suoi genitori, Manuel Alberca e María Valentina Torres y Galán, ebbero in tutto nove figli: sei di essi si consacrarono a Dio. Nicolás Maria fu battezzato da don Blas García Prieto nella parrocchia di Santa Maria del Soterraño, nel suo paese, e cresimato il 26 luglio 1839 da monsignor Juan José Bonet y Orbe, Vescovo di Cordova, nel corso della sua prima visita pastorale alla parrocchia di Aguilar. Ricevette un’istruzione di base, perché i genitori vollero affidarlo al maestro del paese, Marcos Cosano. Un ragazzo molto religioso Fin da piccolo sviluppò una religiosità sincera, che non l’abbandonò neanche quando ebbe superato l’infanzia. Per contribuire al bilancio familiare, trovò lavoro in un negozio, ma si dimise quando capì che quel lavoro non gli lasciava molto tempo per le sue pratiche religiose. Si dedicò quindi ai lavori agricoli, prima in aiuto a suo padre, poi da uno zio. Si legò particolarmente a un cugino, José María Luque, che condivideva i suoi stessi ideali: insieme lavoravano, insieme trascorrevano i momenti di pausa pregando. Inoltre, Nicolás María amava la solitudine, era assiduo ai sacramenti e leggeva frequentemente l’«Anno Cristiano», una pubblicazione popolare molto diffusa, dov’erano raccontate le feste dell’anno liturgico e le vite dei santi; in particolare, era attratto dalle storie dei martiri. Prima d’iniziare ogni lavoro si affidava a Dio e, se affrontava qualche difficoltà, ricorreva all’intercessione dei suoi santi prediletti con novene e preghiere speciali.
Sogni di vocazione Nelle loro conversazioni, i due cugini affrontavano spesso la questione della vocazione. Luque faceva notare a Nicolás María che non possedeva la dote richiesta dal diritto canonico, ma lui replicava: «Dato che a Dio nulla è impossibile, confido che la sua Divina Maestà me lo concederà e disporrà le cose in modo tale che, se io lo merito, si compiranno i miei desideri». Al sentirlo parlare così, Luque taceva, perché il cugino seguiva una logica non di questo mondo. Il desiderio di consacrazione fu ancora più forte quando due suoi fratelli seguirono la stessa via: Fancisco de Paula, tra gli Eremiti di Cordova, e María Manuela, tra le Monache Carmelitane. Concretamente, però, a Nicolás María mancavano non solo i mezzi, ma il luogo preciso in cui indirizzarsi: le leggi eversive e le soppressioni degli ordini religiosi non erano favorevoli a una vocazione nascente come la sua.
Un primo passo verso la consacrazione La madre, dunque, gli suggerì di chiedere al cappellano delle Carmelitane dov’era entrata la sorella, padre Vigueras, un Cappuccino esclaustrato. Da lui fu indirizzato tra i Fratelli dell’ospedale di Gesù Nazareno a Cordova, dediti all’assistenza agli anziani. Nel 1851 fu ammesso al noviziato come fratello questuante, diventando fra Nicola di Santa Maria. Tre anni dopo, l’Ospedale di Gesù Nazareno lo mandò a Madrid a rappresentare i suoi interessi. Nicolás María si stabilì in calle San Justo, in una soffitta del palazzo arcivescovile, che gli fu ceduta gratuitamente. Visse a Madrid poco più di due anni, dai primi del 1854 fino al luglio 1856. Si associò anche alla Santa Scuola di Cristo, un’associazione di sacerdoti e laici per certi versi simile alla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri: la sua domanda di ammissione, datata 25 maggio 1854, fu approvata il 22 giugno seguente. Secondo le regole della Santa Scuola, fra Nicola si concentrò a compiere sempre la volontà di Dio, accettando con serenità quanto gli accadeva. Mentre si dedicava alla carità verso i malati, continuava a ripassare il latino e le altre materie ecclesiastiche.
