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Hongju, Corea del Sud, 1730 – Cheongju, Corea del Sud, 17 aprile 1799
Giacomo Won Si-bo abbracciò il cattolicesimo in età avanzata e osservò con attenzione tutto quello che gli venne insegnato della nuova fede. Dopo aver rischiato l’arresto nel 1791, accrebbe la propria formazione grazie al confronto con altri credenti. Incarcerato nel corso di una nuova persecuzione, morì per le conseguenze delle torture il 17 aprile 1799, a sessantanove anni. Inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
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Giacomo Won Si-bo nacque a Hongju, nel distretto di Chungcheong, nell’attuale Corea del Sud, in una famiglia di ceto umile. A circa sessant’anni, tra il 1788 e il 1789, aderì al cattolicesimo insieme a suo cugino Pietro Won Si-jang.
Di carattere gentile, onesto e allegro, osservò fedelmente gli insegnamenti della Chiesa fin dai primi tempi della sua conversione: digiunava ogni venerdì, devolveva le sue sostanze ai poveri e provò a diffondere il Vangelo viaggiando.
All’esplosione della persecuzione Sinhae nel 1791, molti cattolici vennero ricercati e messi in carcere. Avvisato da alcuni amici, Giacomo scappò, mentre Pietro venne arrestato e ucciso dopo molte torture. Quando il cugino seppe della sua sorte, fu molto dispiaciuto per aver perso un’occasione per diventare martire e s’impegnò ancora di più nella pratica religiosa. Si legò in particolare ad alcuni fratelli nella fede: Lorenzo Pak Chwi-deuk, Pietro Jeong San-pil e l’ufficiale dell’esercito Francesco Bang.
Nel 1795, incontrò il missionario cinese padre Giacomo Zhou Wen-mo, che era arrivato clandestinamente in Corea l’anno prima, e domandò il Battesimo. Il sacerdote, saputo che aveva una concubina, glielo negò: lui, appena tornò a casa, la congedò.
Due anni dopo la persecuzione Jeongsa imperversò in tutta la regione e Giacomo venne arrestato. Nonostante le ripetute torture presso l’ufficio governativo di Deoksan, non smise di professare la sua fede: «Praticherò la mia religione cattolica per servire il Signore e salvare la mia anima». Venne quindi trasferito a Hongju e, successivamente, ricondotto a Deoksan per venire nuovamente picchiato: gli vennero, tra l’altro, spezzate le gambe.
Nel 1799, il governatore ordinò che Giacomo venisse condotto al quartier generale dell’esercito a Cheongju. Il giorno in cui lasciò Deoksan, sua moglie, i loro figli e gli amici lo seguirono in lacrime, ma lui disse: «Per servire il Signore e salvare le anime non dobbiamo seguire gli istinti umani. Se sopportiamo tutti i dolori, saremo ricompensati dalla beatitudine d’incontrare il nostro Signore Gesù Cristo e la sua Santa Madre Maria. Se voi restate qui, il mio cuore s’indebolirà. Potrei non essere in grado di perseverare nella fede e commetterei una grave follia verso Dio. Per favore, tornate a casa».
Arrivato a Cheongju, Giacomo incontrò altri cattolici, tra i quali Francesco Bae Gwan-gyeom, coi quali condivise le sue sofferenze. L’ufficiale in capo del quartieri fece tutto il possibile per condurlo a tradire Dio, ma senza riuscirci. Le ulteriori torture, aggiunte a quelle che gli avevano già spezzato gli arti inferiori, lo portarono alla morte il 17 aprile 1799 (13 marzo del calendario lunare); aveva sessantanove anni. Si racconta che, al momento della sua fine terrena, il suo corpo abbia emesso uno straordinario bagliore e che cinquanta famiglie, che avevano assistito alla scena, abbracciarono la fede cattolica.
Giacomo Won Si-bo, inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung (del quale fanno parte anche i già citati Pietro Jeong San-pil, Lorenzo Pak Chwi-deuk, Francesco Bang, Francesco Bae Gwan-gyeom e padre Giacomo Zhou Wen-mo), è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
Autore: Emilia Flocchini
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