Un giovane entusiasta per la carità
Nato l’8 novembre 1823 a Bourbon-Vendée (oggi La Roche-sur-Yon), nel dipartimento francese della Vandea, Henri Planchat trascorre un’infanzia e un’adolescenza veramente pie, dapprima nella cittadina natale, poi a Chartres e a Lilla dove il padre, magistrato, viene successivamente trasferito.
Nel 1837 il ragazzo è posto come convittore nel Collegio Stanislas di Parigi. Vi rimane tre anni, dopo i quali continua gli studi nell’Istituto dell’abate Poiloup a Vaugirard [allora sobborgo di Parigi]. Gli anni trascorsi a Vaugirard sono decisivi per il futuro orientamento della sua vita. Egli conosce l’attività delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli. Ne è conquistato, e vi si dedica con tutto l’entusiasmo.
Consacra il tempo libero dagli studi ai poveri della zona; si assume la direzione della biblioteca popolare creata dalla Conferenza parrocchiale; rivolge le sue cure ai fanciulli delle scuole; trascorre le domeniche nel patronato che i Fratelli di San Vincenzo de’ Paoli (oggi chiamati Religiosi di San Vincenzo de’ Paoli) hanno aperto da poco nella Rue du Regard, occupandosi degli apprendisti. Ed ogni domenica, immancabilmente, il pio giovane termina la giornata ai piedi di Nostra Signora delle Vittorie.
La vocazione religiosa e sacerdotale
Il giovane che con tanto entusiasmo si dedica all’apostolato dei poveri di Vaugirard ha davanti a sé uno splendido avvenire. Glielo garantiscono il prestigio del nome paterno, il censo, le relazioni familiari, l’intelligenza non comune, gli studi giuridici brillantemente compiuti. Matura invece nel suo animo la vocazione sacerdotale e il desiderio di consacrarsi totalmente al servizio del popolo più umile nell’istituto dei Fratelli di San Vincenzo de’ Paoli da lui conosciuto a Vaugirard.
Appena conseguito il diploma di avvocato, entra nel Seminario di Issy. Il giovane seminarista non nasconde le sue aspirazioni all’apostolato tra le classi più umili. A taluni suoi compagni sembra impossibile che un giovane, cui potrebbe essere aperta la via ad una splendida carriera ecclesiastica, possa vagheggiare così modesto ideale: ancor meno comprendono che un tale seminarista possa compiacersi di una cella del tutto disadorna e di una tenuta esteriore quanto mai dimessa.
Ma Henri Planchat dà loro una risposta rivelatrice dell’animo con cui si prepara al sacerdozio: «Non ci si va a confessare da coloro che hanno nei loro appartamenti delle belle pendole e dei bei tappeti, quando ci si vuol convertire».
Il primo membro sacerdote dei Fratelli di San Vincenzo de’ Paoli
Ordinato sacerdote il 21 dicembre 1850, si presenta tre giorni dopo a Jean-Léon Le Prevost, già funzionario del Ministero dei Culti e presidente della Conferenza di San Vincenzo della parrocchia di San Sulpizio, superiore della piccola comunità dei Fratelli di San Vincenzo de’ Paoli da lui stesso fondata con Clément Myionnet, Maurice Maignen e Louis Paillé.
È accolto, primo sacerdote, nella nascente Congregazione. Da questo momento, tutta la sua vita sarà un continuo atto d’immolazione, terribile e splendido, per quel popolo che egli ha tanto amato e dal quale sorgeranno i suoi carnefici.
Padre Planchat, “cacciatore di anime”
Ed eccolo percorrere, giorno e notte, le strade di Grenelle [altro sobborgo di Parigi] dove si addensa una popolazione operaia che vive nell’indifferenza e nella dimenticanza delle pratiche religiose, anzi nell’ostilità a Cristo e alla Chiesa.
Il “cacciatore di anime”, piene le tasche di medaglie, di immagini, di libri buoni, va alla scoperta del suo mondo; penetra in ogni vicolo, si spinge nelle zone più malfamate, entra nelle più sudice baracche, nelle stamberghe più infette.