L’idea di farsi francescano Nel corso del tempo, Nicolás María rifletté sempre più spesso sull’idea di diventare frate francescano. Era effettivamente legato a quell’Ordine: un suo fratello, Manuel, era frate cappuccino e missionario in America. Era francescano anche padre Antonio Alberca, uno zio paterno. Infine, sin dall’infanzia conosceva gli ex frati del convento di Montilla e quelli che, nella stessa cittadina, facevano da cappellani alle monache clarisse. Diventare francescano gli forniva poi la possibilità di partire come missionario, anche con la prospettiva del martirio. Proprio negli anni in cui Nicolás María viveva a Madrid, erano in corso trattative per l’apertura di un convento francescano dal quale uscissero religiosi missionari in Terra Santa. Governo e superiori religiosi pervennero a un accordo dopo quattro anni: il 13 e il 14 luglio 1856 la nuova comunità s’insediò nel convento di Priego, presso Cuenca.
L’ingresso in noviziato Nicolás María assistette al rito, anche perché l’11 aprile aveva presentato domanda per essere ammesso in quella comunità. L’Opera Pia dei Luoghi Santi di Madrid accolse la sua richiesta: il giovane, come ammise ad alcuni vicini, si sentiva l’uomo più felice del mondo: si sentì come invaso da «un delirio di felicità». Fu ammesso nel Collegio di Priego il 6 luglio 1856; otto giorni dopo, il 14 luglio, con altri quattro novizi, ricevette il saio dei Frati Minori Osservanti (dal 4 ottobre 1897 uniti, insieme agli Alcantarini o Scalzi, ai Recolletti e ai Riformati, nell’Ordine dei Frati Minori), diventando fra Nicola Maria di Gesù. Professò i voti dopo un anno di noviziato e poté quindi dedicarsi agli studi con maggior continuità.
Verso il sacerdozio Nel novembre 1857, quindi, fra’ Nicola Maria iniziò gli studi di Filosofia. Terminò gli studi nel luglio 1858, col voto di “molto buono”. Si succedettero intanto le tappe verso il sacerdozio: fu ordinato suddiacono nel settembre 1857 e diacono nel dicembre seguente. Fu ordinato sacerdote il 27 febbraio 1858 nella chiesa delle monache di San Martino a Segorbe, da monsignor Domingo Canubio Alberto, vescovo di Segorbe. Celebrò la Prima Messa il 19 marzo, nel suo paese natale. Rientrato a Priego, continuò a studiare con impegno ancora maggiore, in vista della missione.
L’arrivo in Terra Santa Non era automatico che padre Nicola Maria fosse tra i primi frati a partire per la Terra Santa, ma lui lo desiderava tantissimo: il suo anelito al martirio, nato leggendo le vite dei Santi da ragazzo, non era mai venuto meno, neanche negli anni di Madrid. A chi gli faceva osservare che ciò non poteva avverarsi non essendoci in vista nessuna persecuzione, rispondeva: «Neanch’io vedo come ciò possa avvenire: tuttavia ritengo fermamente che il mio desiderio sarà appagato». All’inizio del 1859, gli fu comunicata la data della partenza, ma per la fretta non poté salutare sua madre, che non vedeva da sei anni. L’8 gennaio le scrisse per comunicarle la notizia, incoraggiandola in pari tempo ad accettare la volontà di Dio. Il 25 gennaio 1859 partì da Valencia: insieme a lui, sul vapore “Barcino”, c’erano altri quattordici religiosi. Sbarcato a Giaffa il 19 febbraio, poté visitare i principali santuari della Terra Santa: fu particolarmente colpito da quello di Betlemme, devoto com’era di Gesù Bambino.
A Damasco Trascorsa la Settimana Santa, che visse a Gerusalemme, padre Nicola Maria fu destinato al convento della Conversione di San Paolo a Damasco, per studiare la lingua araba. Con lui andarono due compagni di navigazione: padre Nicanore Ascanio Soria, arrivato al convento di Priego nel settembre 1858, e padre Pietro Nolasco Soler, che era stato anche suo compagno di studi. I giovani frati passarono l’anno scolastico 1859-1860 impegnati nello studio, avendo come maestro padre Carmelo Bolta Bañuls. Partecipavano anche alle celebrazioni comunitarie e parrocchiali, perché la chiesa conventuale fungeva da parrocchia per i cristiani di rito latino.
