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Seul, Corea del Sud, 1767 – 28 giugno 1795
Saba Ji Hwang, all’introduzione del cattolicesimo in Corea, si offrì volontario per apprendere il catechismo. Insieme a Paolo Yun Yu-il fece varcare il confine tra Cina e Corea a padre Giacomo Zhou Wen-mo, ma vennero entrambi arrestati. Con lui e col responsabile del rifugio dove era stato ospitato il sacerdote, Mattia Choe In-gil, venne ucciso a colpi di frusta il 28 giugno 1795, all’età di ventotto anni. Saba, Paolo e Mattia, inseriti nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, sono stati beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
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Saba Ji Hwang (o Ji Hong) nacque nel 1767, nella famiglia di un musicista presso la corte reale di Corea. Quando venne a sentire che il Vangelo stava per essere proclamato nel Paese, si offrì volontario per impararlo e divenne cattolico. Era tanto determinato a donare la sua vita a Dio che non lo spaventavano pericoli, povertà o sofferenze.
Dal 1789, i responsabili cattolici in Corea compirono grandi sforzi per riuscire a far arrivare dei sacerdoti: la Chiesa, infatti, era stata introdotta spontaneamente dai letterati coreani che avevano letto i libri scritti in cinese dai missionari europei. Il primo tentativo, risalente al 1791, fallì a causa dello scoppio della persecuzione Sinhae, per cui si dovette attendere fino al 1793.
Paolo Yun Yu-il, che era già stato a Pechino, Saba e Giovanni Pak vennero scelti per andare presso la capitale cinese come inviati segreti: il primo rimase presso il confine, mentre gli altri due e alcuni diplomatici entrarono in città.
Appena arrivato, Saba contattò il vescovo di Pechino, Alexandre de Gouvea, il quale, rimasto favorevolmente colpito dalla sua religiosità, la descrisse successivamente in questi termini: «Siamo stati testimoni della fede di Saba Ji nel 1793. Durante la sua permanenza di quaranta giorni a Pechino ricevette i Sacramenti della Confermazione, della Penitenza e della Santa Comunione con ardente devozione e con le lacrime agli occhi. Al vedere questo, i fedeli di Pechino rimasero profondamente commossi».
Nel 1794 il vescovo Gouvea inviò padre Giacomo Zhou Wen-mo come missionario in Corea. Saba e padre Giacomo s’incontrarono e si misero d’accordo per decidere la data e il luogo in cui si sarebbero incontrati presso il confine. Ciascuno prese una strada diversa per raggiungere il punto d’incontro, perché il confine era sotto stretta sorveglianza. Dovettero separarsi nuovamente e attendere finché il fiume Ammok non si fosse congelato, per poterlo attraversare.
Saba tornò in Corea per un breve periodo e riuscì a far entrare il missionario nella notte del 24 dicembre (3 novembre secondo il calendario lunare). Dodici giorni dopo, con l’aiuto di Paolo Yun, lo fece arrivare da Mattia Choe In-gil, che aveva predisposto una casa come rifugio per lui.
Nonostante le misure di sicurezza, le autorità governative vennero a sapere del suo ingresso tramite una spia. Per fortuna, il sacerdote fece in tempo a rifugiarsi presso l’abitazione della catechista Colomba Kang Wan-suk, mentre Mattia, per agevolargli la fuga, si travestì per assomigliargli, tenuto conto che conosceva la lingua cinese.
La polizia, purtroppo, scoprì la sua vera identità e ripartì a caccia di padre Giacomo, senza trovarlo. Quando vennero resi noti altri dettagli sul suo ingresso in Corea, si procedette all’arresto dei suoi accompagnatori, Paolo e Saba.
Saba e i suoi compagni vennero severamente torturati presso il quartier generale della polizia a Seul. I loro aguzzini rimasero sconvolti di fronte alla sincerità delle loro risposte, alla loro pazienza e determinazione. Anche durante le ripetute percosse, non rivelarono il nascondiglio di padre Giacomo.
I persecutori, una volta compreso che non l’avrebbero mai tradito, decisero di picchiarli fino a farli morire: di conseguenza, vennero uccisi a colpi di frusta il 28 giugno 1795 (12 maggio secondo il calendario lunare). Saba aveva ventotto anni.
Il vescovo Gouvea, dopo aver appreso il racconto del loro martirio tramite un inviato segreto, così descrisse il coraggio che avevano manifestato: «Alla domanda del persecutore: “Voi venerate Gesù che morì sulla croce?”, risposero coraggiosamente: “Sì”. Quando venne loro chiesto di rinunciare alla loro fede in Cristo, dichiararono: “Siamo pronti a morire mille volte piuttosto che a rinunciare alla nostra fede nel nostro vero Salvatore Gesù Cristo”».
Saba Ji Hwang, Mattia Choe In-gil e Paolo Yun Yu-il, inseriti nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung (del quale fanno parte anche il fratello minore di Mattia, Ignazio Choe In-cheol, e i già citati Colomba Kang Wan-suk e padre Giacomo Zhou Wen-mo), sono stati beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
Autore: Emilia Flocchini
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