Non si commuove per le ingiurie né per le minacce. Le une e le altre sono spesso occasione di intavolare una conversazione che terminerà con la confessione. In breve tutti sono abituati a vedere quel prete allampanato percorrere instancabile le strade del quartiere, entrare in ogni casa.
Si comincia ad andargli incontro per confidargli pene e necessità; lo si chiama, gli si segnalano poveri vergognosi, ammalati bisognosi, cuori inaspriti dalla miseria e dalla sofferenza. Egli corre da tutti, portando a tutti il conforto e l’aiuto desiderato.
Sin dai primi mesi i risultati sono ammirevoli: comunioni tardive, ritorni clamorosi alla pratica cristiana, conversioni in punto di morte, celebrazioni di matrimoni (giungerà a celebrarne sino a cinquecento all’anno).
La malattia, il viaggio in Italia e il ritorno all’opera
Un tale apostolato non può non logorare la fibra del Planchat. Dopo un anno egli cade ammalato, e alla malattia fisica si aggiungono, torturanti, le pene dello spirito. Un soggiorno di parecchi mesi in Italia gli permetterà di ritrovare le forze per continuare il suo ministero.
Nell’aprile del 1853 è di nuovo a Grenelle, guarito. Riprende con rinnovato ardore il suo apostolato. Consacra le sue cure agli apprendisti e ai ragazzi del patronato. Ne organizza un altro per le giovani operaie. Stabilisce l’“opera della Sacra Famiglia” per meglio assistere le famiglie già raggiunte dalla sua parola. Predica ritiri per le prime comunioni dei bambini e degli adulti.
Tutto ciò non gli basta. Vi sono, come prima e più di prima, le estenuanti corse, di giorno e di notte, in cerca degli ammalati, dei vecchi, dei peccatori. Sbocciano così, innumerevoli, i fioretti di Padre Planchat.
Padre Planchat e le lavandaie
In una delle sue corse apostoliche gli capita di passare davanti ad una lavanderia. La vista del prete, e per di più un prete dall’aspetto tanto povero, eccita l’allegria delle operaie che lo coprono di sarcasmi. Planchat, senza turbarsi, entra nel locale, distribuisce a tutte medaglie, immagini e rosari e rivolge loro un discorsetto che le scuote profondamente. Quando parte, lo raggiunge la padrona che, con le lacrime agli occhi, lo prega di accettare un’offerta per una Messa secondo le intenzioni sue e delle operaie.
La sua preghiera per un moribondo
Una sera si dirige alla casa di un moribondo lontano da Dio. Non ostante le sue insistenze, non può avvicinare l’infermo. È cacciato con insulti e minacce. Ma il buon sacerdote non vuole abbandonare quell’anima. Discende in strada, vede poco lontano un paracarro e nonostante il vento glaciale che soffia implacabile vi si siede e comincia a recitare il rosario.
Le ore passano e Planchat continua a sgranare la corona. A mezzanotte è sempre al suo posto, pregando per il povero morente. Ed ecco che, dalla casa, esce di corsa una donna, la quale, stupita di vederlo a quell’ora e in quel luogo, lo prega di salire subito dall’ammalato. Henri Planchat giunge a tempo per confessarlo, dargli l’estrema unzione e riceverne l’ultimo respiro.
Anche nel freddo dell’inverno
È inverno. Si è recato sino all’estremità della piana d’Issy per assistere una moribonda. Nevica, è passata la mezzanotte, ed egli non è rincasato. I confratelli sono ormai inquieti. Finalmente appare Henri Planchat coperto di neve e intirizzito dal freddo. Non è solo. Ha raccolto per strada un soldato che si è smarrito nella pianura e un disgraziato senza tetto, che ha scovato in una macchia. Li riscalda, dà loro da mangiare e procura loro un alloggio.
