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Eum-seong, Corea del Sud, 1772 – Gongju, Corea del Sud, luglio 1801
Paolo Yi Guk-seung, di nobile famiglia, come molti coreani del sedicesimo secolo rimase incuriosito dalla predicazione del cattolicesimo. Approfondì il catechismo con l’aiuto di altri credenti e scelse di restare celibe, per non venir meno ai suoi doveri religiosi. Arrestato durante la persecuzione Shinyu del 1801, venne decapitato alcuni nel luglio del medesimo anno. Inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
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Paolo Yi Guk-seung, detto anche Seong-gyeom, nacque a Eum-seong, nell’antico distretto di Chungcheong, da una nobile famiglia. Successivamente, si trasferì nella regione del Chungju, dove sentì parlare della proclamazione del cattolicesimo. Per conoscere meglio la nuova religione, andò a trovare Francesco Saverio Kwon Il-sin, che abitava a Yanggeun, nel distretto di Gyeonggi. Mentre apprendeva il catechismo, venne raggiunto dalla grazia divina e cominciò a vivere seriamente le pratiche religiose.
Quando tornò a casa, il suo insegnante cercò di fargli cambiare idea, ma invano. Arrestato dalla polizia a Chungju durante la persecuzione Eulmyo, nel 1795, venne liberato, probabilmente perché aveva ritrattato le sue posizioni. Tuttavia, si pentì profondamente di quell’errore. Nonostante i suoi genitori volessero che si sposasse, scelse il celibato, perché pensava che col matrimonio non avrebbe potuto restare fedele ai suoi impegni religiosi.
Così, per evitare le proposte dei suoi, Paolo si trasferì a Seul, dove divenne un insegnante e sfruttò il suo lavoro per esporre la dottrina cattolica. Aiutato da responsabili ecclesiali come Giovanni Choe Chang-hyeon e Agostino Jeong Yak-jong, approfondì il catechismo e ricevette i Sacramenti dal primo sacerdote missionario in Corea, il cinese padre Giacomo Zhou Wen-mo.
Ben presto il suo nome divenne largamente noto. All’esplodere della persecuzione Shinyu, nel 1801, venne rivelato alla polizia da alcuni cattolici che erano stati arrestati e sottoposti a interrogatorio. Dopo alcune ricerche, Paolo venne arrestato e condotto al quartier generale della polizia; lungo il tragitto, pregava costantemente.
Appena giunto in carcere, incontrò Ko Gwang-seong di Hwanghae, che stava per andarsene dopo aver apostatato. Paolo gli suggerì di tornare sui suoi passi e di riferire all’ufficiale in capo: «Non sono stato io a tradire la mia religione, ma il diavolo che mi ha ingannato e che ha parlato attraverso la mia bocca». Grazie a quell’incoraggiamento, Ko Gwang-seong morì da martire.
Paolo affrontò le medesime prove, ma ebbe la forza di continuare a professare la sua fede. Così dichiarò al Ministero della Giustizia: «Sono stato così profondamente pervaso dalla religione cattolica durante gli ultimi dieci anni che è come se fosse divenuta parte del mio corpo. Benché potrei essere condannato a morte, non posso rinunciare alla mia fede in Dio. Quando sono stato arrestato in precedenza a Chungju, ho accettato di cambiare idea, ma non era la mia vera intenzione; piuttosto, è accaduto a causa delle pesanti torture». Alla fine, la sua sentenza di morte venne dichiarata il 2 luglio 1801 (22 maggio secondo il calendario lunare). Alcuni giorni dopo, venne riportato a Gongju, nel distretto del Chungcheong, dove venne decapitato. Aveva ventinove anni. Si racconta che i suoi nipoti prelevarono il suo cadavere e lo seppellirono a Gongju.
Paolo Yi Guk-seung, inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung (del quale fanno parte anche i già menzionati Giovanni Choe Chang-hyeon, Agostino Jeong Yak-jong e padre Giacomo Zhou Wen-mo), è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
Autore: Emilia Flocchini
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