I cristiani in Siria perseguitati Tuttavia, a causa delle ripercussioni della guerra di Crimea e delle risoluzioni prese col congresso di Parigi del 1856, i cristiani in Siria avevano iniziato a essere perseguitati dai musulmani drusi: questi ultimi avevano interpretato la libertà di culto imposta alla Turchia, nonché l’equiparazione tra loro e i cristiani sul piano civile, come un affronto al Corano. Il superiore dei Frati Minori, padre Emanuele Ruiz López, era sicuro che nessuno sarebbe penetrato tra le mura del convento di San Paolo, che erano particolarmente solide, mentre le porte di accesso alla chiesa e al chiostro erano blindate da lamine di ferro. Quanto a padre Nicola Maria, non gli sembrava di percepire particolari segnali di persecuzione. Nell’ultima delle sue numerose lettere (ne sono rimaste diciassette), datata 1° marzo 1860, scrisse alla madre: «Tanto a lui [suo fratello Francisco Javier, militare, della cui sorte la madre era preoccupata] quanto agli altri miei fratelli chiedo che cerchino di dimostrarsi più fervorosi negli atti di devozione, più esemplari nei costumi e più saldi nella fede, nella speranza e nella carità, compiendo frequenti atti di queste tre virtù divine, soprattutto in questi tempi nei quali la Chiesa nostra Madre si vede perseguitata, circondata o minacciata dai propri nemici, secondo quanto ci raccontano da alcune nazioni d’Europa».
La persecuzione all’apice A Damasco, l’emiro Abd-el-Kader cercò di difendere i cristiani dalle azioni provocatorie compiute contro di loro e contro il segno della Croce, che l’8 luglio 1860 toccarono l’apice, in un clima di terrore sempre più crescente. A mezzogiorno del 9 luglio, una folla assaltò la residenza del Patriarcato Greco non unito, riversandosi poi nel resto del quartiere cristiano. Abd-el-Kader e i suoi uomini armati accorsero, ma ancor prima di combattere gli aggressori, misero in salvo nel palazzo dell’emirato quanti più cattolici possibile, latini e maroniti, religiosi e laici, compresi i Gesuiti, i Lazzaristi, le Figlie della Carità e gli alunni delle scuole. Gli unici che non avevano accettato l’invito dell’emiro furono i Frati Minori del convento di San Paolo, per non abbandonare i cristiani che già vi avevano trovato rifugio.
Il massacro del 10 luglio 1860 Appena la folla fu entrata nel quartiere cristiano, padre Emanuele radunò in chiesa i religiosi, i bambini della scuola parrocchiale e alcuni fedeli, quindi espose il Santissimo Sacramento per l’adorazione. I religiosi sacerdoti s’impartirono l’assoluzione a vicenda e si comunicarono. Gli aggressori, di fatto, non riuscirono a forzare l’ingresso, ma irruppero lo stesso, dopo la mezzanotte del 10 luglio: qualcuno li aveva fatti passare per una porta sul retro, che non era stata rinforzata.
Il martirio di padre Nicola Il primo a morire fu proprio padre Emanuele, dichiarando di essere cristiano e di voler morire da cristiano: fu decapitato dopo che, spontaneamente, aveva posato la testa sulla mensa dell’altare. Il secondo fu padre Carmelo, che rifiutò di convertirsi per avere salva la vita. Padre Nicola fu anche lui raggiunto nel corridoio del convento da alcuni aggressori, che volevano obbligarlo a rinunciare alla fede cristiana, puntandogli contro un’arma da fuoco. Gridò subito: «Soffrirò mille volte la morte piuttosto di tradire il mio Signore!». Aveva ventinove anni al momento della morte ed era il più giovane membro della comunità.