Un’altra notte d’inverno la portinaia sorprende il Planchat che cerca di entrare in casa senza farsi notare. Cammina con una andatura che non è quella abituale. Alla portinaia che gli chiede: «Ma che ha ai piedi, Reverendo ? », «Nulla, nulla », risponde, cercando di farsi più piccolo.
Ma la spietata portinaia lo squadra con maggiore attenzione ed allibisce. Planchat rientra senza scarpe, con le calze bagnate e ghiacciate. Cerca di scusarsi. «Le ho date sull’esplanade des Invalides a un poveretto che ne era privo. Che volete ? Era più vecchio di me ». Chi conosce Parigi e sa quali quartieri aristocratici e mondani sia necessario attraversare per giungere dagli Invalides a Vaugirard, converrà che siamo in pieno eroismo.
È ancora inverno. Henri Planchat è appena rientrato, sfinito, dopo una giornata di intenso ministero, quando lo chiamano nuovamente per assistere un moribondo. Senza indugio riparte. Lo accompagna, per sostenerlo, uno dei giovani apprendisti del patronato.
Ma le forze hanno un limite. A un certo momento padre Planchat vacilla e cade svenuto lungo il marciapiede. Il ragazzo tenta invano di rianimarlo. Accorre gente. Lo trasportano in una casa vicina, dove a poco a poco rinviene. Appena può sostenersi sulle gambe, riparte alla ricerca dell’ammalato. Rientrerà solo, nel cuore della notte glaciale, quando avrà terminato la sua opera sacerdotale. Siamo, come si vede, a quelle altezze dell’eroismo dove si muovono solo i grandi santi.
Per due anni ad Arras
Lo zelo di Henri Planchat desta la suscettibilità del parroco di Grenelle e dei suoi vicari a tal punto che i superiori giudicano opportuno, pro bono pacis, di allontanare il loro confratello.
Lo mandano ad Arras, dove per due anni coadiuva l’abate Halluin nella direzione di un importante orfanotrofio e nell’assistenza agli apprendisti. Ad Arras, come a Vaugirard, i fioretti di padre Planchat continuano a sbocciare deliziosi e commoventi.
Il patronato di Sant’Anna
Continueranno a sbocciare anche nell’immenso, popoloso quartiere di Charonne, dove i superiori lo mandano nel 1863 a dirigere il patronato di Sant’Anna aperto al pianterreno di una povera casa di Rue de la Roquette che il proprietario ha trasformato in scuderia.
Henri Planchat vi giunge in un pomeriggio domenicale recando un gran cesto di fragole che distribuirà ai ragazzi dopo l’istruzione. Ma il locale non permette di sviluppare l’opera. Il sacerdote deve confessare i suoi giovani tra le zampe dei cavalli. Per le funzioni religiose deve condurli nelle chiese di S. Ambrogio o di S. Margherita, disturbando l’ordine delle funzioni parrocchiali.
Nello spazio di un mese il patronato si trasferisce nella Rue des Bois su un vasto terreno circondato da orti. In breve tempo i locali sono sistemati, si orna la cappella. Tutto è pronto per iniziare l’attività nella nuova sede. Padre Planchat non ha dimenticato nulla di ciò che può rendere accogliente il nuovo patronato.
Sant’Anna diventa subito un alveare brulicante, dove si radunano cinquecento fanciulli e apprendisti, ai quali si aggiungono numerosi operai, che vengono al patronato a cercare con le sane distrazioni anche i mezzi per continuare a vivere da buoni cristiani.
Non basta. Padre Planchat apre nel patronato anche un posto di soccorso, dove i bisognosi trovano cibo, vestiario e, soprattutto, la buona parola che ammonisce e conforta. E anche a Charonne, come a Vaugirard, i catechismi, le confessioni, le conferenze ai giovani del patronato, i ritiri per le famiglie degli operai, le istruzioni per le prime comunioni dei suoi ragazzi e di quelli inviatigli dai sacerdoti delle altre parrocchie.
