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Avilés, Spagna, 22 ottobre 1912 – Oviedo, Spagna, 7 ottobre 1934
Gonzalo Zurro Fanjul nacque ad Avilés, nella comunità autonoma delle Asturie, il 22 ottobre 1912. Per due anni, dai nove agli undici, fu allievo del Seminario dei Padri Scolopi a Villacarriedo, ma ne venne dimesso perché i superiori lo ritennero più adatto al clero diocesano, anche a causa della salute cagionevole dei suoi genitori. Nel 1923, quindi, entrò nel Seminario Minore della diocesi di Oviedo, passando poi al Seminario Maggiore per gli studi filosofici e teologici. Aveva una forte passione per la musica e il teatro, unitamente a un notevole interesse per le missioni e per la dottrina sociale della Chiesa; quest’ultimo per via del fatto che suo padre era un minatore. Il 6 ottobre 1934, durante la rivoluzione delle Asturie, la sede del Seminario Maggiore fu attaccata e i seminaristi dovettero fuggire. Gonzalo e otto compagni si rifugiarono prima in una stalla, poi nella cantina di un palazzo. Quando lui stesso uscì allo scoperto, venne sorpreso da un gruppo di uomini armati, che ordinarono agli altri di uscire. Vennero fuori in sette: poco dopo, vennero fucilati, ma uno solo scampò perché non aveva la tonsura, quindi non era stato riconosciuto come parte del clero. Gonzalo aveva ventuno anni compiuti e frequentava il secondo anno di Teologia. Insieme ai suoi sei compagni e ad altri tre allievi dello stesso Seminario, uccisi negli anni della guerra civile spagnola, è stato beatificato il 9 marzo 2019 presso la cattedrale del Santo Salvatore a Oviedo, sotto il pontificato di papa Francesco. I resti mortali di quasi tutti e nove i martiri sono venerati nella Cappella Maggiore del Seminario di Oviedo, mentre la loro memoria liturgica cade il 6 novembre, giorno in cui tutte le diocesi spagnole ricordano i loro Martiri del XX secolo.
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Gonzalo Zurro Fanjul nacque ad Avilés, nella comunità autonoma delle Asturie, il 22 ottobre 1912. Era il primogenito di Luis Zurro Fernández, minatore, e di Mercedes Fanjul Ania. Fu battezzato nella chiesa del suo paese, dedicata a san Tommaso Becket, coi nomi di César Gonzalo.
Trascorse alcuni anni ad Avilés, ma presto si trasferì a Figaredo, a causa del lavoro del padre. Compì gli studi elementari nelle scuole nazionali di Turón e di Santullano, presso Mieres. Sua sorella Cecilia ha ricordato che «era un bambino molto buono. Fu sempre molto docile. Rossiccio, con gli occhi azzurri, pallido, abbastanza alto».
Dato che mostrava segni di vocazione, a nove anni entrò nel Seminario dei Padri Scolopi a Villacarriedo, in Cantabria. Vi rimase per un biennio, perché i superiori, dato che i suoi genitori erano di salute fragile, gli suggerirono di diventare sacerdote diocesano.
Nel 1923, quindi, tornò nelle Asturie e venne ammesso nel Seminario Minore della diocesi di Oviedo, che aveva sede nel monastero di Santa Maria di Valdediós, per frequentarvi gli anni di Latino e di Umanità, corrispondenti al ginnasio e al liceo. Fu mantenuto agli studi da una benefattrice, doña Guadalupe de Figaredo, figlia di impresari minerari. In quel periodo cominciò a mostrare di essere portato per la composizione musicale, mettendo in musica alcuni testi scritti da lui stesso.
Dopo quattro anni, passò al Seminario Maggiore, situato nel convento di San Domenico a Oviedo. Dato che all’epoca in Seminario non c’erano molti svaghi, partecipava con successo alle partite che gli allievi disputavano nell’antico chiostro del monastero oppure, quando serviva più spazio, nella piazza di fronte alla chiesa di San Domenico, insieme ai ragazzi della città.
La sua inclinazione per le arti non venne meno: a quella per la musica si unì l’interesse per il teatro. Nel marzo 1934, per la festa di san Tommaso d’Aquino come patrono del Seminario, fu messo in scena un suo testo, «Il traditore Bellido Dolfus» (ispirato a un episodio leggendario della storia spagnola), di fronte ai compagni e ai professori.
Come studente era bravo, specie in Storia. Sapeva ripetere le lezioni, anche se a volte poteva sembrare distratto, sia in cappella sia in classe: o perché la sua mente era immersa nella meditazione, o perché pensava a qualche altro modo di sfogare la sua creatività artistica.
Era anche molto appassionato alle missioni: leggeva molti testi e pubblicazioni e promuoveva con zelo le campagne che la Chiesa presentava a riguardo. Grazie a questo, venne nominato responsabile del Gruppo Missionario del Seminario.
Amava molto la Madonna, invocandola specialmente come Vergine della Medaglia Miracolosa. Alcuni suoi compagni testimoniarono che questa devozione specifica era dovuta al fatto che il giovane aveva chiesto e ottenuto una grazia molto importante per lui.
Come figlio di un minatore, sentiva molto forte la necessità della presenza ecclesiale in un ambiente dove stava penetrando l’ideologia marxista. Cercava quindi di tenersi aggiornato sulla dottrina sociale della Chiesa, perché la vedeva indispensabile per la realtà di casa sua e del circondario.