Il martirio di altri sei religiosi e di tre fratelli maroniti Come lui, vennero uccisi padre Engelberto Kolland (vicario parrocchiale e aiutante di padre Carmelo), padre Nicanore Ascanio Soria, padre Pietro Nolasco Soler, fra’ Francesco Pinazo Peñalver e fra Giovanni Giacomo Fernández Fernández. Tranne padre Engelberto e fra Giovanni Giacomo, facevano parte della spedizione missionaria con cui era partito padre Nicola Maria; da allora in poi, fu definita “la condotta dei martiri”. Morirono anche i tre fratelli Francesco, Abdel Mooti e Raffaele Massabki, cristiani maroniti, collaboratori dei frati, che non avevano voluto, a differenza di altri fedeli, fuggire dal convento. Appena tornò la calma, nel 1861, i corpi dei religiosi e dei tre fratelli, già nascosti in un sotterraneo del convento, vennero collocati in due casse e sepolti in una medesima tomba, aperta nel pavimento della chiesa di San Francesco a Damasco.
La causa di beatificazione degli otto francescani e dei tre fratelli Il 17 dicembre 1885 fu iniziato il processo per la beatificazione di padre Emanuele Ruiz e compagni. Nella primavera del 1926 si fissò la data della beatificazione per il 10 ottobre. A quel punto, il Patriarca della Chiesa Maronita (che è in comunione con Roma) Elias Boutros Hoyek (Venerabile dal 2019) e l’intero episcopato maronita presentarono a papa Pio XI una urgente istanza affinché i tre fratelli Massabki, dei quali erano stati rinvenuti i nomi, fossero accomunati nella gloria ai francescani, come lo furono nella vita e nel sacrificio supremo. Il 7 ottobre 1926 il Santo Padre, viste le prove testimoniali e documentarie raccolte nel processo da lui stesso autorizzato, firmò il decreto per la beatificazione dei tre fratelli, che fu celebrata il 10 ottobre seguente, insieme a quella degli otto frati.
La canonizzazione Il 18 dicembre 2022 il cardinal Béchara Boutros Raï, Patriarca dei Maroniti, annunciò che per i tre fratelli era in vista la canonizzazione senza la conferma formale di un miracolo. Tale supplica era stata presentata dal Santo Sinodo dei Vescovi Maroniti, nel 2022, a papa Francesco; alla richiesta si erano associati anche i Superiori Maggiori dell’Ordine dei Frati Minori, il Ministro generale e il Custode di Terra Santa, chiedendo la canonizzazione per l’intero gruppo degli undici martiri. Le motivazioni erano duplici: per i tre fratelli, per offrire, mediante la canonizzazione, un messaggio di dialogo, di pace e di unità nel contesto medio-orientale; per i frati, l’imminenza dell’ottavo centenario della morte di san Francesco d’Assisi, che ricorreva nel 2026. Il 23 marzo 2023, papa Francesco autorizzò l’iter speciale per la redazione e lo studio della “Positio super Canonizatione” e, il 23 maggio 2024, approvò i voti favorevoli della Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi del Dicastero delle Cause dei Santi per la canonizzazione degli undici Martiri di Damasco. Lo stesso Pontefice li canonizzò a Roma, in piazza San Pietro, domenica 20 ottobre 2024.
La memoria e il culto Il Martirologio Romano commemora insieme gli undici martiri al 10 luglio, ma nel Calendario dell’Ordine dei Frati Minori sono ricordati il 13 luglio. A Damasco, invece, sono festeggiati sia nell’anniversario del martirio, sia, in modo solenne, la domenica successiva al 12 luglio. I loro resti mortali sono venerati nella chiesa della Conversione di San Paolo a Bab Touma, quartiere di Damasco. Padre Nicola Maria è ancora molto ricordato ad Aguilar de la Frontiera: ogni anno, il 10 luglio, si tiene una processione con la sua statua, che passa anche per la casa dove nacque. Una reliquia dei Martiri di Damasco è stata invece posta nella chiesa di Santa Maria del Soterraño, dove si conserva il fonte dove lui fu battezzato.
Autore: Emilia Flocchini
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