Un apostolato ad ampio raggio
E poi le corse per il quartiere in cerca di altre anime da salvare, di altri poveri da soccorrere, di altre famiglie da rappacificare. E poi le peregrinazioni per i quartieri del centro in cerca dei soccorsi che gli permettano di continuare l’assistenza ai poveri, o in cerca di lavoro per i suoi giovani. E poi l’apostolato tra gli operai italiani di Charonne, intensissimo, che egli, conoscendo la loro lingua, si assume anticipando il ministero della Missione Italiana di Parigi.
E poi l’aiuto da prestare agli altri confratelli, in altre zone della città. E poi l’apostolato di emergenza, non meno estenuante, come per esempio tra i colerosi di Montmartre. Perché l’apostolato di Henri Planchat ha, sì, un centro, che è Charonne: ha una sede, che è Sant’Anna della rue des Bois; ma, in realtà, si estende a tutti i quartieri dell’immensa città, dove ci sia un’anima che ha bisogno del sacerdote.
Padre Planchat nella “fossa dei leoni”
E, ovunque, continuano a sbocciare i fioretti di padre Planchat. Sbocciano nella zona malfamata della rue de Montreuil, dove nemmeno la polizia osa avventurarsi. Vi è là una scarpata che gli abitanti della zona chiamano “la fossa dei leoni”. Lui vi si reca, perché in una baracca di quella fossa sta morendo, solo e senza cure, un miserabile canceroso.
La sua presenza richiama la gente, la sua bontà gli permette di essere ascoltato. Conosce, così, una coppia non sposata che, toccata dalle sue parole, gli chiede di benedire il matrimonio e di battezzare i figli. Ciò che sarà fatto, non alla chetichella, ma con un bel corteo in carrozza e una bella cerimonia al municipio e in chiesa. Il tutto pagato, naturalmente, dal povero sacerdote. E gli sposi, commossi, diranno: «Prima di conoscere padre Planchat non sapevamo che cosa fosse un prete».
Altri episodi di carità
I fioretti sbocciano nel grande ospedale del Faubourg St-Antoine, dove lui si reca per portare la S. Eucaristia ad una ricoverata. Prima di comunicarla, il sacerdote rivolge all’inferma delle parole che commuovono profondamente tutte le compagne della corsia. Esse, partito il sacerdote, dicono all’ammalata: «Senti, Elise, quando il tuo prete tornerà, non scordarti di dirgli che siamo pronte, tutte e diciotto, a confessarci».
Sbocciano sull’omnibus che lo riporta da Charonne a Vaugirard, quando s’accorge di non avere la piccola somma necessaria per pagare il biglietto. Ha dato poco prima l’ultimo spicciolo a un povero. Il fattorino lo invita a discendere. Padre Planchat, allora, chiede umilmente l’elemosina ai compagni di viaggio.
Sbocciano nel patronato di Sant’Anna, quando ad una donna, da molto tempo lontana dai sacramenti, egli toglie dalle braccia un piccino di pochi mesi perché la mamma possa confessarsi. E mentre la donna, nel confessionale, ritrova la via di Dio, il buon sacerdote cammina su e giù per il cortile cercando di calmare il marmocchio che urla disperatamente.
Sbocciano quando, una mattina, rientrato già stanco per il pranzo, all’atto di sedersi a mensa è chiamato per un morente. Invano si cerca di fargli prendere almeno la minestra. Egli si alza immediatamente dicendo: «Tenetela al caldo; è questione di pochi minuti». E parte. Rientrerà a sera inoltrata senza aver preso, in tutta la giornata, altro nutrimento che la solita mezza tazza di caffè della mattina.
Durante la guerra franco-prussiana
E i fioretti sbocceranno, continui, quando, scoppiata la guerra franco-prussiana, egli organizzerà un meraviglioso servizio di assistenza spirituale e materiale dei soldati, e quando si recherà con l’abate de Broglie sul campo di battaglia per portare ai combattenti i soccorsi del sacro ministero.