In effetti, per la Spagna si avvicinavano tempi difficili, specie per i cattolici. Come raccontò sua sorella, un giorno in cui era a casa per le vacanze, Gonzalo decise di accompagnare il sacerdote del posto a celebrare un funerale. In quello stesso giorno, il politico José María Gil Robles era di passaggio in paese, per cui gli animi dei minatori erano molto agitati.
Qualche minuto dopo essere uscito, il giovane tornò a casa malconcio, con gli abiti in disordine; al sacerdote che accompagnava, invece, era stato solo rubato il cappello. Aveva preso un brutto spavento, ma minimizzò l’accaduto: conosceva alcuni degli aggressori e li reputava brave persone.
Quando Gonzalo era ormai al secondo anno di Teologia, il 5 ottobre 1934, esplosero scontri a fuoco tra i minatori e la forza pubblica: era l’inizio della rivoluzione delle Asturie. All’interno del Seminario le lezioni proseguirono come al solito, ma gli echi dei disordini erano percepiti anche lì.
All’alba del 6, dopo una notte di scontri, le armi sembrarono tacere. Dopo qualche ora, furono assaltati sia il convento di San Domenico, sia il Palazzo Vescovile di Oviedo. A quel punto, i seminaristi scapparono, disperdendosi in varie direzioni.
Gonzalo e altri sette compagni trovarono rifugio prima in una stalla, poi nella cantina di uno stabile sfitto. Con loro c’era un sacerdote domenicano, padre Esteban Sánchez. Trascorsero insonni la notte seguente, pregando e domandandosi quale sarebbe stata la loro sorte. Padre Sánchez li confortò, li benedisse e diede loro l’assoluzione.
Fecero anche un voto: sarebbero andati tutti al santuario della Madonna di Covadonga, se fossero usciti sani e salvi. Per ragioni di sicurezza, molti di essi, ma non tutti, avevano indossato abiti secolari. Quelli che però avevano già ricevuto gli Ordini Minori portavano un segno ancora più chiaro del loro stato: la tonsura.
L’indomani, il 7 ottobre, Gonzalo uscì per accertarsi che la situazione fosse tornata normale e, probabilmente, per cercare da mangiare per sé e per i compagni. Scavalcò un muro, attraversò una stradina e una terrazza, ma mentre stava controllando se proseguire fu sorpreso da alcuni uomini armati.
Poco dopo, ordinarono ai fuggiaschi di uscire: vennero fuori in sette, tranne il seminarista Juan Alonso Pérez, di I Teologia, e il religioso domenicano. Gli armati fecero loro attraversare alcune strade, tra gli insulti dei passanti.
Arrivati in quella che oggi è calle Padre Suárez, tra il civico 23 e il 25, vennero schierati contro un portone. Intuendo che stava per essere ucciso, Gonzalo ebbe il tempo di gridare: «Viva Cristo Re! Viva la Spagna cattolica!», come d’accordo con i compagni, poi cadde, primo tra tutti; gli mancavano pochi giorni per compiere ventidue anni. Uno solo dei sette, José González García, fu ferito gravemente, ma al momento di ricevere il colpo di grazia fu risparmiato: una donna accorse e disse di non sparargli in quanto non aveva la tonsura.
I genitori di Gonzalo non ressero alla notizia: anche loro, nel giro di poco tempo, morirono. I resti del giovane furono sepolti in una fossa comune, ma tre settimane dopo vennero disseppelliti, riconosciuti e collocati in una più degna sepoltura, nel cimitero del suo paese.
Nel 1942 vennero riesumati e collocati in una nicchia dell’ossario. Il 19 marzo 2013 sono stati definitivamente collocati, insieme a quelli che è stato possibile trovare degli altri suoi compagni, nella Cappella Maggiore dell’attuale sede del Seminario di Oviedo.
La fama di santità dei sei seminaristi morti nel 1934, a parte un periodo di oblio, è perdurata negli anni. Fu quindi possibile cercare di avviare la loro causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento del martirio in odio alla fede.
Ai sei giovani assassinati nel 1934 furono aggiunti altri tre allievi del Seminario di Oviedo, uccisi in varie circostanze negli anni della guerra civile: Luis Prado Garcia, alunno del secondo anno di Filosofia, il 4 settembre 1936; Sixto Alonso Hevia, di III Filosofia, il 27 maggio 1937; Manuel Olay Colunga, suddiacono, il 22 settembre 1937. Anche i loro resti sono stati traslati nella Cappella Maggiore del Seminario nel 2013, tranne quelli di Manuel, che non sono mai stati trovati.
Il nulla osta per l’avvio della causa, che venne quindi denominata “Ángel Cuartas Cristóbal e otto compagni”, rimonta al 12 maggio 1993. Il processo diocesano, svolto a Oviedo e concluso il 29 novembre 1997, è stato convalidato il 24 febbraio 2012.
Nel 2014 fratel Rodolfo Cosimo Meoli, Postulatore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fu incaricato di seguire la fase romana della causa. È stato quindi possibile completare la “Positio super martyrio”, consegnata nel 2016. Il 21 giugno 2018 si è invece svolto il Congresso dei Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi, i cui membri si sono espressi all’unanimità a favore dell’effettivo martirio dei nove seminaristi.
Il 7 novembre 2018, ricevendo in udienza il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Gonzalo Zurro Fanjul e compagni venivano dichiarati martiri.
La loro beatificazione si è svolta il 9 marzo 2019 nella cattedrale del Santo Salvatore a Oviedo, col rito presieduto dal cardinal Becciu come inviato del Santo Padre. La loro memoria liturgica è stata fissata al 6 novembre, giorno in cui tutte le diocesi spagnole ricordano i loro Martiri del XX secolo.
Autore: Emilia Flocchini
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