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1762 – Seul, Corea del Sud, 2 luglio 1801
Susanna Kang Gyeong-bok, dama di compagnia presso la corte coreana, venne a contatto col cattolicesimo insieme ad altre donne del suo stato. Dopo aver favorito la fuga del missionario padre Giacomo Zhou Wen-mo, venne catturata dalla polizia. Inizialmente ritrattò le proprie posizioni, ma, una volta pentita, si preparò ad affrontare il martirio insieme ad altri sette fratelli nella fede. Inserita con loro nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stata beatificata da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
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Kang Gyeong-bok nacque nel 1762 in una famiglia di ceto umile. Divenne una dama di corte e, al termine del suo servizio, andò a vivere allo Yangjegung o Pyegung, il luogo dove si stabilivano i membri della famiglia reale una volta lasciato il palazzo. Le proprietarie dello Yangjegung, Maria Song (imparentata coi reali) e sua nuora Maria Sin, erano cattoliche e furono a lungo in contatto con il primo sacerdote missionario in Corea, il cinese padre Giacomo Zhou Wen-mo, e con la sua collaboratrice, Colomba Kang Wan-suk, catechista.
Verso il 1798, Maria Song invitò a casa propria Susanna: le spiegò i principi della dottrina cattolica e l’invitò a credere in Dio. Da quel momento in poi si diede allo studio e alla pratica religiosa. Spesso, insieme ad altre dame di corte, andava alla Messa celebrata a casa della catechista Colomba da padre Giacomo. Ricevette il Battesimo e, da allora, il suo nome fu Susanna.
Dopo aver appreso della persecuzione Shinyu nel 1801, padre Giacomo fuggì allo Yangjegung con l’aiuto del servo Nam Gu-wol. Susanna, che era andata a trovare sua madre, udì che la polizia stava ricercando i cattolici: di corsa si diresse allo Yangjegung e riferì la notizia, in modo tale da far scappare padre Giacomo in un altro luogo. Dopo che lui riuscì ad andarsene senza problemi, anche Susanna lasciò la casa, ma venne presto catturata dalla polizia e condotta al quartier generale a Seul.
Subito sottoposta a un interrogatorio e a torture, non si piegò e affermò: «Sono profondamente pervasa dal cattolicesimo, perciò non posso cambiare idea nemmeno se dovessi morire». Trasferita alla Corte Suprema, venne nuovamente interrogata e picchiata, tanto che arrivò a ritrattare: «Non crederò di nuovo alla religione cattolica».
A causa di quella dichiarazione, la Corte Suprema la mandò al Ministero della Giustizia. In quel luogo, Susanna si pentì e fu nuovamente disposta a professare la fede. I suoi persecutori vollero obbligarla a rivelare dove si trovasse padre Giacomo Zhou, ma invano. Pronta ormai a morire per Dio, ribadì: «Sono stata profondamente pervasa dalla religione cattolica e penso che la sua dottrina sia autentica. Mentre vivevo allo Yangjeung, ho visitato padre Giacomo Zhou e ho ricevuto il Sacramento del Battesimo. Da allora, la mia fede nell’insegnamento cattolico è diventata più forte. Pertanto, non ho la minima intenzione di rinunciare alla mia fede nemmeno se dovessi morire per essa».
Così, insieme alla già citata Colomba Kang e a Ignazio Choe In-cheol, Matteo Kim Hyeon-u, Viviana Mun Yeong-in, Giuliana Kim Yeon-i, Antonio Yi Hyeon e Agata Han Sin-ae, venne condotta presso la Piccola Porta Occidentale di Seul e decapitata il 2 luglio 1801 (22 maggio del calendario lunare). Aveva trentanove anni.
Susanna Kang Gyeong-bok e i suoi compagni, inseriti nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung (del quale fa parte anche padre Giacomo Zhou Wen-mo), sono stati beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
Autore: Emilia Flocchini
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