Perché si abbia una idea, ben pallida, del lavoro apostolico di Henri Planchat, si sappia che nel solo patronato di Sant’Anna, dal luglio al dicembre del 1870, oltre al suo abituale ministero tra i giovani e i poveri del quartiere, egli accoglie, confessa e comunica quattromila soldati. Saranno ottomila nel febbraio successivo!
Una vita continuamente unita a Dio
Un tale uomo non può non essere un gigante dello spirito. Solo l’ardore e l’elevatezza della sua vita interiore possono spiegare il movente di un’attività che ha costantemente del miracoloso. La sua fede era piena, totale, fermissima.
Il suo amore per Dio, divorante. All’altare, dimentico di essere udito dall’assistente, prorompeva in accese esclamazioni d’amore. Le pie giaculatorie uscivano ad ogni istante dalle sue labbra. La sua unione con Dio era continua. Diceva: «Bisogna dire cento parole a Dio e una sola agli uomini».
Un confratello gli chiede come riesca a conciliare la sua incontenibile attività con le esigenze del raccoglimento interiore. Risponde: «Sono proprio queste opere che mi aiutano a tenermi unito a Nostro Signore Gesù Cristo. Tutte le mie relazioni con i poveri, si tratti di problemi temporali o di miserie spirituali, mi costringono a ricorrere per ciascuna al cuore di Nostro Signore Gesù Cristo per ottenere da Lui il consiglio, la parola che consola, l’ispirazione per gli interventi di carità, infine, per tutte le assistenze che rispondono al bisogno del momento».
La perquisizione
Lo stesso giorno in cui inizia l’insurrezione della Comune di Parigi, il 18 marzo 1871, una folla d’insorti assale il patronato di Sant’Anna, sotto il pretesto di cercare delle armi, ma se non ne trovano, nonostante una perquisizione da cima a fondo.
Padre Planchat, che si è sempre tenuto estraneo dai contrasti politici, ma si è invece curato di preparare bambini e adulti alla Comunione pasquale, non pensa minimamente a prendere delle misure di cautela, o a moderare il proprio zelo.
L’arresto
Il 6 aprile 1871, Giovedì Santo, alcuni soldati federati arrivano a Sant’Anna. Un commissario, con la pistola in pugno, notifica l’arresto a padre Planchat, il quale viene subito condotto al Municipio del ventesimo arrondissement e subisce un interrogatorio.
Il Venerdì Santo gli viene annunciato il trasferimento alla Prefettura. Lì padre Planchat rimane, in totale isolamento, fino al giovedì dell’Ottava di Pasqua, il 13 aprile. In quel giorno, insieme ad altri religiosi prigionieri, viene trasferito al carcere preventivo di Mazas.
In tutto vi sono imprigionati venticinque ecclesiastici, compresi padre Ladislao Radigue, padre Policarpo Tuffier, padre Marcellino Rouchouze e padre Frézal Tardieu, consiglieri del superiore generale della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria nonché dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento dell’Altare, ovvero i padri di Picpus.
Nel carcere per condannati a morte
Nei trentanove giorni seguenti, i prigionieri si trovano in condizioni penose, senza la possibilità di celebrare Messa, ma riescono a confessarsi a vicenda. Lo stesso avviene quando il direttore del carcere di Mazas ottiene il loro trasferimento a La Grande Roquette, sede del carcere per condannati a morte.
Avviene il 21 maggio, giorno in cui l’esercito regolare cinge d’assedio Parigi. Da quel momento in poi, in tutta la città, infuriano atroci battaglie, in quella che passò alla storia come la “settimana sanguinante”.
Lettere dal carcere
Nei luoghi della sua detenzione, padre Planchat scrive numerose lettere. Il 19 maggio 1871, da Mazas, si rivolge alla signorina Erdeven: «Ho tre volte bisogno di preghiere per mantenermi pronto a ricevere il colpo di grazia che può arrivare, sia senza preavviso sia senza confessione; per mantenermi nell’amicizia di Dio tramite il solo soccorso diretto della sua grazia; per non perdere a causa delle vigliaccherie, ahimè troppo frequenti, della mia miserabile volontà, il merito di questa croce benedetta inviata da Dio, per il mio bene e per quello del mio caro gregge».
Al signor Derny, da La Grande Roquette, comunica, il 23 maggio 1871: «Abbiamo potuto confessarci. Preghi e faccia pregare per tutti noi, non solo per me. Addio, mio caro amico, faccia sempre, ai nostri cari bambini e a tutti, il maggior bene possibile; la ricompensa lassù è infinita». Lo stesso giorno comunica al fratello Eugène: «Il nostro sacrificio è compiuto. […] Non sono triste, te l’assicuro: prego per tutti; pregate per me e per tutti gli abitanti della prigione».
Il martirio
Il 26 maggio, lo scontro tra gli insorti e l’esercito regolare giunge al culmine. Alle 15 dello stesso giorno, il colonnello Emile Gois, addetto alla giustizia militare, si dirige alla prigione di La Grande Roquette, dove si trovano più di cento ostaggi. Di propria iniziativa, comanda al direttore della prigione di consegnargli cinquanta detenuti.
Vengono selezionati trentatré guardie di Parigi, due gendarmi, quattro sospetti di spionaggio e dieci ecclesiastici, scelti a caso. Sono tre Gesuiti, ovvero i padri Jean Caubert, Pierre Olivaint e Anatole de Bengy; padre Planchat; i quattro padri di Picpus prima menzionati; don Jean-Marie-Noël Sabatier, vicario della chiesa della Madonna di Loreto; Paul Seigneret, allievo del Seminario di San Sulpizio.
Circondati dalle Guardie Nazionali del 173° Battaglione, i prigionieri camminano a piedi fino a Villa Vincennes, al civico 85 di rue Haxo, strattonati, picchiati e insultati dalla folla, fino al muro che circonda un terreno vuoto.
Un colpo di pistola dà il via a una fucilazione incontrollata; in meno di mezz’ora, i condannati sono tutti uccisi. Padre Ladislao ha quarantasette anni. Le sue spoglie riposano ora nel santuario della Madonna de La Salette a Vaugirard-Parigi, accanto a quelle del suo fondatore.
La causa di padre Planchat, di padre Radigue e dei loro compagni
Padre Henri Planchat, padre Ladislao Radigue e gli altri tre padri di Picpus vengono immediatamente considerati martiri; tale fama, perdurata nel tempo, ha condotto all’apertura della loro causa di beatificazione per il riconoscimento del loro martirio.
Un primo processo informativo è stato celebrato presso la Curia di Parigi dall’8 marzo 1897 all’8 agosto 1900, ma si è resa necessaria una nuova inchiesta diocesana dal 29 ottobre 2015 al 4 maggio 2016. La Congregazione delle Cause dei Santi ha emesso il decreto di convalida giuridica degli atti il 27 ottobre 2016.
Il decreto sul martirio e la beatificazione
La “Positio super martyrio”, consegnata nel 2020, è stata presentata ai Consultori Storici il 20 ottobre 2020, essendo la causa di tipo antico o storica.
L’11 maggio 2021 i Consultori Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi hanno espresso parere affermativo circa l’effettivo martirio dei sei religiosi. I Cardinali e Vescovi membri della stessa Congregazione, riuniti nella Sessione Ordinaria del 19 ottobre dello stesso anno, hanno confermato tale parere positivo.
Il 25 novembre 2021, ricevendo in udienza il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui padre Planchat, padre Radigue e compagni venivano dichiarati martiri.
La Messa con il Rito della Beatificazione, presieduta dal cardinal Semeraro, è stata celebrata il 22 aprile 2023, nella chiesa di San Sulpizio a Parigi. La memoria liturgica dei cinque Beati venne fissata al 26 maggio, giorno della loro nascita al Cielo.
Autore: Carlo Snider
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